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Dall’Ajax ad Atalanta e Lazio: quando i fatturati non sono tutto

Roberto Beccantini

Pubblicato 26/04/2019 alle 08:44 GMT+2

Scritto che la Dea mi era piaciuta più al Franchi, se penso all’organico che ha e al campionato che sta facendo - da zona Champions, addirittura - mi viene da assegnarle fin d’ora l’Oscar del calcio più spumeggiante, comunque vadano lo sprint europeo e la finale di Roma con la Lazio, l’epilogo più rispettoso dei valori espressi.

Atalanta in festa

Credit Foto Eurosport

Vedendo Milan-Lazio di Coppa Italia ho pensato a quante volte, su Gattuso, mi sono sbilanciato, corretto, esaltato, limato. La speranza, per i tifosi, è che la colpa sia tutta di Ringhio. Ho i miei dubbi. Certo, ha scelto la partita meno indicata per schierare la difesa a tre e testare il lungodegente Caldara. La pedalata, inoltre, era tutt’altro che rotonda. Ma vogliamo parlare di Suso e della sua involuzione? Di quel Piatek sedotto e abbandonato, di Bakayoko e Kessié senza arte né parte? I migliori del Milan sono stati Reina e Calabria, il portiere e il terzino uscito con un perone rotto (auguri di cuore!). E così non resta in ballo che il quarto posto con vista Champions. Pagherà Gattuso, immagino, ma i problemi coinvolgono la rosa: e sono problemi di stoffa, di personalità. I più complicati da risolvere, specialmente con la pistola del Fair play puntata alla tempia.
Dopo l’Inter, eliminata ai rigori, il Milan; e sempre a San Siro: per la Lazio, una doppietta che gratifica. In una stagione nel corso della quale, Juventus a parte, tutti sono saliti e scesi dalle montagne russe, la squadra di Inzaghi veniva da un umiliante k.o. casalingo con il Chievo retrocesso. Ha perso Milinkovic-Savic, ha reagito, ha governato il secondo tempo, avrebbe meritato uno scarto meno tirchio.Il gol di Correa è scaturito dal più classico e verticale dei contropiede. Da area ad area. Oggi si dice ripartenza, una leccatina dei fusignanisti al loro profeta: Sacchi, il visionario che, con il Milan olandese, cambiò la mentalità del nostro calcio. Nella mia griglia estiva, il Diavolo era quinto, la Lazio sesta, l’Atalanta settima e la Fiorentina ottava. L’Atalanta di Gasperini se ne frega dei fatturati (evviva), marca a uomo, pressa in avanti, martella gli avversari come l’Ajax: non a caso, nei quarti, demolì la Juventus.
E’ una delle rare isole in cui il gioco «fa» i giocatori. Ha il difetto di partire male; di lasciarsi, spesso, pugnalare alle spalle. Incatenata al 3-3 di Pioli, la Fiorentina di Montella, tutta difesa e palla lunga, avrebbe potuto chiuderla nel giro di una decina di minuti. Viceversa, ha trovato solo il gol di Muriel. Troppo poco, per non essere ribaltata da un rigorino su Gomez, trasformato da Ilicic, e da una papera di Lafont (su tiro del Papu). Morale della favola: chi di episodi ferisce, di episodi perisce. Come hanno ribadito (anche) le parate di Gollini. Chiesa, lui, è un progetto di campione che deve domare le giungle, non solo le praterie che l’hanno già incoronato. Scritto che la Dea mi era piaciuta più al Franchi, se penso all’organico che ha e al campionato che sta facendo - da zona Champions, addirittura - mi viene da assegnarle fin d’ora l’Oscar del calcio più spumeggiante, comunque vadano lo sprint europeo e la finale di Roma con la Lazio, l’epilogo più rispettoso dei valori espressi.
Siete d’accordo? Ancora due domande: il vostro parere sul crollo del Milan gattusiano? E come avete trovato, in generale, questa edizione di coppa non più cannibalizzata dalla Juventus?
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