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Simona Halep: cronistoria del processo che ha scosso il tennis

Federico Ferrero

Aggiornato 16/09/2023 alle 17:37 GMT+2

A quasi un anno dalla prima notizia di positività al doping, è arrivata la condanna per Simona Halep. Quattro anni di sospensione. Ma la vicenda va ben oltre la notizia: nelle 126 pagine della sentenza c'è tutto un mondo di procedimenti paralleli, analisi, perizie e controperizie, battaglie in udienza e sorprese. Davvero il processo è stato troppo lento? Perché Halep è stata condannata?

Halep si difende: "Mai dopata, lotterò per far uscire la verità"

Il vecchio pretore di Torino Giuseppe Casalbore - quello del processo alla Juventus, per chi segue solo lo sport - non solo era un giurista brillante e onesto ma aveva anche una maniera molto, come dire, avellinese di farsi intendere da noi, stupidi studentelli di diritto penale. «Ferre’, la legge si chiama legge perché la devi… légge!» Non ho dimenticato quel suo consiglio: prima di giudicare, leggere.
La sentenza che ha condannato Simona Halep a quattro anni di sospensione per doping (che, per un’atleta del 1991, significa molto probabilmente una condanna sportiva a vita) consta di 126 pagine nelle quali, e questo è ciò che è passato come riassunto, la ex numero uno del mondo è stata riconosciuta colpevole di due cose.
- Avere assunto un principio attivo di ultima generazione, il Roxadustat. Un farmaco usato per chi ha l’anemia, vietato agli sportivi perché stimola la produzione di globuli rossi e aumenta l’emoglobina. Fa sì che il sangue trasporti meglio l’ossigeno dai polmoni ai tessuti. Funziona come un pieno di benzina con più ottani, il motore rende di più.
- Avere, indipendentemente dall’uso del Roxadustat, manipolato il suo sangue in maniera fraudolenta per ottenere prestazioni migliori nel 2022.

La ricostruzione

Proviamo a capirci qualcosa insieme e iniziamo da ciò che non è in discussione. Il 29 agosto 2022 Simona Halep perde, inaspettatamente, al primo turno degli Us Open contro Daria Snigur. Viene sottoposta al test antidoping. Il campione viene spedito a Montreal in un laboratorio e risulta positivo. La rumena ne viene informata il 7 ottobre dalla ITIA (International Tennis Integrity Agency) con una lettera che «la lascia scioccata». Studia la documentazione e riconosce che sì, i test sulle sue urine sono stati fatti correttamente. Chiede le controanalisi (è un suo diritto) e il verdetto torna indietro identico a se stesso: positiva al Roxadustat.
Quindi, il processo per positività al Roxadustat si gioca solo sulla condotta dell’atleta: lo ha assunto apposta o no? E se no, ha fatto tutto quello che poteva per evitarne l’assunzione involontaria? A seconda della versione che sarà accolta, la squalifica può ballare da un massimo di quattro anni (se c’è dolo) a un minimo di una pacca sulla spalla: per sfangarla, però, non basta dimostrare di aver bevuto un integratore senza sapere che fosse contaminato. La legge richiede massima attenzione su ciò che gli atleti mangiano e bevono. Per essere assolti, bisogna provare qualcosa di molto difficile come, per esempio, di essere stati sabotati da qualcuno che ha ficcato nella sacca della vittima una borraccia dopata. Altrimenti la condanna è a due anni.
La campionessa ammette la positività ma nega di sapere come quel composto sia finito nelle sue urine. Il 26 ottobre viene sentita oralmente per offrire la sua versione, ribadisce la sua estraneità all’addebito e – attenzione - non nomina alcun integratore contaminato. Ne parlerà solo più avanti.
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Simona Halep

Credit Foto Getty Images

La situazione, tuttavia, sta per complicarsi. Il 22 settembre viene analizzato un altro suo prelievo, questa volta di sangue, etichettato come campione 48. È il cosiddetto passaporto biologico: una tecnologia in uso da almeno dieci anni e che, finora, non aveva dato avvio ad alcuna segnalazione di anomalie nel nostro sport. Il laboratorio lancia l’allarme: la “fotografia del sangue” numero 48 di Simona Halep è talmente in contrasto con i suoi valori consueti, annotati e archiviati per anni come quelli di migliaia di colleghi suoi, da suggerire che la tennista rumena si sia dopata.
Parte un procedimento parallelo da parte dell’agenzia che custodisce i passaporti biologici, la APMU (Athlete Passport Management Unit). Quando la ITIA viene notificata di quest’altro filone di indagine, decide – ne ha facoltà - di chiedere la sospensione del procedimento per il Roxadustat e di riunire i casi in uno stesso processo: anche perché non sa, lì per lì, se siano legati tra loro.
Stretto tra le richieste di Halep di proseguire con la vicenda Roxadustat e, nel frattempo, di poter tornare a giocare e l’intenzione contraria di ITIA (mantenere la sospensione e raccogliere tutte le prove per aggiungere, se del caso, una seconda accusa di doping) il tribunale decide di accogliere le istanze dell’accusa. Propone alcune date per discutere il caso Halep nel suo complesso per fine maggio.
È significativo notare che anche Simona Halep, a questo punto, concorda sul fatto che i due procedimenti vengano unificati perché «non avrebbe senso» tenerli separati. Chiede solo di fare il più in fretta possibile, circostanza su cui anche l’ITIA si dice favorevole. Ci si accorda per il 31 maggio 2023, solo che c’è un altro problema: il filone di indagine per doping del sangue ha i suoi tempi procedurali e il 31 maggio è troppo vicino all’inizio della seconda indagine per andare in aula, visto che il termine minimo porta al 21 giugno. Il tribunale, nonostante le proteste di Halep, fissa la data definitiva del giudizio: 28 e 29 giugno 2023. Da una parte la ITIA, con undici membri tra avvocati, tecnici e consulenti. Dall’altra, Halep con il suo team legale capitanato da Howard Jacobs, i suoi periti di parte e, presente alle udienze e sentito come testimone, il coach Patrick Mouratoglou. È quindi chiaro che, almeno fino a giugno, i tempi della giustizia non sono stati irragionevolmente lenti né c’è stata trascuratezza nel gestire la vicenda di un’atleta sospesa temporaneamente, come invece gridato dal suo team su varie piattaforme social.
Simona Halep, finalmente, può dire la sua. Prima degli Us Open si era fatta male alla coscia destra, aveva appena vinto Toronto e sperava di recuperare in tempo per lo Slam di New York.

Quando ha assunto l'integratore contaminato

E offre una spiegazione per la presenza del Roxadustat nel suo organismo: la sua fisioterapista, Candice Gohier, le aveva acquistato tre integratori al collagene che le erano stati consigliati da Frédéric Lefebvre, responsabile dei preparatori atletici dell’accademia Mouratoglou. Prima di assumerli, li aveva controllati personalmente con Mouratoglou stesso, che concordava con Gohier nel cercare prodotti nuovi rispetto ai soliti integratori di Halep «perché contenevano troppo zucchero»; a suo dire, il coach la aveva ulteriormente tranquillizzata perché «sull’etichetta non comparivano sostanze vietate». Halep sostiene di aver bevuto un integratore contaminato con Roxadustat dal nome Keto MCT: per quello che si può sapere, il prodotto (col nome commerciale sbianchettato nella sentenza) è una polvere di trigliceridi a catena media (MCT, appunto) composto da olio di cocco, collagene estratto da pesci, inulina e vitamina C. Usato più che altro, come suggerisce anche la dicitura Keto”, per perdere peso. Evidentemente avrà altre proprietà, ritenute utili dal team Halep. Ma passiamo oltre: secondo Halep, l’assunzione è stata limitata a soli cinque giorni, tra il 23 e il 28 agosto.
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Simona Halep

Credit Foto Getty Images

Il tribunale ascolta il produttore di Keto MC, che nega possa essere plausibile una contaminazione della sua polvere con un farmaco raro e potente come il Roxadustat. L’unica remota possibilità è una contaminazione all’origine, da parte di un ingrediente dell’integratore acquistato da un grossista cinese. La partita si gioca tutta lì: Keto MC è o no la fonte del doping involontario di Simona Halep? Secondo il suo perito di riferimento, il professore francese Jean-Claude Alvarez e tre suoi colleghi, sì. Secondo i quattro esperti dell’ITIA, no. Alvarez presenta un malloppo di più di 350 pagine con una serie di test condotti sulla polvere incriminata e pure uno studio di controllo su una volontaria che l’ha ingerita per cinque giorni, per dimostrare che quell’integratore è effettivamente contaminato. I periti dell’ITIA sostengono l’opposto: le loro analisi danno tutti risultati negativi. Alvarez ribatte che i suoi colleghi sono incappati nel cosiddetto falso negativo, perché hanno usato un metodo di analisi meno accurato del suo. Halep si sottopone anche, di sua sponte, a un test del capello che però rischia di ritorcersi contro di lei, perché vengono trovate tracce di Roxadustat anche in frammenti di capelli cresciuti prima di agosto del 2022. La tennista esce dal possibile imbarazzo spiegando di aver fatto trattamenti alla chioma (colore e piastra) che possono alterarne forma e lunghezza. Viene creduta.
I giudici sono molto dubbiosi sulla vicenda Roxadustat ma, alla fine, accettano la tesi del perito del team Halep, spiegando che un falso negativo è molto più facile di un falso positivo. Quindi, d’accordo: quell’integratore era effettivamente contaminato. Ma non è una vittoria per la tennista rumena, anzi: perché, nelle pagine successive, il tribunale – dopo un’altra battaglia di perizie e controperizie – statuisce che la concentrazione di Roxadustat trovata nelle sue urine il 29 agosto non poteva derivare solo da quel prodotto. Addirittura, il perito ITIA arriva a dire che Halep avrebbe dovuto assumere dalle 50 alle 5.000 volte (!) la dose dichiarata in quei cinque giorni, per avere una simile concentrazione. Impossibile sia potuto accadere. E quindi?

1° round: Halep colpevole

Quindi, il collegio giudicante è chiuso in un angolo e deve accettare un paradosso. Lo cito così come viene proposto perché merita: «Ci rendiamo conto che la nostra conclusione costringe ad ammettere qualcosa di altamente improbabile: che, cioè, nello stesso lasso di tempo del 2022 miss Halep abbia ingerito Roxadustat da due fonti separate. Una, assunta involontariamente, è l’integratore Keto MC, l’altra è sconosciuta e non si sa se sia stata volontaria o meno. Non siamo tenuti a speculare su quanto questa soluzione possa apparire improbabile, perché le prove ci indicano questo. Possiamo solo aggiungere che, se fossimo costretti a scartare una delle due fonti di assunzione, elimineremmo la prima». Per il primo capo di imputazione, quindi, Simona Halep è riconosciuta colpevole di assunzione di un integratore contaminato ma anche di un’altra assunzione contemporanea che giustifica la concentrazione di sostanza rilevata: pertanto, non avendo fornito giustificazioni su questo secondo versante, è responsabile di aver violato consapevolmente le norme antidoping. Pena massima.
E questo è solo il primo round. Il secondo è potenzialmente devastante, perché integra l’accusa di aver "bombato" il sangue per un certo lasso di tempo. Questa seconda faccenda è molto più complessa, che non la circostanza di un integratore contaminato. In dieci anni di prelievi di sangue, Halep ha fornito 56 campioni di sangue. A partire dal campione 46, prelevato in aprile, il laboratorio nota che ci sono valori «sospetti» e decide di tenere Halep sotto stretto controllo. E lo fa: il campione 47 del 26 agosto è raccolto male e non è utilizzabile. Il campione 48, quello del 22 settembre, è valido e il sistema lo segnala come anomalo nei valori. Il 7 ottobre, lo stesso giorno in cui Halep viene informata dalla positività al Roxadustat, viene raccolto il campione 49, che ha parametri nella norma. Il 13 dicembre arriva il campione 50, pure quello con risultati fuori standard.

2° round: "probabile doping"

Non è il caso di perdersi in disquisizioni sulla frammentazione immatura dei reticolociti (IRF) perché, senza almeno un triennio di medicina, c’è da farsi venire il capogiro. In soldoni, però, succede questo: il primo perito dell’accusa, il dottor Mokeberg, sostiene che negli ultimi prelievi validi, cioè dal 45 al 50, raccolti tra marzo e dicembre 2022, si evidenziano sbalzi di alcuni valori del sangue legati ai globuli rossi e all’ormone Epo non fisiologici. Segnala il passaporto di Halep come «sospetto». Approfondisce il suo studio e, il 16 dicembre, annota nella relazione: «Probabile doping».
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Wilander: "Halep certamente non ha fatto nulla intenzionalmente"

Il caso viene sottoposto a un secondo parere, quello del professor d’Onofrio. Che, però, inizialmente dà una visione in parte differente. In prima battuta lo giudica sì «sospetto» ma aggiunge che, per ciò che ha potuto esaminare, «non esiste un evidente scenario di doping del sangue». Potrebbe esserci un’altra causa, come l’assunzione di farmaci (non per forza illecitamente). Il terzo parere è affidato alla professoressa Garvican-Lewis ed è conforme, nella sintesi: anche per lei, sono dati sospetti su cui è meglio indagare.
Qui, però, succede un fatto particolare su cui la difesa ha fatto parecchio leva. I giudici raccontano che i tre esperti si sono riuniti a gennaio 2023 e che, qualche giorno prima, avevano ricevuto il calendario degli impegni dell’atleta sottoposto a esame. Dal quale avevano chiaramente capito si trattasse di una tennista e, nella specie, di Simona Halep. Molto probabilmente già sospettavano che fosse lei, visto che le notizie sulla sua positività erano già state lanciate da tutti i media del mondo a fine ottobre. Ufficialmente, però, i tre vengono informati della identità dell’indagata e del fatto che le sue urine del 29 agosto fossero risultate positive al Roxadustat solo a gennaio. Per cui devono giurare, al collegio giudicante, che tutte le loro opinioni sono state espresse senza essere stati influenzati dalla consapevolezza che stessero "leggendo" il sangue di Simona Halep, intanto già accusata per la storia del Roxadustat (che ha effetti sul sangue). Il timore del tribunale è che gli esperti si possano essere fatti influenzare dalla consapevolezza che quello fosse il sangue di un’atleta del quale già si sapeva la fonte della possibile anomalia nel sangue, e che potessero andare a ritroso alla ricerca di conferme a una cosa che si sapeva già, e cioè che si trattasse di sangue di un soggetto dopato col Roxadustat.
Ovviamente, secondo l’imputata, può essere andata proprio così. I giudici, invece, decidono di credere «alla loro professionalità» e rifiutano di pensare che abbiano appositamente agito per rovinare la carriera di una atleta mai coinvolta prima in vicende simili o che si siano accomodati su una tesi dell’accusa già nota, invece che lavorare “al buio” per garantire la massima terzietà. Investiti ufficialmente dell’incarico di redigere il rapporto da presentare in aula, tutti e tre prendono una strada univoca e forniscono un parere netto: il professore italiano scrive che i valori del sangue di Halep mostrano di essere «con alte probabilità risultato di una precedente stimolazione esogena». Doping, insomma. E gli altri sono concordi con lui.
Su questo dettaglio, Simona Halep si è scagliata anche pubblicamente sui social, il 12 settembre, con un addebito pesante: «La ITIA mi ha mosso un’accusa di violazione di ABP (Athlete Biological Passport) solo dopo che il loro gruppo di esperti ha saputo della mia identità e facendo sì che due dei tre esperti cambiasse repentinamente idea proprio in favore delle accuse dell’ITIA». In realtà, nessuno dei tre aveva escluso la tesi del doping. Il primo lo aveva ritenuto probabile, il secondo e il terzo avevano parlato di valori sospetti degni di approfondimento. Scrivere che ciò che si è esaminato non rappresenti di per sé prova di doping, non significa dire che non lo sia. Anche perché il passaporto va incrociato (è prassi) con il calendario degli impegni dell’atleta, per capire se i picchi” nei valori corrispondono a impegni professionali. Fatta la verifica su Halep, tutti e tre hanno fornito un parere unanime sul «likely doping». Il passaporto è anomalo e c’è una «alta probabilità che le anomalie derivino da un aumento artificiale dei globuli rossi tramite manipolazione; la possibilità che derivi da una situazione fisiologica o da una condizione medica è bassa». I periti sostengono che il sangue dell’atleta è risultato anomalo non solo nel prelievo 48, quello che ha fatto partire l’indagine. Ma che altri campioni precedenti, se raffrontati tra loro (2, 19, 44, 46, 48, 49, 50, 56) e letti nella sequenza temporale e in concomitanza dei tornei giocati, indicano pratiche illecite di manipolazione del sangue con relativi periodi di carico e di scarico. Non sanno dire con certezza se sia causa di farmaci vietati o di pratiche vietate (come le trasfusioni) ma sono concordi nell’escludere si tratti di fenomeni leciti.
ITIA ha dovuto attendere il 12 aprile per ricevere la dichiarazione ufficiale di ADF (Adverse Passport Finding”) e, il giorno successivo, ha notificato alla giocatrice quest’altra accusa. Frattanto, è partita una seconda sospensione temporanea preventiva a suo carico.

La difesa

La difesa stigmatizza il fatto che la ITIA abbia, per così dire, cambiato idea sulla fonte del doping (prima probabilmente un farmaco, poi probabilmente un metodo vietato come la trasfusione). Dopodiché, presenta tre scusanti. La prima, subito scartata, è che in senso assoluto tutti gli esami del sangue di Simona sono entro parametri normali. Il problema, obietta la corte, è che non lo devono essere rispetto ai generici valori della popolazione mondiale femminile di pari età ma, nello specifico, della atleta professionista Simona Halep, testata regolarmente dal 2013. La seconda è legata alla perdita di sangue durante l’intervento di correzione dei turbinati cui si è sottoposta poco dopo gli Us Open. Anche questa obiezione viene facilmente smontata: il campione 48 è stato raccolto undici giorni dopo l’operazione e tutti gli esperti sono pacifici nell’escludere che anche un sanguinamento copioso (improbabile in una operazione al naso) possa essere significativo dopo tanto tempo. La terza ci piacerebbe saperla ma, evidentemente, coinvolge uno suo stato personale di salute privato che la corte ha ritenuto di censurare per riservatezza dell’atleta. Solo lei potrebbe far cadere il segreto su questa circostanza esimente: tutto quello che la sentenza permette di leggere è che «il tribunale conclude che XXXXX (la cosa” misteriosa) non ha avuto effetti significativi sul passaporto biologico della signorina Halep».

Un inciso

Prima di arrivare alla - ormai inevitabile - sentenza di condanna, è necessario un ultimo inciso. In tutti i processi (civili, penali, sportivi che siano) esistono due interessi contrapposti. Il primo è che la persona giudicata abbia giustizia in un tempo breve: una sentenza che arriva dopo anni dai fatti è, di per sé, ingiusta, perché costringe l’imputato a restare in un limbo senza conoscere il proprio destino. L’altro, è che il tribunale non sia troppo frettoloso nel raccogliere gli elementi per giudicare, perché più si è grossolani più è facile sbagliare.
Ecco: nel caso della giustizia sportiva, il criterio prevalente è quello della rapidità, perché è chiaro a tutti che un professionista che debba aspettare tre, quattro, cinque anni per avere una sentenza definitiva è comunque rovinato, nella carriera e nel morale, responsabile o meno che sia. Difatti, Halep ha più volte lamentato la sua condizione di atleta sospesa senza una sentenza. Quindi non ci si deve stupire se, nel testo, si trovano passaggi in cui i giudici spiegano che, per convincersi che Halep fosse o meno dopata, a loro è sufficiente raggiungere una «comfortable satisfaction» sul fatto che fosse colpevole. È un criterio che sta a metà tra il mero calcolo delle probabilità (da zero a 50 sei innocente, da 51 a 100 sei colpevole, anche se sarebbe interessante come un giudice riesca a discernere tra un grado 50 e uno 51) e il metodo più restrittivo, che ormai pure in Italia è stato adottato nei processi penali ed è conosciuto come l’«oltre ogni ragionevole dubbio». Questo perché, per essere certi eliminando ogni titubanza, servirebbero anni di procedimenti che distruggerebbero qualunque carriera, anche si arrivasse poi a un’assoluzione. Soprattutto se, nel frattempo, l’atleta non potesse competere perché sospeso. Non avrebbe senso.
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Halep si difende: "Mai dopata, lotterò per far uscire la verità"

La sentenza

Il tribunale ha quindi adottato il criterio di mezzo: usare il buonsenso, pesare gli elementi, ricordarsi quanto siano gravi le implicazioni di una condanna e, poi, giudicare anche se dovesse rimanere un ricciolo di incertezza sulla propria decisione. «Comfortable satisfaction». Il team legale Halep ha provato a costringere i giudici a essere più severi nel criterio, portando alcune vecchie sentenze, ma la loro proposta non è passata.
E così, il tribunale ha deciso che Simona Halep ha intenzionalmente violato le norme antidoping, con uno di questi metodi: o ha assunto microdosi di Roxadustat e non solo per cinque giorni (meno probabile, anche perché tutti i precedenti test delle urine erano negativi) o ha usato altri farmaci con i medesimi effetti; oppure ha provveduto ad autoemotrasfusioni o a trasfusioni da soggetti compatibili, o ancora si è fatta trasfondere sangue positivo al Roxadustat. Sicuramente, dicono, qualcosa di illecito ha fatto; sicuramente i valori del suo sangue non sono addebitabili solo a quei cinque giorni di integratore contaminato, né alle altre tre cause da lei portate come prove a discolpa.
La ITIA ha chiesto una squalifica di quattro anni, più altri due per le circostanze aggravanti – la durata del doping, le manovre sofisticate, l’uso prolungato di più farmaci vietati, il tentativo di insabbiare le prove con la storia dell’integratore. La corte ha rigettato quest’ultima richiesta. Halep è stata condannata a una sospensione di quattro anni, dal 7 ottobre 2022 al 7 ottobre 2026, per doping intenzionale. Il reato più grave (passaporto biologico) ha assorbito l’altra imputazione, quella sul Roxadustat: se le pene fossero state da scontare cumulativamente e non concorrentemente, avrebbe preso otto anni. Questo non è successo perché le due violazioni sono rimaste in un arco temporale sufficiente da essere considerate, diciamo così, parte di un medesimo disegno criminoso. Se il passaporto fosse stato giudicato alterato in un periodo di almeno 12 mesi precedente rispetto alla positività degli Us Open, le condanne si sarebbero sommate.
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Simona Halep

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Decisione notevole

Mi sembra corretto annotare, in conclusione, che la corte ha assunto una decisione notevole. Quando è passata ad annullare tutti i suoi risultati tennistici “dopati”, lo ha fatto solo a partire dalla data del campione 48, quindi il solo primo turno agli Us Open. I giudici spiegano il perché: non si sono convinti a sufficienza che anche i campioni da marzo 2022 in poi indicassero certamente la stimolazione eritropoietica, cioè il doping del sangue, ma che solo il campione più anomalo, il 48 del 22 settembre, la provasse.
Ecco, su questo flebile appiglio potrebbe insinuarsi la strategia di appello: provare a dimostrare (ma come?) che tutto nasce e gira intorno a quei cinque giorni di consumo dell’integratore contaminato. Che ha provocato la positività delle urine al Roxadustat e pure i valori anomali, dopo un presunto picco, “di scarico”, cioè in negativo, del campione 48. Anche perché, appunto, nessun perito ha dimostrato con assoluta certezza che i valori dei mesi precedenti indicassero doping. Per farlo, devono riuscire a vincere una battaglia già persa davanti al tribunale: e cioè dimostrare che il Roxadustat nelle urine fosse tutto riconducibile a quel prodotto contaminato. Sicuramente, il passaggio in cui i giudici ammettono che lo scenario del doppio doping da due fonti di Roxadustat indipendenti è il ventre molle della sentenza e ci sono, benché molto angusti, margini per costruire una strategia di appello. Mettiamola così: non vorrei essere nel team difensivo che sta preparando il ricorso a Losanna.
PS In questi mesi, pure io ho ritwittato un appello per la giustizia rapida in favore di Simona Halep. Non trovavo sensato che dovesse attendere tutto quel tempo prima di finire a processo. Poi mi sono studiato le date del procedimento e sono d’accordo con quello che dice il tribunale: Halep non ha fatto nulla per allungare i tempi, ovvio, ma nemmeno la ITIA lo ha fatto. Il concatenarsi di due procedimenti poi assorbiti in uno solo ha fatto slittare di volta in volta udienze e perizie e, almeno in una occasione, anche il team legale della tennista è stato d’accordo nel prorogare la data di una udienza di almeno un mese. Per studiare e soppesare la marea di materiale prodotto in aula e arrivare alla sentenza di 126 pagine che spiega la decisione mattone su mattone, è dovuta passare l’estate. Gridare allo scandalo per i tempi della giustizia, in questo caso, è semplicemente sbagliato.
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Halep: "Ho avuto un attacco di panico, situazione nuova"

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