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Premier League - Tottenham, 120 giorni di Antonio Conte: tra bilanci, conferenze show, primi scontri mercato e ambizioni

Simone Eterno

Pubblicato 02/03/2022 alle 19:27 GMT+1

PREMIER LEAGUE - In 4 mesi a Londra, Antonio Conte ha già sfoggiato buona parte del repertorio: dai risultati in campo ai problemi nelle coppe, dalle incomprensioni sul mercato a qualche conferenza show. Il bilancio dei primi 120 giorni, di cosa è cambiato rispetto al passato e degli obiettivi da raggiungere con il Tottenham.

Antonio Conte

Credit Foto AFP

120 giorni esatti. Quattro mesi di lavoro. Due eliminazioni (e mezza) in coppa, una rincorsa al quarto posto, un filotto iniziale, una mini-crisi e il solito, ormai, consueto, rapporto difficile con il mercato. In quattro mesi dal suo ritorno in Inghilterra Antonio Conte ha già fatto sfoggio di buona parte del suo repertorio. Inespresso, forse, resta ancora quello sul campo, dove la mano del tecnico salentino, autore al primo colpo in passato del ‘miracolo Chelsea’ – un campionato vinto al primo tentativo davanti a tutti i mostri sacri della panchina, una FA Cup l’anno successivo – non si è immediatamente ripalesata nel nord-est di Londra con la stessa efficacia di qualche anno fa nel sud-ovest della città. Già, perché la Premier League nel mentre ha continuato la propria evoluzione dall’addio di Conte al Chelsea, diventando, se possibile, ancor più complicata e competitiva di quanto già fosse rispetto al recente passato in cui Antonio Conte l’aveva conosciuta. Dal suo addio – con polemiche e strascichi legali annessi al Chelsea – in Premier si sono viste le stagioni da record oltre i 100 punti di Manchester City e Liverpool; con le due guide a marca Guardiola e Klopp che sostanzialmente ancora godono non solo di un vantaggio in termini qualitativi di rosa, quanto di base di lavoro strutturata su cui potersi appoggiare.
A Conte invece è stato chiaro il solito miracolo. Il solito lavoro di rifondazione. Lo stesso portato con successo a Juventus, Nazionale italiana, Chelsea e Inter. E che al Tottenham sta provando a imbastire con la consueta ricetta di sempre: lavoro, lavoro, lavoro, lavoro. Le sue conferenze stampa in Inghilterra, dalla presentazione all’ultima dopo l’eliminazione anche in FA Cup, hanno sempre e soltanto questo filo conduttore. Più che un leitmotif, un mantra. Una sorta di preghiera laica, quella di Conte, ripetuta ossessivamente all’infinito e solitamente in grado di penetrare con successo nella testa dei propri giocatori.
Conte al Tottenham ha trovato una buona base su cui poter iniziare a imbastire il proprio lavoro, ma probabilmente un gruppo meno pronto a fare il salto immediato rispetto a quanto si aspettare. Eppure l’inizio, in termini di risultati, almeno in Premier League, era stato ancora una volta stupefacente. Dallo 0-0 di Goodison Park del 7 novembre contro l’Everton alla rocambolesca vittoria del 19 gennaio contro il Leicester, Conte aveva trovato un filotto di 9 risultati utili consecutivi. Un bottino in grado di rilanciare le ambizioni da 4° posto Champions per gli Spurs, obiettivo dichiarato per la stagione dal club e dal tecnico al momento della firma. Una rincorsa tutt’altro che banale, vista la posizione iniziale degli Spurs al momento dell’ingaggio di Conte – noni a -5 punti dal posto – e tutt’ora alla portata della squadra del nordest di Londra, attualmente settima sempre a -5 dal 4° posto del Manchester United, ma con due partite in meno rispetto ai Red Devils e dunque teoricamente dentro l’obiettivo se arrivassero due vittorie.
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Conte non ci crede dopo un'occasione mancata dai suoi durante Burnley-Tottenham - Premier League 2021/2022

Credit Foto Getty Images

Sul campo però, quello di Conte, è un calcio meno brillante rispetto a quello di un tempo. Più pragmatico e meno spumeggiante, più “italiano” – nell’accezione per l’attenzione alla fase difensiva – e meno internazionale del ìprimo Conte’, quello delle prime due stagioni di marca juventina per intendersi; o per certi versi quello della stessa prima versione inglese. Un paradosso che l’ha portato non a caso a soffrire di più con le squadre teoricamente alla portata del Tottenham, ma anche a sfangare nella trasferta dell’Etihad contro il City capolista di Guardiola. Sì perché dopo i 9 risultati utili in Premier dall’esordio fino a metà gennaio, i 3 ko consecutivi in campionato contro Chelsea, Southampton e Wolverhampton avevano rischiato di rendere vano il lavoro di rincorsa alle altre contendenti Champions; e se oggi gli Spurs sono di nuovo sul treno per provare a prendersi il quarto posto è grazie alla vittoria sul campo del Manchester City, arrivata con la ricetta più vecchia del mondo per provare a giocarsela col palleggio e il calcio posizionale di Guardiola: chiusura a riccio e contropiede. E’ così che Conte ha provato a invertire la tendenza di un club con ambizioni enormi, con un recente passato piuttosto brillante – l’epoca Pochettino, culminata con la finale di Champions League a Madrid nel 2019 – ma anche con un ‘trophy cabinet’ che resta il tema principale di sfottò al club da parte di tutte le altre tifoserie.
Trofei che anche in questa stagione rimarranno a quota ‘zero’ per gli Spurs. Sì perché mentre in campionato Conte lavorava alla sua riconcorsa, le altre competizioni sono state un mezzo disastro per il Tottenham. In primis il ko con il modestissimo Mura in Conference League e la successiva eliminazione da parte della UEFA per l’impossibilità a rimandare la gara decisiva col Vitesse a causa dei casi Covid; poi il doppio schiaffo nell’andata-ritorno di semifinale della Coppa di Lega col Chelsea; infine il ko al 5° turno di FA Cup con il Middlesbrough, squadra al momento ottava in Championship e fuori – seppur di poco – anche dalla zona playoff. Un Conte che si è dovuto scontrare dunque con quel vecchio tasto dolente delle sue gestioni: gli impegni infrasettimanali e la capacità di saper utilizzare al meglio il turnover. Certo, in questo Tottenham, il tecnico italiano non ha trovato la più ampia delle rose da cui poter attingere e il lavoro resta solo all’inizio, ma il dato di fatto delle tre eliminazioni resta. Di cui due, appunto, a causa di sconfitte (il Mura in Conference League e il ‘Boro in FA Cup), contro compagini modeste e arrivate attraverso l’utilizzo delle alternative di formazione che non hanno saputo rendere quanto desiderato.
E qui si arriva a un tema, quello dell’ampiezza dell’organico e del mercato, che è stato nuovamente teatro delle prime frizioni col club. Anche questa non una novità delle gestioni di Conte. Nel mercato di gennaio il Tottenham ha ceduto Tanguy Ndombele, Bryan Gil e Giovani Lo Celso, sostituendoli con Dejan Kulusevski e Rodrigo Bentancur. Movimenti che erano sembrati in qualche modo avallati dallo stesso Conte, in diretto contato con Fabio Paratici, uomo nuovo per le operazioni della proprietà Levy. Sembrava, ma apparentemente così non è stato, visto che pochi giorni dopo la chiusura del mercato Conte si è presentato davanti ai microfoni di Sky Italia rilasciando dichiarazioni quantomeno ambigue: “Abbiamo acquistato due giocatori, ne sono andati via quattro. Sulla carta ci potremmo essere indeboliti”. Parole a cui ha voluto aggiungere definizione comi “prospetti ideali, ma non ancora pronti” riferendosi ai due acquisti Kulusevski e Bentancur. Un’interpretazione passata in Italia e riportata in Inghilterra che ha messo in Tottenham in una sorta di piccola bufera. Soluzione? Il club ha tagliato tutti i rapporti con i media italiani, impedendo a Conte di rilasciare ulteriori dichiarazioni che potrebbero essere mal interpretate. Al di là della questione in sé, quello di Conte si è confermato fin da subito un rapporto piuttosto burrascoso con il mercato. Un campo di battaglia in cui il tecnico è uscito quasi sempre sconfitto. Dal clamoroso addio dopo 2 giorni di ritiro estivo alla Juventus al tema di frizioni col Chelsea, passando – ovviamente – anche per le famose “garanzie” richieste all’Inter e non più trovate, frutto così dell’addio al club dopo solo due stagioni, Conte ha trovato nel mercato e nella profondità della rosa un tema apparentemente ancora dolente.
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Conte: "Forse non sono così bravo. Inaccettabile perdere 4 gare su 5"

Più che altro, però, il Conte di queste settimane inglesi è apparso allergico, come sempre, alla sconfitta. Un tema che ha toccato lui stesso in conferenza stampa, quasi autoaccusandosi di non essere “sufficientemente bravo” dopo la sconfitta con il Burnley, salvo poi ritrattare tutto il concetto sviluppando – con una curiosa traduzione – la metafora dal bastone e della carota.
La verità di fondo però resta piuttosto semplice. La missione Tottenham – per il valore di fondo della squadra, per l’arrivo in corsa, per le rivali presenti, per la competitività e la preparazione dell’ambiente circostante – è probabilmente la più difficile della carriera. Conte, abituato tendenzialmente ad aver poca pazienza, dovrà in qualche modo armarsene in quel di Londra, scendendo a patti non solo con calciatori e società, ma anche con se stesso: servirà tempo. Il primo obiettivo di questa stagione resta allora il 4° posto che vale la Champions League. Un traguardo, dopo soli 4 mesi di lavoro, ancora alla piena portata. E che Conte, da qui alla fine, potrà paradossalmente provare a raggiungere come lui preferisce: ovvero giocando senza coppe, una volta a settimana. Staremo a vedere.
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Conte: "Nessun caso fra me e il Tottenham. Aiuterò club fino alla fine"

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