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Final Eight: dal trionfo di Torino al cuore di Cantù, il meglio e il peggio della Coppa Italia 2018

Marco Barzizza

Aggiornato 21/02/2018 alle 09:56 GMT+1

Galbiati e il 4/4 in panchina, Sodini e il miracolo Mia che sfiora la finale, le lacrime della Leonessa negli ultimi 2", i fallimenti di EA7 e Sidigas. Il riassunto di quanto successo nel weekend di Firenze.

Fiat Torino vince Coppa Italia 2018

Credit Foto LaPresse

La PosteMobile Final Eight 2018 di Firenze si è conclusa, con il trionfo di Torino e del suo condottiero Paolo Galbiati e le lacrime di Brescia, squadra che più di tutte avrebbe meritato il trofeo per ciò che è stata nel girone d'andata, sorpresa e al contempo conferma, beffata da un contropiede di Vujacic a 2” dalla sirena della finale. Ciò che ci lascia la kermesse fiorentina è però anche molto altro.

Cantù, una favola tutto cuore

Ci sono le storie di campo come quella, la più commovente, di Cantù. La squadra di Sodini - persona da cui tanti dovrebbero prendere esempio per disponibilità, simpatia, empatia con squadra, tifosi e addetti ai lavori -, pur senza arrivare in finale ha compiuto un'impresa sportiva. Dal rischio fallimento dopo mezza stagione all'approdo da underdog alle Final Eight, giocate magistralmente. Cantù ha demolito la corazzata Milano mostrando come cuore, orgoglio e voglia possano avere la meglio su valori tecnici aprioristici e soprattutto budget e ha perso con Brescia senza demeritare alcunché. Con il coltello tra i denti, in 7 giocatori e mezzo, la Mia/Red October ha reso fieri i tanti tifosi canturini accorsi a Firenze, già consci di avere un gruppo di ragazzi che danno tutto, ben oltre difficoltà e capacità. Parrillo e Maspero sono i simboli di questo cuore: ragazzi semplici e appassionati, ritrovatisi in Serie A per necessità di altri ma che stanno sfruttando l'occasione della vita come meglio non si potrebbe. Cantù è la vincitrice morale del trofeo.

Torino e una magia fuori programma

La FIAT è arrivata a Firenze tra mille problemi e se ne va con una coppa in più e rinnovata autostima. Tanto merito va all'architetto, Paolo Galbiati: catapultato in una realtà nuova in un clima di confusione totale, tra malumori in spogliatoio e in società dove la dirigenza è stata criticata aspramente anche dalle frange più fedeli del tifo, il 33enne di Concorezzo ha saputo immergersi nell'avventura con personalità e dopo due settimane di apnea ne è uscito con 4 vittorie su 4 e la Coppa Italia. Non battezziamolo già “fenomeno”, sarebbe un errore, ma certamente ha un ruolo importante in questa vittoria. Impossibile non citare poi la passione e dedizione di Peppe Poeta, capitano che a 32 anni vince per la prima volta, collante di un gruppo dove spiccano l'esperienza di Sasha Vujacic e la costanza di Deron Washington e dove l'ultimo arrivato, Vander Blue, riesce a ergersi a protagonista nelle sue prime 3 uscite e conquistare anche il titolo di MVP della finale.

Brescia, lo snodo chiave della stagione

La Leonessa esce ferita, sconfitta nel finale di un cammino che si preannunciava trionfante dopo la prima parte di stagione, ma comunque tronfia di consapevolezza. Il nucleo costruito da Andrea Diana e Alessandro Magro nella passata stagione e ben puntellato in questa con le addizioni di due veterani come Brian Sacchetti e Ben Ortner, ha avuto, e forse un po' sprecato, l'occasione di rendere storica una pagina della pallacanestro a Brescia. Ma se è vero che la delusione può destabilizzare dopo aver corso 4 mesi per puntare a questo obiettivo, è altrettanto vero che la Germani può pensare positivo perché si è confermata a tutti gli effetti come una delle realtà più belle e futuribili del campionato italiano. E non ci stancheremo mai di apprezzare il pubblico bresciano, che come un anno fa a Rimini è sceso in massa e con la sua verace passione, mai contro e sempre pro, ha colorato il Mandela Forum per tutta la Final Eight.

Milano, Avellino e una coppa approcciata non da "grandi"

Infine le grandi deluse, Milano e Avellino. Corazzate che a Firenze avrebbero dovuto sbaragliare la concorrenza e trovarsi in finale senza grosse difficoltà, si sono fermate al primo ostacolo. Per l'Olimpia, già delusa dalla stagione europea, la sconfitta nel derby con Cantù è stata un grosso smacco e la sensazione più preoccupante è che questa coppa non fosse “da vincere”. Questo sorprende da parte di una società che, con il budget nettamente superiore a tutte le concorrenti, dovrebbe puntare a conquistare ogni partita e ogni trofeo che disputa. Ora non ha scusanti e dovrà raggiungere lo scudetto, ma si sa che vincere aiuta a vincere e il flop di Firenze potrebbe avere ripercussioni a lungo termine. Simile la storia per Avellino, che ha chinato il capo di fronte alla Cenerentola Cremona, in “viaggio premio” a Firenze ma decisamente più spigliata e desiderosa di regalarsi una gioia. In misura minore rispetto all'Olimpia Milano, ma anche la Sidigas ha pressioni in chiave scudetto, perché in quanto a roster è secondo (forse) solo a quello dell'EA7. Sacripanti sa che deve arrivare in fondo, pena una possibile rivoluzione tecnica a fine stagione.
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