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Torna la piaga dei calciatori-schiavi. Questa volta succede a El Salvador

Stefano Fonsato

Pubblicato 20/05/2016 alle 16:39 GMT+2

Un anno fa, la vicenda dei giovani liberiani "trafficati" in Laos, una dozzina di ragazzi colombiani è rimasta vittima di truffe nel paese centroamericano. Sedicenti procuratori, invero criminali, che chiedono ai diretti interessati una "commissione" e poi spariscono, lasciando gli "assistiti" in mezzo a una strada a mendicare qualche spicciolo per ripagarsi, da clandestini, il viaggio di ritorno

The AFA is making plans for English football

Credit Foto PA Sport

Torna l'incubo delle truffe nei confronti di chi insegue il sogno di diventare calciatore. E poi, in qualche modo, si ritrova sfruttato e ridotto in stato di semi schiavitù. Dopo la vicenda dell'anno scorso in Laos, resa celebre agli occhi del mondo dalle telecamere della Bbc, a finire nell'occhio del ciclone, questa volta, è El Salvador. In base all'inchiesta del quotidiano locale "El Grafico", sarebbero almeno una dozzina i giocatori, quasi tutti di nazionalità colombiana, ingannati da sedicenti agenti, costretti a pagare somme intorno ai 1800 dollari, comprensive di volo aereo e misteriose "spese iniziali" ma che, di fatto, andavano a ingrassare le tasche dei loro malfattori.

Laddove la legge Bosman non esiste...

La verità è emersa attraverso un'approfondita inchiesta del quotidiano salvadoregno "El Grafico" e portata in Italia grazie all'interessamento del sito Agenti Anonimi. Ma sono ancora troppi i buchi neri di questa vicenda. Inquietante, quanto vergognosa: El Salvador non lo sta certo sbandierando ai quattro venti. Da queste parti, la legge Bosman e il contratto Fifa rappresentano diritti invisibili anche col cannocchiale. L'arretratezza calcistica si riflette nel 97esimo posto del ranking Fifa e ad un'esportazione di giocatori piuttosto limitata. Storicamente, i giocatori più bravi, migrano negli Stati Uniti come il capitano David Cerén - mediano dell'Orlando City -, l'unico a frequentare l'Mls. Per trovare alcuni dei suoi colleghi, bisogna scendere nella Nasl (il secondo livello pallonaro statunitense) come il trequartista Andrés Flores (dei Cosmos di New York), il compagno di reparto Dustin Correa (Edmonton) o l'ala destra Richard Menjívar del Rayo-Oklahoma City. Chi è riuscito ad approdare in Europa, lo ha fatto in località piuttosto "esotiche" (per un salvadoregno, s'intende): come la punta Nelson Bonilla, bomber dello Zira in Azerbaigian, oppure il portiere titolare Derby Carillo o la mezzapunta Pablo Punyed, ritrovatisi addirittura in Islanda, tra le fila Íbv Vestmannaeyjar. Quest'ultimo, nel 2014, vestiva la maglia dello Stjarnan e il 28 agosto di quell'anno si è pure tolto la soddisfazione di giocare a San Siro contro l'Inter nei preliminari di Europa League. Ma sia lui che l'estremo difensore sono salvadoregni di seconda generazione, nati e cresciuti in Usa, con altri orizzonti ed opportunità...

Un mondo di promesse non mantenute

Questi, i nomi di chi ce l'ha fatta. A uscire, se non altro, da una confusione da Far West. Fatto di criminali dal vestito buono, che promettono a ragazzi disperati una formazione di seconda divisione in lotta per ottenere la promozione, un buono stipendio e un futuro migliore. "Basta" fare un piccolo investimento e il gioco è fatto. Macché: finisce sempre che la differenza dei soldi che il calciatore speranzoso in questione ha investito in aereo, finisce nelle tasche di questi personaggi senza scrupoli. E i ragazzi, truffati, si ritrovano in mezzo a una strada, a vivere di stenti. Umiliati e senza più un sogno da inseguire.

La storia di Juan

Juan David Martinez Orejuela, ventenne regista di difesa, è colui che ha in serbo la storia più triste: "In Colombia giocavo nella scuola calcistica dell'Engativa - ha spiegato alla stampa salvadoregna -. Il mio allenatore Javier Ayola mi aveva assicurato un ingaggio nella seconda serie di El Salvador, al Vendavel. Poi è arrivato uno che diceva di essere un procuratore argentino che faceva affari da quelle parti...". Quel tizio si chiama Carlos Sanchez, stabilitosi ormai da decenni a El Salvador e che "parcheggia" Juan in un appartamento vicino allo stadio. Ma dura poco, l'allenatore del Vendavel scarica il giocatore che, costretto a pagarsi anche l'affitto, diventa ben presto moroso e viene sfrattato. Nel frattempo, Sanchez se la svigna negli Stati Uniti e Orejuela si ritrova a fare il mendicante, poi alcuni lavori saltuari e per finire il magazziniere di un altro club, il San Pablo de Tacachico. Da calciatore ad addetto alla lavanderia, guardando altri rincorrere un pallone e i propri sogni. La beffa delle beffe. La federcalcio salvadoregna, intanto, se ne lava le mani, affermando con decisione che nei campionati nazionali circolano solo agenti con regolare licenza professionale, trovandosi così impossibilitata a emettere sanzioni.

Succede anche il contrario

Storie simili sarebbero occorse almeno ad altri 11 "cafeteros", tanto da far nascere un caso diplomatico tra El Salvador e la Colombia. Ma è successo anche il contrario. E cioè che un sedicente procuratore colombiano, chiamato "Achury", abbia truffato un calciatore salvadoregno come il difensore 25enne Joan Alexis Torres a cui venne promesso un ingaggio con la Juventud Independiente in cambio di una sostanziosa "commissione". La truffa era dietro l'angolo ma Torres, lungo quel deprimente cammino, incontra però un amico allenatore, Jorge Callas, che lo porta - realmente - al Real Destroyer, in Segunda Division. Con un ingaggio insufficiente ma onesto, che oggi Torres arrotonda reinventandosi venditore ambulante di tortillas, non appena sveste i panni del calciatore. A lui è andata ancora bene. Gli altri, invece, continuano a mendicare qualche moneta per pagarsi il viaggio di ritorno a casa. Senza potersi ribellare perché il visto scade e si diventa clandestini. Una parola fuori posto e si rischia la galera. E, in qualche caso, anche la pelle...
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