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Vinci & Co.: quando il finalista dello Slam sbuca dal nulla (o quasi)

Paolo Pegoraro

Pubblicato 01/09/2016 alle 14:08 GMT+2

Dalla Vinci a Sharon Walsh: quando il finalista dello Slam confeziona l'impresa di una carriera. Solo in un caso "un'improbabile" finalista ha concesso il bis. Un esempio da seguire per la nostra tennista tarantina: da un'inchiesta del "New York Times" le storie più incredibili dei quattro maggiori Slam.

Roberta Vinci, Imago

Credit Foto Imago

Ti ricordi di una situazione nella tua carriera dove la pressione ti ha aiutato a giocare meglio? Mai. No.
Parole e musica di Robertina Vinci, che con la pressione dovrà giocoforza convivere in questa edizione degli US Open dall’alto della sua “carica” di finalista uscente. Finora non se l’è cavata per niente male, perfezionando la vendetta perfetta contro la Friedsam al primo turno (sua carnefice negli Australian Open) e piegando la beniamina di casa McHale al secondo. Tutto è cambiato da quando, appena un anno fa, la tennista tarantina si presentava a Flushing Meadows da numero 43 del ranking mondiale per realizzare il capolavoro della vita: ripetere i fasti dello scorso anno sarà un’impresa proibitiva. L’autorevole quotidiano New York Time l'ha inserita nel novero degli improbabili finalisti di un Grande Slam assieme a Sharon Walsh, Steve Denton, Mikael Pernfors e Martin Verkerk, meteore che non seppero più ripetersi nel prosieguo delle loro carriere (specificando, e ci mancherebbe altro, che la Vinci è tutto fuorché l'ultima arrivata).
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US Open 2016: Roberta Vinci-Christina McHale, highlights

Martin Verkerk (Roland Garros, 2003)

Il tennista olandese, numero 46 del mondo quell’anno, mandò al tappeto quattro giocatori del seeding arrampicandosi sino alla finalissima del Roland Garros: a Parigi putroppo per Martin non ci fu storia e il favorito Juan Carlos Ferrero ebbe la meglio in tre set nemmeno troppo combattuti. Dopo quell’impresa storica Verkerk non superò mai più in carriera un terzo turno di uno Slam.
Lo chiamano ‘flow’. Cominci a colpire palline da tennis come fossero angurie, Non puoi proprio sbagliare.
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Verkerk - Roland Garros

Credit Foto Imago

Steve Denton (Australian Open 1981, 1982)

L’Australian Open del 1981 di Steve Denton fu qualcosa di spettacolare: le quattro vittorie al quinto set nel corso del cammino del tennista cresciuto nella University of Texas gli conferirono un senso di onnipotenza.
Quando sei ‘uscito di galera’ così tante volte, ti senti invincibile.
Ancora una volta l’ultimo atto risultò fatale e un anno più tardi sugli stessi schermi (perché Steve concesse il bis divenendo una sorta di eccezione che conferma la regola in questa speciale classifica) fu il solito “maledetto” sudafricano Johan Kriek a mortificarlo in finale.

Mikael Pernfors (Roland Garros 1986)

Come Denton e Verkerk, anche Pernfors non aveva mai vinto una singola partita in un major e non faceva parte del seeding quando “esplose” nel Roland Garros nel 1986. Una cavalcata al di là dell’immaginabile: prima di arrendersi in finale a Ivan lendl in tre set, il tennista svedese formatosi negli Stati Uniti d’America – sorta di regolarista che amava attrarre gli avversari a rete per poi provare a passarli – eliminò fenomeni del calibro di Stefan Edberg, Boris Becker e Henri Laconte. Dopo l'incredibile exploit Pernfors non vinse mai più una partita nello Slam parigino.
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Sharon Walsh - Imago

Credit Foto Imago

Sharon Walsh (Australian Open, 1979)

Il momento magico della tennista di San Francisco Sharon Walsh coincise con l’Australian Open del 1979: dopo aver battagliato in tre set con la giocatrice di rete Marcella Mesker in un primo – incendiario - turno, la Walsh non perse mai più un singolo set sino alla finale, dove si arrese alla connazionale Barbara Jordan. La Walsh non vinse mai un torneo e raggiunse al massimo la posizione numero 22 nel ranking mondiale.

Turning point, la chiave del successo

Circostanze favorevoli, walkover, calendari amici, defezioni di lusso negli Slam, ma anche uno stato di grazia totale, di quelli che capitano una volta nella vita: tutto fa brodo per confezionare l'impresa, ma guai a parlare di atleti "miracolati". Ognuno di essi si è infatti sudato e costruito l'exploit di una carriera, senza ricevere sconti nè regali, semplicemente cogliendo l'attimo.
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