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Tom Brady: quando la grammatica diventa legge

Lorenzo Rigamonti

Aggiornato 25/03/2020 alle 22:42 GMT+1

Il 17 marzo Tom Brady ha annunciato il suo addio ai New England Patriots per approdare ai Tampa Bay Buccaneers. Si chiude un percorso lungo 20 anni, nei quali il quarterback n. 12 ha dimostrato di essere il giocatore più vincente nella storia del football americano. Ma che cosa ha motivato la decisione di rompere un rapporto quasi perfetto? E soprattutto, che cosa rimarrà della sua dinastia?

Tom Brady focus, Eurosport

Credit Foto Eurosport

É sera, Tom Brady mette a letto il figlio Benjamin nella sua magione alle porte di Boston. Quando diventi padre hai sempre la malsana premura di confrontare le paure dei figli con le tue. E Tom ha avuto paura del buio per tanto tempo.
Non avere paura del buio figliolo, conta le pecore.

1...2…3…4…5…6…

6 round per 6 anelli. Ci sono voluti 6 round per scegliere il miglior giocatore nella storia della NFL. Tom da piccolo giocava un po’ a baseball e un po’ a football. Una telecamera solitaria un giorno lo intervista per caso, ai bordi di un campetto. Ha 6 anni.
Cosa serve per diventare un buon giocatore di baseball?
Passa qualche secondo. Il piccolo Tom si perde nel silenzio. “Non lo so”. Buio totale, per la prima volta. Lo stesso di quel draft surreale nella primavera del 2000, stavolta per diventare quarterback. Nessuna franchigia lo degna di una telefonata. Nomi e numeri scorrono inesorabilmente, inghiottiti dall’oscuro presentimento di dover abbandonare tutto per sempre. Il giovane Tom decide di non guardare più. Ha una ferita aperta e il sangue che continua a scorrere, come i quarterback selezionati prima di lui. Esce di casa e gira l’isolato, si siede sull’asfalto con un guanto di baseball in mano.
Poi la telefonata arriva veramente, al sesto round, scelta n.199. Da quel punto i New England Patriots non sono più tornati indietro.
Giovanni Carmazzi era un quarterback selezionato dai San Francisco 49ers nello stesso draft, ben 134 posizioni prima di Brady. Non giocherà mai una partita ufficiale. Oggi è un allevatore di capre, in inglese goats, termine valido anche per definire i G.O.A.T., greatests of all time. Secondo molti, Carmazzi possiede 5 goats. La sesta è rimasta in NFL.

7...8…9…10…11…12…

12, il suo numero. Il numero degli scalini che lo portano in soffitta, al suo studio. Perché di scale Tom ne ha fatte tante. È partito sempre dal fondo di qualsiasi gerarchia pur conservando quella smorfia arrogante, consapevole di essere il migliore. Dagli anni passati a Michigan, in cui il posto era da guadagnarsi ogni maledetto giorno; da quell’inspiegabile blackout al draft che lo tormenta ancora oggi; da quel Super Bowl giocato contro gli Atlanta Falcons, un inferno con annessa resurrezione. Dal giorno in cui, incontrando per la prima volta il proprietario dei Patriots Robert Kraft, gli disse:
Io sono la miglior decisione che questa squadra abbia mai preso.
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Tom Brady Super Bowl 2002

Credit Foto Getty Images

Ora si siede sulla poltrona in pelle vicino la sua scrivania. Ha portato con sé il libro delle favole del figlio. Sfoglia le pagine e legge. Si meraviglia di quante poche parole siano stampate su quei fogli, di quanto larghi siano i caratteri, di quanto allentato sia il racconto rispetto al complesso intruglio di schemi e tracce che è abituato a memorizzare. Si chiede se veramente abbia cambiato il gioco, la sua grammatica. E qui, forse, ancora un po’ di buio persiste. Alla fine una hook si chiama ancora hook, una fly si chiama ancora fly, le west coast offenses esistono ancora… Che cosa rimane di Tom? Che cosa rimane quando decidi di sacrificare tutto per il gioco?
Poi quell’ansia mai invecchiata torna a far capolino dietro al suo cervelletto: la paura di aver cambiato le regole del gioco solo al tempo del Deflategate, niente più. Un brivido. Ci deve essere qualcos'altro. Apre un cassetto di legno, al suo interno una cassaforte contenente dei raccoglitori. Tutte le analisi, le difese affrontate in 20 anni di carriera. Process the game, gli hanno sempre detto. Dissezionalo, seguilo nelle sue infinite curve, risolvilo sfruttando le sue infinitesimali finestre. Frazioni di secondo, baricentri sbilanciati, tempi di reazione; memorizzali, programmali, anticipali. E soprattutto, esegui. Perché la finestra della NFL si apre per tutti, ma solo una volta. È un gioco crudele e impaziente, basato sui risultati. Serve essere uomini d’affari, serve un sistema. Un apparato di regole, di procedure, per arrivare al momento decisivo prima degli altri. Per essere efficaci. Per vincere. E quindi com’è possibile che il gioco non sia cambiato? Com’è possibile che nessun abbia imitato i suoi Patriots? Com’è possibile che se Tom decidesse di staccare la spina all’improvviso, nulla di lui resterebbe impresso nel complesso linguaggio del football? Buio. Tom si incrocia ancora con lo sguardo spaesato di quel bimbo di 6 anni. Il tocco del pendolo da parte a lui riempie il silenzio, diventa assordante.

1…2…1…2…1...2...

Il ritmo binario del pendolo lo infastidisce. Un’altra pacchianata comprata da Gisele? No, non si tratta solo di quello. Il pendolo rintocca a destra e a sinistra. Non c’è un lato da cui inizia e un altro in cui finisce. Le due parti sono complementari, consequenziali. Nessuna è arrivata prima e nessuna è arrivata dopo. Due entità inseparabili, come lui e Belichick.
Ancora oggi pare che la gente non sia in grado di attribuire un merito assoluto alla dinastia Patriots. Il cervello di Bill o il carisma di Tom. La leadership di Belichick o lo studio di Brady. Sono la stessa cosa. Il football li ha fatti incontrare, li ha sovrapposti, fusi in una sola moneta, una sola persona. Prima di incontrare Brady, Belichick veniva da delle stagioni negative ai Browns. Entrambi hanno scaldato la panchina in quella prima stagione del 2000: Brady da rookie inesperto, Belichick da coach sconfitto. La striscia è negativa, 5-11. Belichick martella Brady in allenamento, quasi disgustato:
Ah, insopportabile, fermate tutto. Comincia da capo, Brady.
Poi l’infortunio al quarterback titolare Bledsoe, un nuovo n. 12 che è pronto ad entrare. Il resto è storia. Brady solleva il Lombardi incredulo, alla fine di una cavalcata incredibile. Lì forse i due si sono capiti per la prima volta. Hanno intuito che il loro sarebbe stato un idillio necessario e sofferto, il più vincente nella storia del football. Ecco la lista dei duo allenatore-quarterback con più partite vinte in NFL:
ALLENATORE-QUARTERBACKPARTITE VINTE
Belichick-Brady249
Payton-Brees134
Tomlin-Roethlisberger123
Shula-Marino122
Ci sono momenti però, in cui la convivenza diventa insopportabile. Il 4 febbraio 2018, i Patriots si giocano il loro sesto anello. I Philadelphia Eagles sono affamati, ma azzoppati in più parti del campo. Bill, da cervellone kubrickiano, decide di staccare la spina al suo astronauta preferito. Decide per l’esclusione del cornerback Butler dai titolari solo un giorno prima della gara, decide per una pianificazione approssimativa. Brady viene sepolto dal muro in midnight green, dalla notte, dal buio. Ancora una volta. Un ultimo, anarchico tentativo dalla metà campo fa trattenere il respiro all’America intera, ma non basta. Belichick perde il Super Bowl, ma pareggia i conti con Brady. Gli fa capire che senza di lui non potrà mai vincere, che quello è il loro destino, un quadro maledetto alla Dorian Gray.
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Tom Brady

Credit Foto Getty Images

96...97...98...99...100...

Lo schermo dello studio è acceso. Tom conta le centinaia di filmati della stagione passata, li passa in rassegna uno a uno, facendo zapping con il suo telecomando. Tutti gli altri quarterback della lega staranno dormendo. Lui no. Ma Tom non trova nessuna traccia, nemmeno nei video. Forse è vero, il gioco lui non l’ha cambiato. Se lo continua a chiedere ma non vuole ammetterlo. Ha solo preso in prestito i suoi numeri, le sue traiettorie. Non ha creato niente, il football era sempre lì, in quel libro di favole infantili, scritto prima di lui. Ha solo saputo leggerlo meglio di tutti, ne ha scoperto le radici. Ha saputo eseguirlo fino alla fine, mentre gli altri si piegavano alla sua bestialità. Mentre gli altri rispondevano al gioco colpo su colpo, aumentando intensità e numero di giri, Tom restava calmo e freddo, abbassava il ritmo del cuore. C’era chi sceglieva l’inflazione, il numero più alto, mentre a lui interessava lo zero assoluto. C’è chi ha sempre pensato che per sopravvivere al gioco servivano muscoli d’acciaio ipertesi, mentre lui ha inseguito l’elasticità.
È qui che dobbiamo staccarci dalla scrivania di Tom; perché lui continuerà la sua ricerca fino a tarda notte, e non troverà nulla; perché il mattino seguente deciderà di lasciare i Patriots, dirigendosi verso la Florida.
Proviamo a trovare noi una risposta: il suo regalo più grande al football non si trova sul campo o sui libri di storia. Forse per trovarlo bisogna aprire un’altra cassaforte, quella di Foxborough, il quartier generale dei Patriots. Ecco che la troviamo, quella benedetta grammatica: è impressa in mente e corpo dei giocatori. Per anni i Patriots hanno vinto anelli con atleti semi sconosciuti, improvvisamente rinvigoriti da una ricetta magica che nessuno ha mai saputo decifrare. Essere sempre pronti, freddi, arrivare al risultato in qualsiasi modo. Ripetere, ripetere, ripetere. Rispettare orari, regole, disciplina. Alimentazione e riposo scientifici. Desiderare la vittoria più di qualsiasi cosa, altrimenti non si gioca. Tutto si riassume con il motto della squadra: Do your job. E la mente di Brady è la matrice di tutto. Ha donato una vita sportiva a qualunque giocatore abbia avuto l'audacia di percorrere l'orizzonte descritto dal suo braccio. Un orizzonte e una carriera interminabili, dall'alto dei suoi 42 anni.
La vittoria è sempre stato l’unico obiettivo dei Patriots, un sistema pragmatico, calcolatore, mai fantasioso, mai sazio. E forse il fascino sta proprio in questo. Capire che per vincere più volte non serve essere solo bravi, non serve l’estetica, serve un sistema. Ma il sistema, nel caso dei Patriots e di Brady, non ha mai agito sul codice del gioco. Ha lavorato sui giocatori, sugli uomini che lo definivano. La grammatica di Brady e Belichick si è trasformata in cultura, si è compiuta. E la cultura è praticata dagli uomini. La storia è scritta da loro.

195…196…197…198…199.

Intanto il figlio si è addormentato. Tom apre la porta della cameretta, posa il suo libro sulla mensola. Non sa a quale pecora abbia chiuso gli occhi. Probabilmente è un numero familiare, poco prima del 200, poco prima del numero tondo, dello zero assoluto, della perfezione…La sua carriera è stata un po' così. Un numero, il 199, capace di scacciare la paura del buio.
L’ormai ex-quarterback dei Patriots ha speso tutta la notte in quella ricerca, con nessun risultato. È convinto di averlo cambiato il gioco, perché sa che il gioco ha cambiato lui. Un amore così intenso non può che essere reciproco. È convinto della sua grammatica, di averla trasformata in legge col tempo. Ed è pronto a dimostrarlo una volta per tutte, lontano da Bill. Allora vedremo se saranno gli uomini o il gioco. Se sarà la cultura o la legge. Se l'una avrà ancora bisogno dell'altra per sopravvivere.
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