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Ventura perde due volte: l’Italia affonda in campo, il tecnico guarda il dito anziché la luna

Simone Eterno

Aggiornato 11/11/2017 alle 17:42 GMT+1

A Solna una delle peggiori ‘Italie’ di sempre viene messa sotto da una squadra modesta, ma col piano battaglia ben chiaro. Ventura nel post si attacca sfortuna e arbitri, ma così rifiuta di affrontare la realtà dei fatti: dopo due anni di gestione tecnica la sua squadra non ha un’identità ben definita. E a prescindere da ciò che succederà a San Siro, questo, per l’Italia, è un problema…

Head coach of Italy Gian Piero Ventura leave the field after losing 0-1 during the FIFA 2018 World Cup Qualifier Play-Off: First Leg between Sweden and Italy at Friends Arena on November 10, 2017 in Solna, Sweden

Credit Foto Getty Images

dall’inviato a Stoccolma – L’anatomia della sconfitta italiana è nelle parole del post partita:
E’ stata un ko immeritato. Hanno fatto un solo tiro e hanno segnato. E alla Svezia gli arbitri hanno concesso troppo.

La doppia sconfitta di Ventura

Giampiero Ventura perde due volte. La prima, sul campo, sotto i colpi di una Svezia tanto modesta quanto consapevole dei suoi limiti; e per questo capace di mettere la partita sull’unico binario possibile: fisico, grinta, e qualche provocazione al limite del regolamento. L’altra, appunto, nella totale assenza di lucidità dell’analisi dei 95 minuti della Friends Arena di Solna: dove l’Italia ha sbagliato tutto ciò che poteva sbagliare. Interpretazione, atteggiamento, modulo e chi più ne ha più ne metta.
Ma se il primo di questi punti, a danno ormai fatto, è probabilmente il meno preoccupante; il secondo tiene sulle spine un’Italia intera, che di fronte ai 70mila di San Siro dovrà in qualche modo tenere a galla una baracca che affonda.

Formazioni e moduli...

Già perché il paradosso azzurro è tutto nell’ottica di una formazione che a due anni di distanza dalle imprevedibili ‘notti magiche’ della modestissima – ma lucida e concreta – Italia firmata Antonio Conte, a quel modulo e quelle idee è provata a tornare. Salvo essersi dimenticata automatismi e autostima, carattere e concretezza.
Una sorta d’improvvisazione nel momento di difficoltà, come quegli ex presi dalla nostalgia che nella serata più difficile aprono il telefono e compongono il numero di sempre, nella speranza che in qualche modo si possa ricreare la magia di un tempo.
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Immobile - Sweden-Italy - FIFA 2018 World Cup Play-Off - Getty Images

Credit Foto Getty Images

Mossa quasi mai vincente e soprattutto sintomo di due anni di lavoro, evidentemente, finiti nel nulla. L’uno a zero di Stoccolma è anche – e soprattutto – questo: il fallimento del progetto Ventura.
Una gestione nata sotto il di per sé complicato compito di portare avanti l’eredità di Conte in un ‘sistema-Paese’, passateci il termine più da TG Economia, non più in grado di produrre quei talenti sopraffini che una volta erano merce capace di sopperire ai limiti della filosofia e delle scelte tecniche.
Sì perché di recenti nazionali con poche idee infatti – o idee vetuste – se ne sono viste: dai ragazzi di Zoff in Olanda nel 2000 a quelli di Trapattoni 2 anni dopo in Corea e Giappone, defraudati dalla vergona Moreno ma non per questo da dimenticare – come dimostrato poi dall’Europeo 2004 in Portogallo – per l’imbarazzante tasso negativo tra rendimento sul campo/talento e qualità tecniche di base.

L'eredità di Conte sprecata

Un rapporto che aveva clamorosamente – e sottolineiamo clamorosamente – invertito Antonio Conte due estati fa, portando di fatto questa squadra (anzi, la sua versione ancor più modesta) a un calcio di rigore da far fuori i campioni del mondo della Germania. Due anni dopo però i nodi sono venuti al pettine nell’umida serata di Solna, dove la totale assenza di automatismi, movimenti, organizzazione, grinta e passione trasmessi dal tecnico, hanno messo di fronte agli italiani la cruda realtà dei fatti: in una nazionale mediocre, non si può più prescindere da un commissario tecnico di valore assoluto.
Un problema che l’Italia dovrà prendere in considerazione al di là di quello che succederà a San Siro, dove in qualche modo bisognerà provare a sfangarla: se non col gioco – che certamente non arriverà come per magia in due notti – col cuore e la spinta di 70mila italiani sugli spalti.
Poi, comunque vada, sarà tempo per l’esame di coscienza collettivo: perché così, se anche dovessimo andare al Mondiale, non si potrebbe pensare di fare molta strada. E il problema evidente è che questo, dopo la gloria di Berlino, sarebbe il terzo di seguito...
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