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Mazzarri sbaglia, la colpa non è di Kovacic

Mattia Fontana

Pubblicato 18/05/2015 alle 15:40 GMT+2

Se l’Inter domenica sera avesse soltanto perso contro la Juventus, non ci sarebbe stato molto da dire.

Eurosport

Credit Foto Eurosport

La bilancia del confronto tecnico tra le due formazioni pendeva decisamente dalla parte bianconera, al punto che per esserci realmente partita sarebbe dovuto accadere qualcosa di straordinario. Un passaggio a vuoto degli uomini di Conte, qualche episodio sfortunato. Scenari che allo Juventus Stadium non vedono – in campionato – dall’ultima sconfitta interna, quella contro la Sampdoria di un anno e un mese fa.
Dunque, se Mazzarri si fosse limitato a sottolineare nel post-partita le difficoltà vissute dai propri giocatori in questo momento, non ci sarebbe stato molto da dire. Sarebbe stata la pura e semplice verità. “Sono stati più forti loro”, punto e basta. Il tecnico nerazzurro, però, si è spinto oltre, facendo ciò che soltanto un allenatore messo alle strette da comportamenti anti-professionali di un proprio giocatore dovrebbe fare. Dare in pasto a tifosi e stampa il nome di Kovacic, reo a suo parere di non essere stato abbastanza diligente nella marcatura di Pirlo.
Viene da pensare che Mazzarri, non volendo confermare il cliché del “piangina”, si sia limitato a ribadire quello di allenatore incapace di lavorare con i giovani. Una definizione che di certo non gli fa onore, uno stereotipo limitativo. Eppure un ritornello che non si può non ripetere se insiste in analisi di così scarsa prospettiva. Ma come può reggersi in piedi tale giustificazione? L’Inter perde 3-1 a Torino (risultato tutto sommato stretto a una Juventus che ha staccato il piede dall’acceleratore dopo aver calato il tris) e la colpa è di un ragazzo di 19 anni?
Mazzarri ha sempre respinto la definizione di Mourinho italiano che alcuni gli avevano attribuito anni fa. Domenica sera ci ha spiegato perché. Perché Mourinho non avrebbe mai tirato la croce addosso a un proprio giocatore davanti alle telecamere, a patto che il ragazzo in questione non avesse realmente sgarrato. Kovacic, a quanto ci risulta, non l’ha fatto. La sua unica colpa è di essere costato 11 milioni di euro (più 4 di bonus legati alle partecipazioni dell’Inter alla Champions League) e di non aver fatto vincere la partita ai suoi.
Ma chi avrebbe potuto farcela in quelle condizioni? Nemmeno Palacio – cui Mazzarri ha regalato un commento ingeneroso dopo il ko di Genova – riesce più a rendere come nel girone d’andata. Sintomo che gli è stato chiesto troppo per troppo tempo e che il Trenza, per quanto generoso, è un essere umano. Destinato a inevitabili cali di forma. La colpa della sconfitta non è loro, quanto delle carenze strutturali di un centrocampo nerazzurro che – per citare Mario Sconcerti – finisce per dipendere da Cambiasso come se il Cambiasso del 2014 fosse ancora quello del “triplete”.
L’acquisto di Hernanes, da questo punto di vista, appare salvifico. A patto che Mazzarri si dimostri in grado di garantirne la coesistenza con Alvarez e soprattutto Guarin, un uomo a cui è impossibile rinunciare in queste condizioni. Con loro, forse anche Kovacic potrebbe dire la sua. Perché è bene ricordare che quando si parla di registi emergenti (ammesso e non concesso che il croato lo sia) nasce quasi immediatamente il confronto con Pirlo, il migliore nel ruolo da una decina di anni a questa parte.
(La partita di Pirlo e quella di Kovacic a confronto, via Four Four Two Stats Zone)
Ma nessuno si ricorda mai che quando Pirlo ha iniziato a fare la differenza è stato nel 2002, ovvero quando Ancelotti lo abbassò a centrocampo affiancandogli Gattuso e Seedorf. E, quando questa coppia è entrata in crisi per raggiunti limiti di età, anche il “numero 21” è andato in flessione. Se si è ripreso a Torino, è anche perché negli ultimi tre anni hanno giocato al suo fianco centrocampisti del calibro di Vidal, Marchisio e Pogba. Nulla di nemmeno lontanamente paragonabile a Kuzmanovic e Taider.
Per fare la differenza, anche Kovacic ha bisogno di una squadra che funziona. Così è stato nel derby, quando il suo ingresso in un momento di crescita dei compagni fu la carta vincente di Mazzarri. Così non è stato a Torino, dove il tecnico nerazzurro ha schierato i suoi come si sarebbe fatto trent’anni fa, quando ancora la marcatura a zona era affare per pochi. Sette giocatori schierati al limite della propria area, tre lasciati soli in avanti (Kovacic, Alvarez e Palacio) per provare a pressare i portatori di palla. Tralasciando il fatto che nel mezzo tra i due reparti (il tutt’uno difesa-centrocampo e l’attacco) vi fossero quasi 40 metri, quelli in cui la Juventus è solita vincere le partite.
Un errore che Mazzarri aveva già compiuto altre volte al cospetto di Conte (esemplare Juventus-Napoli 3-0 del 2011/12), un atteggiamento frutto di un complesso di inferiorità strutturale. Comprensibile, certo, se la tua squadra non è soltanto inferiore agli avversari ma vive anche una fase di appannamento. Ma deprecabile se concepito come l’unica possibile via di gioco. Perché Kovacic da solo non poteva marcare Pirlo, come del resto accade a fior di centrocampisti. Per farcela si deve andare a pressarlo a turno, con una squadra alta ed equilibrata al contempo. Quella che a inizio stagione l’Inter sembrava essere divenuta. Quella che i tifosi nerazzurri sperano torni ad essere con l’arrivo del Profeta.
Di Mattia FONTANA (Twitter: @mattiafontana83)
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