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Sarri o non Sarri, la vera domanda è un’altra: Juventus, che cosa vuoi fare da grande?

Simone Eterno

Aggiornato 18/07/2020 alle 16:55 GMT+2

Che senso ha parlare di cambio tecnico quando la scelta Sarri è frutto di un progetto di marketing assai più ampio? Analizziamo l'intero processo decisionale della Juventus: dalle ragioni dell'addio a Massimiliano Allegri fino all'inevitabile nodo legato alla campagna acquisti. Un'analisi a 360° per comprendere sul serio la posizione attuale della Juventus.

Fabio Paratici, Maurizio Sarri, Andrea Agnelli e Pavel Nedved, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Non è una questione da poco. In ballo, in fondo, c’è molto di più di un singolo Scudetto. Dietro il ‘caso Sarri’, sempre che tale si possa realmente definire, c’è infatti una delle decisioni più importanti della storia recente della Juventus. E il riavvolgimento del nastro, per valutare con completezza la questione e andare al di là delle solite insopportabili frasi da bar – o meglio sarebbe dire ‘da social’ – è legata prima di tutto a una domanda: per quale motivo la Juventus ha sostituito Massimiliano Allegri?

Cinque Scudetti su cinque, eppure...

La risposta è presto detta: perché vincere, nel piano di quello che gli inglesi chiamano vision, non è più sufficiente. Vincere è l’unica cosa che conta’ è diventato uno slogan obsoleto persino per la Juventus, che da anni ha varato un’evidente strategia legata al marketing che vuole portare i bianconeri in un’altra dimensione. La dimensione di ‘brand globali’ come Barcellona o Real Madrid, i cui fatturati sono ancora ben lontani da quelli di casa Juventus, e il cui prodotto è immediatamente riconoscibile ad ogni angolo del pianeta. Per fare questo, e per sopperire chiaramente a un sistema nazionale da cui la Juventus aveva già estratto tutto l’estraibile in termini di profitto (dominio in Serie A, diritti TV, stadio di proprietà eccetera), la Juventus ha messo in atto varie strategie.
La prima, più riconoscibile, è stata nello stravolgimento del logo, trasformatosi in una semplice ‘J’. Immediata, d’impatto, riconoscibile in tutto il mondo. In un tentativo insomma molto simile a quello di un noto brand tecnologico il cui nome è un frutto: chiedetevi qual è la prima o la seconda cosa a cui pensate quando vi dicono ‘Apple’. Ecco, ciò che alla Juventus vorrebbero ottenere, è lo stesso processo mentale a tutte le latitudini del pianeta quando si pronuncia la lettera ‘J’.
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Il logo della Juventus allo Stadium

Credit Foto Getty Images

Ma cambiare logo, di per sé, non basta. Non è così semplice. E l’inizio del vero processo di globalizzazione del brand Juventus doveva inevitabilmente passare da evento dalla portata dirompente. L’acquisto di Cristiano Ronaldo ha rappresentato senz’altro un passaggio chiave, con il brand – e qui intervengono vari studi globali a confermarlo – che ha acquisito un’enorme visibilità sulle varie piattaforme digitali. Ma anche questo, da solo, non può essere sufficiente. Perché per un club di calcio, intrattenere – la vera parola importante del discorso da qui in poi – è il 'core-business', ovvero la chiave principale per ampliare la propria fan-base. E qui torniamo alla domanda iniziale: per quale motivo la Juventus ha cacciato Massimiliano Allegri, l’uomo che aveva sempre vinto?
Perché vincere ‘alla Allegri’non bastava più. La solidità, il minimo indispensabile per ottenere il risultato, l’1-0 gestito dal 12’ del primo tempo fino al triplice fischio, cozzavano con la nuova visione globale dell’impresa, il cui obiettivo è aumentare appunto i fan a livello mondiale per ottenere, chiaramente, tutti i vantaggi economici del caso. Il campo dunque che si trasforma non più in fine, ma in mezzo. Da qui la scelta Maurizio Sarri: un uomo che con un decimo del budget e con interpreti assai meno conosciuti dei super campioni bianconeri, aveva incantato l’Europa con il suo Napoli, ottenendo esattamente il tipo di prodotto che sarebbe servito alla Juventus per la sua nuova missione.
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Maurizio Sarri e Massimiliano Allegri prima del Juventus-Napoli 0-1 della stagione 2018-19

Credit Foto Getty Images

Juventus-Sarri, cos'è andato storto?

Circa 12 mesi dopo, però, la Juventus si trova attualmente in una posizione probabilmente più complicata di quanto avesse inizialmente previsto. Di quella brillantezza e della bellezza prodotta dal Napoli di Sarri, a Torino si sono visti brevissimi sprazzi. Qualche scampolo, qua e là. Le due partite con l’Inter e poco altro. Nella risposta al ‘perché’ tutto ciò sia accaduto e stia accadendo, ci sono svariate ragioni e un’evidente contraddizione.
Certamente il tecnico ha avuto dei problemi in termini di adattamento alla nuova realtà, con un Sarri che doveva rivoluzionare l’ambiente Juve e con una Juve che alla fine invece ha attenuato gli impulsi rivoluzionari dello stesso Sarri. Ma al di là di quello che si potrebbe definire un pizzico di mancanza di attributi del tecnico nell'attuazione di alcune scelte, la contraddizione evidente è nella scelta dirigenziale in termini di formazione della rosa.
Per anni alla Juventus hanno adottato infatti un approccio piuttosto evidente sul mercato: vendere i giocatori più appetibili e rimpiazzarli con campioni affermati in scadenza di contratto. Tra i principali meriti di Allegri, qui dentro, c’era stata l’enorme capacità di continuare a produrre risultati nonostante la partenza (o l’addio al calcio) di gente come Pirlo, Vidal, Pogba, Morata, Tevez, Barzagli e il rimpiazzo con i vari Khedira, Pjanic, Benatia, Bentancur, Matuidi e così via dicendo. Un approccio che la Juventus ha proseguito anche nell’ultima sessione estiva, quando a Torino sono arrivati ad esempio due giocatori come Rabiot e Ramsey. Ed è tutta qui la contraddizione: la rosa messa in piedi dalla dirigenza è un gruppo funzionale all’idea di gioco di Sarri? No. La risposta è un secco e semplicissimo 'no'.
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Rabiot e Ramsey, i due nuovi innesti e fin qui oggetti misteriosi o quasi del mercato della Juventus per la stagione 2019/20

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La Juventus di Sarri ha ad esempio iniziato la stagione con soli 3 terzini puri, ruolo fondamentale per lo sviluppo dell’idea di calcio sarriano: De Sciglio, Alex Sandro e Danilo. Non certamente tre fenomeni. E in mezzo al campo, reparto in cui la Juventus è andata più in sofferenza durante tutto l’arco dell’anno, si è vista una quantità infinita di esperimenti, nella speranza di trovare automatismi che alla fine i vari Pjanic, Ramsey, Rabiot e Matuidi non sono mai riusciti a garantire con costanza al tecnico.

Un errore di fondo e una domanda chiave: che strada prendere adesso?

Insomma, quello della Juventus pare un errore concettuale di fondo, ed è per questo che la domanda dovrebbe andare al di là del ‘Sarri o non Sarri’ e trasformarsi in qualcosa di più simile a: cosa vuole fare la Juventus da grande?
Perché se l’idea è quella di continuare con la politica d’acquisto degli ultimi anni - e dunque con una dirigenza che prova a scovare affari e poi sarà compito del tecnico far rendere al meglio gli acquisti - allora c’è un errore di fondo: non è Sarri l’uomo giusto, ma un gestore in stile Massimiliano Allegri. Con tanti saluti però all'idea di intrattenimento da vendere al mondo.
Se, di contro, l’idea è però quella di produrre quel nuovo prodotto di intrattenimento globale in grado di poter fare concorrenza e perché no strappare mercato ai due mega-brand spagnoli e all’aura magica dei club inglesi, allora la dirigenza dovrebbe semplicemente sedersi a un tavolo e chiedere a Maurizio Sarri cosa gli serve per produrre il suo tipo di calcio. Solo tra un anno – o meglio ancora due – potrà tirare le somme e valutare il tecnico.
Il resto è un ibrido che non fa gioco a nessuna delle due parti: ovvero la fotografia perfetta, fin qui, della stagione di questa Juventus.
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