Sport popolari
Tutti gli sport
Mostra tutto

Cuore Venezuela: la Cenerentola che ha provato a tenere in scacco il Team USA

Daniele Fantini

Aggiornato 09/08/2016 alle 14:11 GMT+2

È soltanto alla sua seconda partecipazione olimpica e non ha superstar né giocatori NBA, eppure il Venezuela è stato un avversario scomodo per il Team USA: nonostante il -44 finale, i ragazzi della Vinotinto hanno lottato come veri guerrieri, raccogliendo simpatie e toccando qualche nervo scoperto della nazionale a stelle e strisce.

Team Venezuela, Rio 2016 (AFP)

Credit Foto AFP

Il finale dice 44 punti di differenza. Ci stanno, tutti, e probabilmente sarebbero potuti essere anche di più, almeno sulla carta. Eppure, il Venezuela, alla sua seconda partecipazione olimpica dopo quella del 1992, l’"intruso" per eccellenza di Rio 2016, ci ha fatto divertire, esultare, tifare e, per qualche istante, anche sognare un’impresa impossibile. Ci ha reso partecipi di quel sentimento ormai molto differente rispetto a quello provato per il primo Dream Team di Barcellona ’92, di curiosità, ammirazione e massima stima nei confronti delle superstar NBA che, per la prima volta nella storia, si facevano ambasciatori planetari della pallacanestro scendendo in campo alle Olimpiadi, mostrando al mondo intero che cos’era, realmente, quel gioco in cui bisognava infilare una palla a spicchi in un cesto. Già, perché il Team USA (chiamarlo Dream Team pare sempre più fuori luogo) attirerà sempre curiosità, ammirazione, desiderio implacabile di spettacolo e “showtime”, ma, in parallelo, un ugual sentimento di chi vorrebbe vedere i giganti cadere. Come ad Atene 2004 e ai Mondiali del 2002 e del 2006.
Il Venezuela non ha alcuna superstar internazionale e alcun giocatore con esperienza NBA. Ha un playmaker ormai trentenne, rapido, buon ball-handling, che sta provando a costruirsi una carriera in Europa tra Israele e Francia quand’è ormai forse troppo tardi (Gregory Vargas), un parallelepipedo umano uscito da Creighton ma passato assolutamente inosservato al draft del 2013, che ha impazzato per un paio d’anni tra Germania e Belgio (Gregory Echenique), e un “vecchio” cugino di Kobe Bryant (il papà è fratello della mamma dell’ex-star dei Lakers), dai fondamentali aggraziati, costruiti nelle estati trascorse a Philadelphia proprio con Kobe, ricopiato e ricalcato in ogni movenza, e poi affinati in un decennio di basket in Francia (John Cox). Il resto sono mestieranti, talentuosi il giusto, conoscitori della pallacanestro quanto basta per meritarsi di indossare la canotta vinotinta. Ma, quando si infilano quella maglia sulle spalle, si trasformano in guerrieri, in eroi.
picture

John Cox, Josè Vargas, Venezuela, 2015 (imago)

Credit Foto Imago

Già nell’amichevole pre-olimpica di Chicago (pardon, exhibition game, come vuole il protocollo…), il Venezuela si era dimostrata squadra rognosa: il finale era stato un 80-45, gonfiato da un parziale degli States nella parte conclusiva della partita. E, scusate, ma tenere a 80 punti segnati i più forti del mondo non è certo cosa da tutti i giorni. Il Venezuela ha riproposto lo stesso copione anche nel secondo appuntamento di Rio: cuore, carattere, grinta, fisicità, voglia di competere sempre, su ogni pallone, anche quando il tabellone recitava un divario sempre più largo e irrecuperabile, desiderio ancestrale di dimostrare al mondo e ai nuovi “ambasciatori” della pallacanestro che l’orgoglio dei sudamericani non si può domare.
L’illusione del primo quarto (18-18 all’intervallo) è stata spazzata via come un fuscello travolto da un fiume in piena quando il Team USA ha ri-settato voglia e concentrazione su standard più consoni al palcoscenico olimpico, eppure, anche in quei momenti, con il parziale pro-States che si allargava sempre di più, il Venezuela non ha mai dato l’impressione di andare sotto. Certo, nel punteggio, ma non nell’atteggiamento, nello spirito, nella voglia di competere.
E, così, abbiamo visto un John Cox attaccare a ripetizione Kevin Durant con movimenti di chiara matrice bryantesca, e metterlo anche in trappola con un paio di finte sul piede perno; abbiamo visto Echenique muoversi con una leggerezza impensabile per un rettangolo di 206 cm per 120 kg, e schiacciare in testa a DeMarcus Cousins, DeAndre Jordan e Draymond Green gemme servitegli da un Gregory Vargas capace di smazzare anche assist no-look dietro-schiena nel verniciato, una zona off-limits per la stragrande maggioranza degli avversari del Team USA. Abbiamo visto Durant, Cousins e Green andare in bestia ogni volta in cui venivano battuti, e ogni volta in cui abbassavano il braccio, in ritardo, commettendo fallo, con una presunzione di onnipotenza e un atteggiamento poco simpatico da superstar viziate e infallibili che - consiglio - converrebbe evitare nelle prossime partite, quando arriveranno Australia e Serbia.
Sì, per larghi tratti, il Venezuela ci ha fatto divertire.
Più di 3 milioni di utenti stanno già utilizzando l'app
Resta sempre aggiornato con le ultime notizie, risultati ed eventi live
Scaricala
Condividi questo articolo
Pubblicità
Pubblicità