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15 punti dalla Juventus ma rosa valorizzata: meglio il Napoli di Ancelotti o di Sarri?

Simone Eterno

Aggiornato 22/03/2019 alle 07:29 GMT+1

La pausa per le nazionali ci consente di provare a rispondere alla più delicate delle domande in questa stagione: sta facendo meglio il Napoli di Sarri o quello di Ancelotti? Un'analisi a tutto tondo: dalla questione tattica a quella filosofica. Con una discriminante che sarà decisiva: l'Europa League.

Ancelotti vs Sarri

Credit Foto Getty Images

Partiamo da una chiacchiera, un rumour, una specie di polemica che gira nell’ambiente. Una voce che suona più o meno così: “ah, se il Napoli con Sarri stesse facendo il campionato che sta facendo con Ancelotti, sai quante polemiche”.
Innegabile. Carlo Ancelotti rispetto a Maurizio Sarri gode di miglior stampa. Non è un segreto; così come non è qualcosa di intrinseco. Ancelotti vanta un “credito”, se così possiamo definirlo, per molteplici motivi. In primis certamente quello di aver vinto sempre – o quasi – su qualsiasi panchina si sia seduto. In secundis quello di attirare, empaticamente, più simpatie.
Entrambi sono lì ed entrambi sono due dati di fatto; spiegazione naturale – ma non per questo corretta – in ciò che dovrebbe essere una mera ed imparziale analisi calcistica. E allora sì, la domanda prende decisamente un senso e approfittando della pausa alle nazionali, proviamo a dargli una risposta: con 15 punti dalla Juventus in campionato ma una rosa valorizzata, sulla panchina del Napoli è andato meglio Maurizio Sarri o Carlo Ancelotti?
Vi sono vari punti di analisi per approcciarsi in maniera ampia e corretta alla risposta. C’è una questione tecnico/estetica. Una questione filosofica. Una questione pragmatica. E ognuno di queste pare voler portare con sé il proprio vincitore.

Questione tecnico/estetica: il 'bello' è soggettivo, ma...

Dal punto di vista tecnico, il Napoli di Sarri è stato fin qui senza dubbio superiore al Napoli di Carlo Ancelotti. Sarri ha portato a Napoli – e in Italia – un calcio mai visto prima dentro i nostri confini nazionali. O meglio: un calcio mai visto prima nel rapporto qualità/risultati. Il Napoli della scorsa stagione, con i suoi automatismi prossimi all’ossessività, ha portato un palleggio e un ritmo che sono stati oggetto di ammirazione in tutta Europa; e al tempo stesso, tramite la sua espressione pura sul campo, si è fatto avversario più credibile negli ultimi anni di dominio della Juventus. Sarri ha portato a sovraperformare una squadra dal potenziale sì buono, ma nemmeno lontanamente paragonabile al valore complessivo della Juventus. Ci è riuscito con una rosa qualitativamente e numericamente inferiore e l’ha fatto durando fino alla giornata n°35 di campionato, quando il famoso gol di Higuain a San Siro e l’altrettanto famoso albergo di Firenze, hanno spento i sogni di gloria di una squadra che dopo aver vinto lo scontro diretto a Torino era arrivata fino a -1.
Il Napoli di Ancelotti tutto questo non è riuscito a farlo. La squadra del tecnico emiliano non gioca – anche per scelta – in quella maniera. E la brillantezza, l’intensità e lo spettacolo ammirato negli anni di Sarri al San Paolo sono già un lontano ricordo. Certamente c’è dell’altro, ma dal primo di questi parametri non si può non premiare la squadra di Sarri. Sostenere il contrario, significherebbe essere in malafede oppure non aver visto nulla delle ultime 3 stagioni dei partenopei.
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La 'Curva B' espone lo striscione 'Sarri uno di noi' durante l'ultima partita di campionato 2017/18 Napoli-Crotone

Credit Foto Getty Images

Questione filosofica: integralismo o pragmatismo?

Sul perché il Napoli di Ancelotti non giochi come il Napoli di Sarri, deve scattare però l’altro tipo di ragionamento. Sarri rappresenta una filosofia integralista, di sistema. Ancelotti rappresenta una filosofia pragmatistica e volta al raggiungimento del miglior risultato possibile. L’obiettivo vuole essere lo stesso, ma le due cose sono alquanto diverse.
Da una parte troviamo infatti un tecnico – Sarri – che sulla scia di Guardiola o Klopp impone solo e soltanto un metodo: il proprio. Per andare dal punto A al punto B c’è esclusivamente una strada. Scappatoie e percorsi alternativi non sono praticamente mai previsti. E ciò, in certi casi, può rivelarsi un limite. Con rose ridotte ad esempio – o con rose la cui profondità non permette troppa varianza per la qualità degli interpreti o per come questi abbiano appreso determinati concetti della dottrina – ci si può ritrovare con una squadra corta, ad esempio. Una delle principali critiche poi mosse a Sarri nella sua ultima stagione, incapace di andare oltre l’utilizzo di non più di 13/14 interpreti.
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Insigne, Ancelotti - Napoli-Sampdoria - Serie A 2018/2019 - Getty Images

Credit Foto Getty Images

Dall’altra ne troviamo un altro – Ancelotti – che fatta una rosa, anche per via dell’esperienza internazionale acquisita, cerca di sfruttare al meglio ogni suo possibile interprete. Questo ha concesso al Napoli di questa stagione una varianza, anche dal punto di vista tattico, sicuramente più ampia. Rinunciando però in cambio a praticamente tutto: automatismi ossessivi, bel gioco, risultati dei singoli, come sicuramente dimostrato ad esempio dall’emblematico rendimento di Dries Mertens, passato improvvisamente da bomber letale a pedina alternativa della fase avanzata. Certo, in cambio il Napoli ha guadagnato un Milik in più, parecchie rotazioni offensive, sprazzi di qualche giovane mai visto prima e la possibilità di cambiare pelle, alternando moduli e interpreti e utilizzando quasi tutta la rosa.
Tradotto sul campo? Il Napoli è passato dal -1 dalla Juventus a 3 giornate dalla fine nel 2017/18 al -18 della 27esima di questa stagione (diventato -15 dopo il ko dei bianconeri a Genova). Un buon affare?

Discriminante: vincere

Per rispondere all’ultima domanda sarà inevitabilmente necessario aspettare il finale della stagione, quando l’Europa League si ergerà a discriminante per la risposta. Ciò che è chiarissimo, infatti, è il differente calcolo del rischio adottato dai due allenatori. Utilizzando un paragone motoristico, Sarri ha deciso di sfidare una fuoriserie come la Ferrari con una buona coupé prodotta in catena di montaggio. Con le dovute modifiche, i giusti trucchi e buon pizzico di follia l’automobile di Sarri si è trovata a fare gara alla pari fino a 3 giri dalla fine; fondendo poi brutalmente il motore, ma dando spettacolo a quelli seduti sugli spalti per 35 incredibili tornate percorse a tutta.
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Maurizio Sarri prende gli applausi dello stadio San Paolo al termine di una partita del Napoli

Credit Foto LaPresse

Carlo Ancelotti, di contro, non ha scelto nulla di tutto ciò. Consapevole che provare a ripetere un’impresa del genere, oltre che impossibile, sarebbe stato suicida, il tecnico di Reggiolo ha optato per accettare i limiti naturali della propria automobile e correre alla sua maniera. Pensando, anziché spingendo sempre a tutta; variando la guida, anziché prendendo ogni curva al massimo; ritrovandosi così doppiato da quella vettura irraggiungibile targata 'TO', ma ancora in corsa – e non a caso – sulle scene internazionali, dove la coupé Napoli ha tutte le carte in regola per dire la sua e provare a portare in città un trofeo che manca da una vita.
Due scelte diametralmente opposte e sulle quali si potrà esprimere un parere definitivo soltanto alla fine della corsa. Dovesse vincere in Europa, il Napoli di Ancelotti verrebbe ricordato come una squadra capace di riportare in città un trofeo internazionale di vero prestigio, e dunque verrebbe probabilmente consacrata come superiore. Se così non dovesse essere, nella memoria rimarrebbe il mito di una buona auto che per poco non riuscì a fregare la più scintillante delle Ferrari. Voi cosa scegliereste?
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