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San Siro ci ha sempre creduto: ecco perché fa così male

Davide Bighiani

Aggiornato 14/11/2017 alle 08:50 GMT+1

La serata della storica mancata qualificazione dell'Italia ai Mondiali di calcio vissuta dalla pancia dello stadio: in mezzo a un pubblico che non ha mai smesso di crederci e di incitare gli sperduti ragazzi azzurri.

San Siro Stadium - 2017 - Italy-Sweden

Credit Foto Getty Images

Fa male, molto male per una lunga serie di motivi che in queste ore stiamo cercando di mettere in ordine. Ma prima di tutto fa male perché ci credevamo. Eravamo in tanti, tantissimi a San Siro in questa notte, gelida e importantissima: pronti a raccontare il lieto fine di una storia che non era certo una favola ma che avrebbe potuto comunque riservare un finale più dignitoso.

Live the moment

Tensione, tanta tensione prima di entrare in uno dei tempi del calcio italiano, teatro perfetto per una partita dai contorni storici. Ma è proprio la grandezza di questo impianto a togliere un po' di fantasmi e a rasserenare gli animi: "Come si può perdere (o non vincere) in uno stadio così?". Tutti uniti, a supportare - per una volta anche noi nei panni dei tifosi - la nostra Nazionale. 70mila persone a guardare dal basso verso l'alto i tifosi svedesi, relegati al terzo anello ma non per questo meno vogliosi di far festa.
Più si avvicina l'ora X e più sale l'urlo di San Siro, bardato a festa sullo sfondo del verde, bianco e rosso: fischi a Ventura (ci possono anche stare, visto il momento), fischi all'inno (NON CI STANNO, MAI), con il buon Buffon a sottolineare la boiata con un applauso molto significativo. E poi via, si parte, con tanta fiducia dentro al cuore e tanta voglia di dare una mano ai ragazzi azzurri.

Seize the moment

I nostri calciatori sembrano ritemprati dall'atmosfera che si respira a San Siro: c'è fiducia, nonostante tutto e tutti, e i nostri si mettono al lavoro, cercando spiragli nella folta difesa dei giganti svedesi. Barzagli e Chiellini accorciano, Bonucci e Jorginho impostano e là davanti si fa il possibile, con Gabbiadini e Immobile a fare tanto movimento. Arriva qualche occasione, Lahoz sbaglia qualche fischio (sia da una parte che dall'altra, beninteso), il gol sembra nell'aria, ma non arriva, non ancora, e sul più bello finisce il primo tempo.
Bisogna approfittare dell'occasione, del momento. Ma non è ancora tempo di disperare, e lo stadio continua a fare quello che deve, il 12° uomo, a supportare i ragazzi azzurri. Qualche cross di troppo contro i "bestioni" svedesi, calma ragazzi, calma. Darmian è l'anello debole, si vede, e dopo un colpo preso in area avversaria, lascia il campo. I nostri attaccano, passa il tempo e piano pianio comincia a salire la preoccupazione. Florenzi sfiora il gol, e allora qualche dubbio comincia ad affiorare: ma non è che oggi la palla non vuole proprio entrare? -20 minuti al termine, - 15 e ancora nulla, nonostante gli ingressi di El Shaarawy, Bernardeschi e Belotti; a 8 dalla fine, l'inno di Mameli cantato a squarciagola prova a infondere a Buffon e compagni l'ultima stilla di energia. Segno che manca poco - è vero - ma intorno c'è uno stadio che ci crede. Ci crede. Ci credeva.

Il nulla

Sì, perché in men che non si dica anche gli ultimi minuti corrono via; Buffon per due volte sale a sospingere i suoi e a provare la zuccata decisiva. Niente. Non succede niente. E all'ennesimo tiro tentato arrivano tre fischi, impercettibili, perché nessuno li vuole sentire. Ma ci sono. E gli svedesi partono a mille - per la prima volta - verso l'altra parte del campo, quella in cui avrebbero dovuto attaccare. Questa volta per festeggiare, sotto i loro tifosi. Mentre i nostri sono ancora lì, attoniti, e noi con loro. A cercare di capire cosa è successo. E cosa succederà.
Nulla. Perché l'Italia ai Mondiali non ci andrà. Ma la gente rimane sugli spalti, forse a sperare che qualcosa cambi, anche se non potrà succedere. Ormai è andata: 0 gol in 180 minuti contro la Svezia. Sembra impossibile ma è così. E fa male, molto male, proprio perché San Siro non ha mai smesso di crederci.
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