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Processo Calciopoli, la Cassazione: "Moggi ideatore e promotore dell'associazione a delinquere"

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Pubblicato 09/09/2015 alle 17:39 GMT+2

Le motivazioni della Suprema Corte sul processo conclusosi lo scorso 23 marzo sono durissime: "Moggi ha commesso sia il reato di associazione per delinquere sia la frode sportiva in favore della società di appartenenza (la Juventus) e ha sconvolto il sistema calcio screditandolo in modo inimmaginabile"

Luciano Moggi (AP/LaPresse)

Credit Foto LaPresse

Nove anni dopo la Cassazione mette la parola fine al processo che nel 2006 rappresentò un vero e proprio terremoto per il calcio italiano: Calciopoli. Le motivazioni della Suprema Corte non lasciano spazio a interpretazioni: "Più che di potere di Luciano Moggi si deve parlare di uno strapotere esteso anche agli ambienti giornalistici e ai media televisivi che lo osannavano come una vera e propria autorità assoluta".

Moggi ha commesso due reati: associazione a delinquere e frode sportiva

Si legge che Moggi è stato il "principe indiscusso" del processo Calciopoli - conclusosi lo scorso 23 marzo con la prescrizione di gran parte dei reati per lo stesso Moggi e per altri imputati - e "l'ideatore di un sistema illecito di condizionamento delle gare del campionato 2004-2005 (e non solo di esse). L’ex dg della Juve esercitò un’irruenta forza di penetrazione anche in ambito federale”. Dalla sentenza 36350 e dalle quasi 150 pagine depositate oggi viene spiegato come “Moggi abbia commesso sia il reato di associazione per delinquere, sia la frode sportiva in favore della società di appartenenza (la Juventus)", ed ha anche ottenuto "vantaggi personali in termini di accrescimento del potere (già di per sé davvero ragguardevole senza alcuna apparente giustificazione)".
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Gianluca Paparesta, socio fondatore del Football club Bari 1908, prima società costituita per accogliere i nuovi investitori interessati al Bari

Credit Foto LaPresse

Giocatori e arbitri in scacco

L'associazione per delinquere diretta da Moggi - spiega la Cassazione - "era ampiamente strutturata e capillarmente diffusa nel territorio con la piena consapevolezza per i singoli partecipi, anche in posizione di vertice (come Moggi, Pairetto o Mazzini), di agire in vista del condizionamento degli arbitri attraverso la formazione delle griglie considerate quale primo segmento di una condotta fraudolenta". Dai giudizi che l'ex dg bianconero esprimeva in tv e sui media "potevano dipendere le sorti di questo o quel giocatore, di questo o quel direttore di gara con tutte le conseguenze che ne potevano derivare per le società calcistiche di volta in volta interessate", rileva la Cassazione nel suo verdetto. Dell'ex dg juventino, la Suprema Corte dice che aveva una "poliedrica capacità di insinuarsi, sine titulo, nei gangli vitali dell'organizzazione calcistica ufficiale (FIGC e organi in essa inseriti, quali l'AIA)". Senza timore di cadere in "enfatizzazioni", secondo la Cassazione, Moggi aveva una "incontroversa abilità di penetrazione e di condizionamento dei soggetti che s’interfacciavano con lui".

Le minacce negli spogliatoi

Luciano Moggi, con le sue ‘incursioni’ negli spogliatoi degli arbitri, al termine delle partite, non solo "non lesinava giudizi aspramente negativi sull'operato dei direttori di gara", ma esercitava un "potere di interlocuzione aggressiva e minacciosa, frutto soltanto di un esercizio smodato del potere: emblematici gli episodi che riguardarono l'arbitro Paparesta e il guardalinee Farneti". La Lega consentiva, infatti, solo visite di cortesia negli spogliatoi da parte dei dirigenti calcistici. In ultima analisi, si legge che “la carica d’interessi ultraindividuali di Moggi è stata particolarmente intensa e tale da sconvolgere l'assetto del sistema calcio, fino a screditarlo in modo inimmaginabile e minarlo nelle sue fondamenta, con ovvie pesantissime ricadute economiche". Senza prescrizione il finale sarebbe stato ben diverso per Luciano Moggi.
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