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10 domande sulla Premier League: la guida per orientarsi alla stagione 2017/18

Simone Eterno

Aggiornato 11/08/2017 alle 11:36 GMT+2

E' ancora il Chelsea la squadra da battere, oppure lo United di Mourinho è pronto dopo le maxi spese estive? A che punto è la rivoluzione di Guardiola? Può essere l'anno del Liverpool? L'Arsenal tornerà in Champions League? Ma soprattutto perché gli italiani dominano Oltremanica? Abbiamo provato a rispondere a queste e altre domande nella guida alla Premier League 2017/18. Buona lettura.

Antonio Conte

Credit Foto Getty Images

156 dirette scritte di Premier League solo nelle ultime due stagioni. Circa 234 ore di calcio inglese raccontato per Eurosport negli ultimi 2 anni. Cinque viaggi Oltremanica e un paio di reportage. Nessun giornalista italiano – sano di mente – ha coperto più calcio inglese del nostro Simone Eterno. Con una nuova stagione ormai ai nastri di partenza, la redazione ha deciso di sottoporlo a 10 domande per orientarci insieme dentro la Premier League 2017/18.

E’ ancora il Chelsea la squadra da battere?

Sì e no. Da una parte c’è la statistica, che ci racconta come difficilmente i Blues riescano a ripetersi. Non ci è riuscito Ancelotti nel 2010. E’ crollato miseramente Mourinho 2 anni fa, quando perse il posto e il Chelsea campione in carica arrivò addirittura decimo. Antonio Conte, scatenando anche un po’ di stizza del portoghese – con la reazione estiva e la famosa battuta “Non mi strapperò i capelli per ciò che pensa Conte” – ha assicurato che nulla di tutto ciò accadrà alla sua squadra; ma quanto successo in estate in casa Chelsea non ha pienamente convinto e con una competizione in più come la Champions League questa squadra è tutta da testare. I Blues hanno preso un attaccante che può essere il craque di questo campionato come Alvaro Morata, ma hanno anche ceduto – a mio parere inspiegabilmente – un giocatore fondamentale per gli equilibri di questa squadra come Matic. E per giunta ai diretti rivali più accreditati. E’ difficile ripetere il cammino da record della scorsa stagione e nonostante un paio di acquisti importanti come Rüdiger e Bakayoko, alla fine la rosa del Chelsea non si è ampliata (ancora) come avrebbe voluto Antonio Conte. Candreva, Alex Sandro, Llorente sono tasselli che il pugliese avrebbe voluto, continua a volere ma non sono ancora arrivati; e se si pensa a una stagione così lunga, effettivamente, il solo Morata là davanti è un po’ pochino (a meno che non si voglia considerare Batshuayi l’alternativa, cosa che Conte vorrebbe evitare). Detto questo la differenza potrebbe farla ancora una volta colui che sta seduto in panchina. E da questo punto di vista il signor Conte è una sicurezza. Insomma, il Chelsea finisce nelle prime due.
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Il Chelsea celebra il titolo della stagione 2016/17

Credit Foto Getty Images

Cosa dobbiamo aspettarci dal Manchester United?

Tanto. Il tempo delle scuse è finito e se è vero che per arrivare al top Mourinho ha parlato di un processo che dura altri due anni, altrettanto lo è che i Red Devils sono quelli che sul mercato si sono mossi meglio, spendendo in due anni di gestione Mou una cifra vicino ai 300 milioni di euro. Quest’anno si sono visti rinforzi in ogni reparto con Lindelof, Matic e Lukaku che vanno ad ampliare una rosa già di per sé di ottimo valore. L’obiettivo minimo dunque del Manchester United è quello di inserirsi per lo meno nella lotta al titolo; un “dovere” che se come tale non dovesse essere rispettato farebbe della stagione del portoghese, senza troppi giri di parole, un mezzo fallimento. Da questo punto di vista dunque Mourinho deve sbrigarsi a schiarirsi le idee dal punto di vista tattico. 4-2-3-1 senza Ander Herrera (giocatore che svoltò la scorsa stagione)? 4-3-3? 3-5-1-1 come visto martedì nella Supercoppa Europea contro il Real Madrid? Interrogativi che tutt’ora esistono e che lasciano i Red Devils in quella mezza posizione di cantiere ancora aperto. Un cantiere però di qualità e soprattutto con materiali molto costosi. Tirar su qualcosa di buono, insomma, è un obbligo.
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Jose Mourinho a fianco della Supercoppa Europea persa 2-1 vs il Real Madrid

Credit Foto Reuters

Perché il Tottenham non ha (ancora) comprato nessuno?

“Il problema è chiaro: non siamo ancora un club che può competere sul mercato con Manchester United o Manchester City”. Parole e musica di Mauricio Pochettino, che giusto una settimana fa rispondeva così all’immobilismo sul mercato degli Spurs, unica delle big a non aver messo ancora a segno un colpo che sia uno. I “colpi” del Tottenham però, se così vogliamo definirli, sono quelli di chi è rimasto alla corte dell’argentino. Kane in primis, Alli poi, Eriksen pure. Gli Spurs sono riusciti a trattenere tutti i grandi gioielli e a esclusione di Walker la squadra è la stessa dell’anno scorso. Il tutto con tanto bagaglio in più d’esperienza e la consapevolezza di essere nel terzo anno insieme con questo impianto di gioco: ovvero quello buono, di solito, per provarci sul serio. Un punto di domanda per gli Spurs resta l’ambiente: giocare lontano da White Hart Lane – come visto l’anno scorso in Champions League – non è la stessa cosa e in un campo enorme come quello di Wembley adattare il pressing forsennato a spazi e percezioni più ampie, potrebbe non essere così irrilevante come può sembrare. La mossa era però necessaria: le ambizioni del club sono quelle di rimanere costantemente tra le grandi e da un nuovo impianto passava – purtroppo (White Hart Lane era uno degli ultimi veri stadi inglesi della Premier League) – questa possibilità. E dunque, proiettati al futuro ma con le mani mezze legate nel presente, il Tottenham proverà a giocarsi le carte con ciò che già ha. Che a mio parere è molto buono.
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Kane, Alli ed Eriksen: il trio delle meraviglie del Tottenham

Credit Foto Getty Images

L’Arsenal tornerà in Champions League?

A mio parere è difficile. Poi, chiaramente, visto anche quanto è successo 2 anni fa, tutto – ma veramente tutto – è possibile. La risposta è secca in quanto rispetto alla passata stagione non vedo grandissimi cambiamenti. E’ vero, è finalmente arrivato un attaccante degno di nota come Lacazette – che negli ultimi 3 anni in Ligue 1 ne ha sempre messi più di 20 – eppure la sensazione è che all’Arsenal più che acquisti sul mercato servisse un deciso cambio di rotta, una rottura col passato proprio a livello manageriale. L’era Wenger è stata straordinaria nella sua prima parte, ma si è decisamente protratta oltre culminando lo scorso anno con l’uscita dopo quasi due decadi dal gotha delle prime 4. Che possa rientrarci al volo quest’anno è complicato, anche perché c’è da recuperare psicologicamente un punto di riferimento come Sanchez – che ha provato in ogni modo ad andarsene, senza riuscirci (lo farà gratis l’anno prossimo) – e dietro, al di là di Kolasinac, nei titolari alla fine si vedono ancora Monreal e Mertesacker. Un’unica curiosità in casa Gunners ce l’ho per Iwobi. Può essere la stagione della sua esplosione.
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Wenger, Sanchez

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A che punto è la rivoluzione di Guardiola?

Per buona parte dei colleghi inglesi il Manchester City è la favorita al titolo. Non per il sottoscritto. Anzi, io vedo gli Skyblyes a un nuovo anno zero. Nuovo portiere (Ederson). Nuovo impianto difensivo (Mendy, Danilo, Walker). Nuove geometrie in mezzo al campo (Bernardo Silva). Nuove gerarchie in attacco (Gabriel Jesus e non Aguero?). Sono tanti i punti interrogativi da cui Guardiola riparte, ma il primo su tutti è piuttosto semplice: la filosofia del catalano si sposa davvero col calcio inglese? Non è una domanda da poco. Guardiola ha dimostrato di poter vincere ovunque, ma la realtà britannica racconta che senza fisicità e tackle – sembra una frase fatta ma non lo è – in Inghilterra non si va lontani. Saprà mettere un pizzico di cattiveria in più il suo City? I quasi 200milioni di euro investiti in fase difensiva sembrano voler dare una risposta positiva a questa domanda – Mendy, Danilo e Walker è gente di qualità ma anche capace di non andare troppo per il sottile – ma poi al di là delle caratteristiche entra la filosofia della squadra, ed è lì che si torna al punto di partenza. Rispetto alla rivoluzione da lui stesso portata ai tempi del Barcellona, il calcio si è prontamente evoluto, trovando contromisure alle quali Guardiola non ha trovato rimedi (come del resto già visto in Champions League anche al Bayern). Insomma, il 'suo tempo' - inteso come filosofia dominante - sembra essere già passato, ma se trova la chimica giusta e tutti i tasselli vanno al loro posto qui chiaramente c’è gente di grandissimo valore. Un pro: dalla sua il City ha una partenza di campionato piuttosto blanda: Brighton (Fuori), Everton (Casa), Bournemouth (F), Liverpool (C), Watford (F), Crystal Palace (C), Chelsea (F), Stoke City (C), Burnley (C), West Bromwich Albion (F). Un primo termometro insomma lo avremo già a metà ottobre.
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Pep Guardiola in un momento non esattamente di approvazione...

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Può essere (finalmente) l’anno del Liverpool?

Dipende cosa s’intende per “L’anno del Liverpool”? Confermarsi tra le prime quattro? Perché no. Vincere il titolo? Non credo. Per la prima estate ad Anfield non si è assistito alla solita clamorosa rivoluzione che era stata il leitmotif dell’ultimo quinquennio. E questa mi pare già di per sé un’ottima notizia. Klopp sta provando in tutti i modi a resistere all’assalto del Barcellona per Coutinho, e il niet all’offerta da 100 milioni mi pare un altro evidente segnale della volontà di provare a costruire qualcosa di buono. Certo, poi c’è la realtà dei fatti e questa dice che sulla carta ci sono squadre più attrezzate dei Reds. L’ingresso di Momo Salah è certamente un plus, ma se guardo dietro vedo sempre gli stessi problemi. In porta è di nuovo Mignolet o Karius. Il centrale di difesa atteso – van Dijk – alla fine potrebbe non arrivare e al momento siamo ancora lì al Sakho-Lovren; il mediano da inserire in mezzo al campo che vorrebbe Klopp, ovvero Keïta del Lipsia, sembra destinato a rimanere in Germania. Come potrebbe la stessa squadra dell’anno scorso dunque arrivare davanti a tutte? “Con più continuità con le piccole”, potreste rispondere voi. Vero, ma alla fine quella si trova proprio grazie anche a giocatori in grado di non fare errori nei momenti chiave e di affrontare tutti gli impegni allo stesso livello di concentrazione; e non solo nei big match come nella scorsa stagione. Insomma l’impianto di gioco è collaudato ma di punti deboli a mio parere il Liverpool in questo momento ne ha ancora troppi. Poi se i due innesti arrivano se ne può riparlare…
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Stagione 1989/90: l'ultimo Liverpool ad aver vinto il campionato inglese

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Chi può essere la sorpresa di questo campionato?

Credo l’Everton. Che poi sorpresa una squadra che negli ultimi 5 anni ha fatto un sesto, un quinto e un settimo posto (quello dello scorso anno), non può essere. Hanno perso chiaramente Lukuku, ma si sono mossi benissimo sul mercato. A sostituire il belga sono arrivati Rooney e Klaassen e la cosa mi stimola. Credo che proprio la voglia di Rooney di giocare per la sua gente possa essere una molla per tutta la squadra, alla quale molto spesso nella passata stagione è mancata proprio un po’ di verve quando contava. Di Rooney poi sono curioso di vedere la posizione: se davvero farà di nuovo l’attaccante, sarà interessante capire se avrà ancora il fiuto. Io credo di sì. Jordan Pickford è un bel portiere, ma meglio ancora è il centrale Michael Keane arrivato dal Burnley. Insomma si è aggiunta gente interessante a una squadra di valore guidata da un ottimo allenatore. E’ chiaro che arrivare davanti alle 6 citate sopra è piuttosto complicato anche se l’ambizione del club è simile a quella del Tottenham: scardinare le gerarchie createsi e provare a inserirsi dentro le 4. Impresa complicatissima se non impossibile in questa stagione, ma fatto sta che i Toffees a mio parere sono una squadra da seguire. Tra quelle un po’ più sotto invece mi piace il Bournemouth che con un Defoe in più può spaccare.
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Wayne Rooney alla presentazione con l'Everton, luglio 2017

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E invece il flop?

Domanda delicatissima. Una squadra che si è indebolita a mio parere è lo Stoke City, se non altro per la partenza di Arnautovic (West Ham), che sarà sì matto come un cavallo ma è anche un bel giocatore. L’anno scorso già fecero più fatica del previsto e per giunta quando tutti aspettavano da loro il – complicato – passetto in più dopo 3 noni posti consecutivi. Arrivati invece 13esimi, credo che il compito dei Potters quest’anno più che guardare avanti sia quello di guardarsi dietro. Hughes si è fatto attrarre da una filosofia calcistica più votata allo spettacolo, ma la forza dei Potters era sempre stata il casino del Britannia Stadium e la capacità di vendere carissima la pelle tra le mura amiche. Nella scorsa stagione invece lo Stoke è stato la 14esima forza in casa... Snaturati?
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Marko Arnautovic e la 10 dello Stoke City che non vestirà più

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Qual è la neopromossa più cool?

Senza dubbio il Brighton&Hove Albion. Vent’anni fa Brighton era una località sul mare nota per le vacanze studio. Oggi Brighton è nota per essere una località sul mare piena di ragazzi in vacanza studio. Cos’è cambiato, dunque? Il Brighton&Hove Albion, che da una squadra semi-professionistica famosa a metà anni ’70 per essere stata allenata da Brian Clough nel suo passaggio tra Derby County e il “(Maledetto) Leeds United”, è ora una squadra di Premier League con uno degli impianti più belli del Paese, l’Amex Stadium. Chiaramente sono arrivati i soldi e il progetto dietro al Brighton ci ha impiegato anche più del previsto per portare The Seagulls in Premier League, ma dopo 4 anni di sofferenze in Championship tra playoff mancati, sfiorati o persi sul più bello, la squadra ce l’ha fatta. Il suo essere cool è chiaramente legato al fatto che è già data per spacciata da tutti, bookmakers in primis. Io invece penso che Chris Hughton sia un buon manager e che soprattutto abbia un qualche tipo di credito con la Premier League, specie dopo la cacciata al secondo anno di Norwich, quando fu allontanato a squadra in piena lotta salvezza (ma nel momento dell’esonero salva). Chiaro, la rosa è più che altro formata da gente di categoria e il salto in Premier League solitamente è un bel problema (non tanto a livello di impatto, ma sul lungo periodo). Ma la squadra l’anno scorso ha preso pochissimi gol e soprattutto in casa ha perso solo due partite. Se il The Amex riuscirà a essere un fortino anche in Premier avranno chance di salvarsi.

Ranieri prima e Conte poi. Ma anche Ancelotti e Mancini. Perché gli italiani funzionano così bene in Inghilterra?

Perché siamo i più bravi e troppo spesso ce ne dimentichiamo. Tendiamo tutti all’esterofilia, io in primis, ma alla fine la dominanza del campionato italiano fino alla metà dei 2000 ha formato una ‘elite culturale’ – passatemi il termine – di cui ancora possiamo vantarci. Gente che si è formata in quella che era la lega più competitiva del mondo e dentro una scuola tattica di sopraffini maestri. Professionisti che hanno giocato con i migliori o hanno imparato dai migliori. O spesso entrambe le cose, tipo Ancelotti o Conte. Il tutto in quella che era la lega tatticamente più avanzata del pianeta. E’ normale che una volta che esporti il meglio e gli permetti di apprendere due rudimenti della lingua ottieni risultati. Anche perché il campionato inglese è patinatissimo ma alla fine l’idea di fondo è solo quella di mettere in campo dei super-atleti che vadano a duemila all’ora; e lì dentro il tecnico italiano di quella generazione ci sguazza. Stiamo parlando del Leicester che per 38 giornate ha fatto la stessa cosa e ha messo dietro tutte, o di Conte che in tutto lo scorso campionato è stato messo sotto tatticamente solo due volte: a White Hart Lane con Pochettino e a Old Trafford (a campionato ormai praticamente chiuso) con Mourinho. E ha giocato sempre con lo stesso modulo e sempre con gli stessi interpreti. C’è un gallese poi che sembra un italiano di una medio-piccola degli anni ’80 e si salva regolare qualsiasi banda di scapestrati tu gli metta in mano. Che il WBA si salvi anche quest’anno credo non ci sia nemmeno bisogno di dirlo, vero? Morale viva gli italiani che esportano il meglio, ma viva-viva anche Tony Pulis.
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Tony Pulis se la ride dopo quattro chiacchiere con Pep Guardiola

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