Addio a Johan Cruyff: di cosa parliamo quando parliamo di calcio totale?

Johan Cruyff è stato un rivoluzionario in campo e fuori, ma molto spesso viene considerata scontata la reale motivazione di quel passaggio tra anni 60 e 70 che portò il football nella modernità. Proviamo a capirne di più

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Tra le infinite ragioni per cui gli appassionati di calcio si sono ritrovati a piangere la morte di Johan Cruyff, ve ne è una considerata ormai ovvia. Qualcosa che va di pari passo con l’ideale epitaffio di Pep Guardiola: “Cruyff ha dipinto la cappella Sistina. Rijkaard, van Gaal ed io abbiamo soltanto aggiunto qualche pennellata”. Una frase splendida che racchiude in sé tutta la dirompenza dell’olandese a Barcellona e che ci aiuta a capire quanto sia stata rivoluzionaria la sua presenza nella storia del club catalano e del movimento olandese. Perché con il suo Ajax e la sua nazionale dei primi anni 70 iniziò la rivoluzione del calcio totale. Qualcosa di scontato e di molto vicino al luogo comune. Al punto da renderne opportuna una spiegazione. Di cosa parliamo quando parliamo di calcio totale?

I riferimenti cronologici

L’esplosione, l’avvenimento, è il binomio Ajax-Olanda di inizio anni 70. Le origini, però, partono da lontano. Se ne intravedono gli embrioni prima nell’Austria degli anni 30 e poi nell’Aranycsapat, la Grande Ungheria sconfitta soltanto dalla rimonta di Berna ’54. E, inevitabilmente, nel lavoro iniziato all’Ajax da Jack Reynolds, allenatore del club di Amsterdam in due riprese (1915-25 e 1945-47). Uno dei suoi giocatori, Rinus Michels, nel 1965 divenne l’allenatore dei Lancieri. E, d’incanto, riuscì a mettere assieme tutte le lezioni del passato, contribuendo a costruire la squadra che avrebbe vinto tre Coppe dei Campioni consecutive (1971-73, le ultime due sotto la guida di Stefan Kovacs) e, in sostanza, la base dell’Olanda del 1974. L’Arancia Meccanica, la nazionale che portò in tutto il mondo la definizione di “calcio totale”.
Come si schierava l'Olanda del 1974.Il modulo di base diventa un 4-3-3 (ma anche 3-4-3) sorretto da una preparazione fisica che si fa scientifica e si innesta sul telaio costituito da atleti polivalenti. Gli avversari non sanno come prenderne le misure, travolti dalla dirompenza dinamica, dal costante movimento dei giocatori e dalla persistente ricerca del gioco collettivo. Tutti difendono e, soprattutto, tutti attaccano (sin dal portiere Jongbloed, che eredita parte dei compiti del libero tradizionale). Due terzini di spinta (Suurbier a destra, Krol a sinistra) che si sovrappongono alle ali offensive Rep e Rensenbrink. E Cruijff al centro del mondo, l’evoluzione del centravanti alla Hidegkuti”, l’uomo che arretra per creare gli inserimenti altrui e guidare le soluzioni offensive della propria squadra in virtù di tempi di gioco e intelligenza calcistica senza pari. L’Olanda (intesa come nazionale, a livello di club la storia è ben diversa) non vince nulla, ma segna il solco. Il calcio non sarà più lo stesso.

I riferimenti tattici

Si fa presto a dire “calcio totale”, molto meno a capire che cosa significasse quella rivoluzione nel 1974. Diventa fondamentale comprenderne i riferimenti tattici di base. Tutto nasce dalla voglia di scardinare il calcio dai vincoli opprimenti della marcatura a uomo. Di ragionare sull’impostazione della partita pensando innanzitutto a come segnare un gol, a come mantenere il controllo del gioco e a come dominare l’avversario. Un ritorno alle origini del football (quando l’importante era segnare un gol in più dell’altra squadra) mediato però da regole ferree. La prima è la preparazione atletica - divenuta scientifica – e la seconda è l’organizzazione tattica. Quell’Olanda si disponeva con un 4-3-3/3-4-3, ma ciò che più contava era il fatto che – partendo dall’abbandono della marcatura e approdando il passaggio alla difesa a zona – divenisse fondamentale il lavoro sul collettivo. Tutti partecipavano alla fase offensiva e tutti partecipavano alla fase difensiva. Tutti avevano delle disposizioni, ma nessuno aveva un ruolo fisso. E, non da meno, tutti pressavano non appena perdevano la palla. Andando verso la porta avversaria, senza mai retrocedere. Pensate alle marcature a uomo del catenaccio, aggiungete il talento trabordante di quel gruppo e capirete perché, per anni, nessuno riuscì a capire come fermare Ajax e Olanda. Due squadre avanti anni luce, per farla breve.
Lele Oriali in marcatura a uomo su Cruyff. Un'immagine nella quale si può rivedere il passaggio epocale che avvenne all'epoca. Fermare un giocatore del genere - inserito in un contesto simile - era un'operazione impossibile. Un po' come, ora, è difficile ipotizzare un sistema in grado di fermare Lionel Messi quando gioca in maglia blaugrana.

Coordinate ed epigoni

Quell’Olanda non inventò il calcio offensivo. Il Brasile tre volte campione del mondo tra 1958 e 1970 aveva già definito e proposto il meglio del “futebol bailado”. Michels, semmai, riuscì a definire razionalmente il concetto di partecipazione collettiva applicato al football. Liberando il talento individuale all’interno di un’organizzazione tecnico-tattica. Non serve svogliare un libro di storia per capire come non sia stato un processo casuale la sua localizzazione nell’Olanda di quei tempi, almeno quanto diventa semplice comprendere l’importanza di Cruyff in questa linea evolutiva. Capace di andare ben oltre la finale persa nel Mondiale del 1974, divenendo l’emblema di quella rivoluzione. Prima come fuoriclasse espressione di un collettivo, poi come allenatore in grado di esportare quei concetti a Barcellona. Lì dove la capella Sistina è arrivata ai giorni nostri come la miglior attualizzazione del progetto di Michels. Il calcio totale è questo. Organizzazione e talento, semplicità ed invenzione, gioco a zona e visione offensiva. Dall’Ajax degli anni 70 al Barcellona attuale, passando per il Milan di Sacchi e l’Ajax di van Gaal. Vittorie ottenute non tanto per il gusto stesso della vittoria, quanto per il desiderio di lasciare qualcosa di sé ai posteri. Il motivo per cui, oggi, di Cruyff parlano non soltanto i contemporanei, ma anche le generazioni successive. Ecco cos’è davvero il calcio totale.
La finale del Mondiale ’74, una sconfitta dolorosa per l’Olanda al cospetto di una Germania Ovest protagonista di un’ulteriore razionalizzazione del processo tattico. Viene da pensare alle ultime scene di “Moneyball”, il film sul genio di Billy Bean ovvero l’uomo che ha rivoluzionato il modo di costruire una squadra di baseball. Brad Pitt, che lo interpreta, pensa che tutto sarebbe stato dimenticato per via della sconfitta ai playoff dei suoi Oakland Athletics. Ma il suo assistente lo convince del contrario facendogli vedere le immagini di un fuoricampo riuscito al più goffo giocatore della loro squadra satellite, senza che questi se ne fosse accorto. Una splendida metafora che ci ricorda come, a volte, i nostri parametri siano tremendamente insufficienti per misurare il successo. Una rivoluzione, in fondo, vale molto di più di una semplice vittoria.
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