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Paolo Rossi, l'addio della moglie Federica Cappelletti: "Lo amerò per l'eternità"

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Pubblicato 19/12/2020 alle 12:22 GMT+1

PAOLO ROSSI - L'ultimo addio, mentre sentiva la vita abbandonare il corpo di cui teneva una mano che sentiva diventare via via sempre più fredda. E poi il dolore sentito e visto negli occhi dei compagni di squadra al funerale. Federica Cappelletti ricorda in un lungo articolo su "Sportweek", il settimanale della Gazzetta dello sport sabato in edicola, il lungo saluto al marito, Paolo Rossi.

Federica Cappelletti e le figlie nel ricordo di Paolo Rossi

Credit Foto Getty Images

L’ultimo addio, mentre sentiva la vita abbandonare il corpo di cui teneva una mano che sentiva diventare via via sempre più fredda. E poi il dolore sentito e visto negli occhi dei compagni di squadra al funerale. Federica Cappelletti ricorda in un lungo articolo su "Sportweek", il settimanale della Gazzetta dello sport sabato in edicola, il lungo saluto al marito, Paolo Rossi, uno dei calciatori più amati di sempre dagli italiani. "Lo amerò per l’eternità, perché Pablito non si può dimenticare, ma nemmeno Paolo", spiega con semplicità Federica che racconta così gli ultimi istanti di vita di Rossi: "Sono stati attimi disumani, atroci, nei quali avevo in pugno la sua e la mia vita. Lasciarlo andare avrebbe significato non vedere più i suoi occhi, la sua bocca, i suoi capelli che ho tanto accarezzato, i suoi piedi gentili; avrebbe voluto dire non poterlo più toccare, non sentire più la sua voce rassicurante e la sua risata felice. Così ho preso la sua mano e me la sono appoggiata sopra la testa, per sentire ancora una volta la sua protezione". E poi lo stupore dell’istante successivo, quando la vita era, in maniera misteriosa, fuggita: "Ho avuto la sensazione che in pochi istanti fosse davvero uscito da quel corpo, un corpo che aveva già perso colore e vibrazioni. Anche il profumo della sua pelle era sfumato".
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Il dolore dei compagni di squadra

Federica ripercorre poi anche i momenti toccanti del funerale nel Duomo di Vicenza in cui ha potuto vedere contemporaneamente l’amore per Paolo e il dolore per la sua scomparsa riflessi negli occhi di amici e compagni di squadra, soprattutto dei calciatori di quella Nazionale del 1982 a cui era rimasto sempre legato. "Paolo - scrive Federica - amava i suoi amici, quelli scelti fuori dal calcio ma anche la sua 'squadra'. I ragazzi dell’82 con i quali conservava una chat e si sentiva ogni giorno. Il primo messaggio, dopo la sua morte, è stato proprio per loro. Non ne potevo fare a meno. Non me lo avrebbero perdonato. E, forse, nemmeno Paolo me lo avrebbe perdonato se non lo avessi inviato. Perché sapevo quanto voleva rivederli e riabbracciarli. Perché sapevo quanto ci teneva a tutti loro". Così riesce a capire che dentro di loro in quelle braccia stanche che portavano la bara di Paolo si trovava un dolore che era l’eco del suo.
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"Marco Tardelli - sottolinea ancora Federica - da giorni non riusciva più nemmeno a parlare, Antonio Cabrini ha singhiozzato sopra la bara di suo fratello Paolino, ma anche Spillo, Conti, Causio, Collovati, e il resto dei campioni del mondo. Con loro Baggio, Maldini e tanti altri compagni di viaggio. So che anche loro, i ragazzi dell’82, avrebbero voluto rivederlo. Anche per un saluto fugace. Ma io e Paolo avevamo deciso di combattere da soli la nostra battaglia, consapevoli che non sarebbe stato facile ma ottimisti nel poter vincere insieme questo Mondiale della vita".
Stavolta però, conclude Federica, "non è andata così! I suoi gol non sono bastati". Perché la morte, alla fine, vince sempre.
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