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26 anni senza Ayrton Senna: da quel 1° maggio la F1 non è più stata la stessa

Paolo Sala

Aggiornato 01/05/2020 alle 08:08 GMT+2

Era il 1° maggio 1994, Ayrton Senna perse la vita nel week end più tragico della storia di Imola. Lasciando un vuoto enorme e chiudendo un'era della Formula 1. Nessun altro campione ha saputo entrare nei cuori degli appassionati come il brasiliano, una passione senza confini e senza tempo.

Ayrton Senna (Williams) - GP of San Marino 1994

Credit Foto Getty Images

Ci sono istanti che entrano violentemente nella vita di noi tutti tanto da farci ricordare esattamente dove fossimo o cosa stessimo facendo: uno di quelli è il 1° maggio 1994, il giorno in cui Ayrton Senna morì tragicamente durante il Gp di San Marino sulla storica pista di Imola. Una tragedia improvvisa e incomprensibile, che in uno dei week end più maledetti che si ricordino seguiva di poche ore quella dell'austriaco Roland Ratzenberger, e che cambiò per sempre la Formula 1 e la sua percezione da parte degli appassionati. Finiva per sempre l'epoca dei piloti 'romantici', adorati per spirito e personalità oltre che per il talento in pista. Perché in Ayrton - bello, colto, poliglotta, ultramediatico, curioso, mistico, 'politico' di natura e sincero fino alla sgradevolezza - c'era ciò che negli anni successivi non c'è stato più in una intera griglia di partenza. E finiva l'epoca d'oro della Formula 1, ridotta oggi a cercare di ritrovare una propria identità tra le mai apprezzate velleità ibride delle grandi case e le tentazioni di americanizzazione da parte dei nuovi padroni di Liberty Media.
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Ayrton Senna

Credit Foto Eurosport

Il week end maledetto

Alle 14.17 di quel 1° maggio 1994 le lancette di molti orologi si sono fermate per sempre. C'è chi da quel giorno non ha più messo piede in un autodromo, chi ha smesso totalmente di seguire le corse, chi ha sentito di aver perso un riferimento prima che un idolo sportivo. Una tragedia inaspettata nella misura in cui è andata ad abbattersi sul campione più amato dell'epoca e forse per questo, oltre che per la sua notoria aura mistica, considerato invulnerabile. Ma la storia tragica delle corse non ha mai fatto sconti in questo senso, e Imola '94 fu il momento in cui la F1 si svegliò di soprassalto dall'illusione in cui si cullava da anni, quella di essere divenuta sicura. Non si registravano morti dai test a Le Castellet fatali a Elio De Angelis (1986), ma quel cupo fine settimana imolese azzerò tutto. Dalla terrificante uscita di Barrichello il venerdì, col brasiliano che se la cavò con parecchie contusioni ed un grande spavento, al gelo calato il sabato, con la fatale uscita alla curva Villeneuve dell'austriaco Roland Ratzenberger, cui si staccò l'ala anteriore dopo una scordolata nel giro precedente. Più che sufficiente per turbare oltremisura Ayrton, al solito il più sensibile in tema di sicurezza, il quale non nascose a diversi amici il proprio disagio in vista della gara. Gara che vide ancora orrore alla prima partenza - una collisione fra Letho e Lamy che costò feriti sia ai box che in tribuna per il volo impazzito di detriti - e poi a quella maledetta curva del Tamburello.

Imola, corsi e ricorsi

Imola e la curva del Tamburello non erano luoghi qualunque per Ayrton. Proprio al Tamburello, cinque anni prima, si era schiantato con la Ferrari in fiamme l'austriaco Gerhard Berger, che sarebbe divenuto di lì a poco il suo più grande amico nel mondo delle corse. E al termine di quella stessa gara, vinta dal brasiliano ai danni di Alain Prost, iniziò la grande rivalità fra i due, evocata plasticamente dalle mani addosso nel paddock prima che la presenza dei giornalisti consigliasse loro di proseguire la disputa al coperto. E sempre in riva al Santerno, nel suo primo anno in F1 con la Toleman, Ayrton aveva subìto la più grande onta della sua carriera: escluso dai qualificati mentre il compagno Ceccotto centrava la griglia di partenza. Ottenuto finalmente il volante dell'ambita Williams dopo il ritiro di Prost, quel 1° maggio 1994 trovò il modo di salutare via radio l'ex rivale giunto al muretto ("Un saluto al nostro amico Prost, so che è appena arrivato. Alain, ci manchi!"). Poi il semaforo verde dalla pole, e quello schianto insensato dalla posizione per lui più naturale: davanti a tutti. E con una bandiera austriaca dentro l'abitacolo da sventolare due ore più tardi, a vittoria ottenuta, per ricordare Roland.



Il processo e le responsabilità

Si capì poi che la morte del campionissimo fu causata da un colpo di malasorte assurdo: l'impatto, sia per l'angolo che per la relativa decelerazione, non era stato letale, ma un pezzo di puntone della sospensione anteriore era schizzato come un proiettile centrandolo proprio sulla visiera, l'unico punto debole del casco, sfondandogli il cranio. Inutili i pur efficientissimi soccorsi imolesi: alle 18.04 fu dichiarato morto a Bologna. Ma alla tragedia sportiva ci fu un seguito giudiziario in cui emersero altre amare verità. Da un'inchiesta del settimanale Autosprint si aprì la questione del piantone dello sterzo rotto, e le successive perizie dimostrarono come mostrasse segni di fatica dopo essere stato tranciato e saldato per dare maggiore spazio al pilota all'interno dell'abitacolo. Mauro Forghieri, ex ingegnere Ferrari chiamato a far parte del collegio peritale, definì criminale l'aver mandato in pista un pilota in quelle condizioni. Il lungo iter processuale accertò come precisa causa dell'incidente il cedimento del piantone, con assoluzione al capo-tecnico Williams Patrick Head per sopraggiunti termini di prescrizione. E a questo proposito va sottolineato come il processo Senna abbia a suo modo segnato una curiosa inversione di ruoli rispetto ai canoni: l'Italia, patria di insabbiamenti, verità di comodo e misteri, giunse ad una verità tecnica, probatoria e giuridica che finirono per coincidere, laddove gli inglesi si nascosero dietro i 27 'non ricordo' di Damon Hill o al 'nulla di strano' di Coulthard relativamente all'ultimo camera-car di Senna.



Il vuoto lasciato da Ayrton

La morte di Ayrton Senna ha lasciato un vuoto incolmabile nei cuori degli appassionati e nel Circus. Prova ne sia che, in un mondo che brucia vicende e personaggi nel giro di pochissime settimane, il ricordo di Ayrton è tutt'oggi più vivo che mai. Quel maledetto pomeriggio imolese ci ha privato di uno dei campioni più talentuosi e dei personaggi più ammalianti di sempre, e probabilmente ci ha anche privati di vicende sportive potenzialmente entusiasmanti. Di certo non si è potuto consumare il duello con l'allora emergente Michael Schumacher, e molto probabilmente ci siamo persi ciò che in molti all'interno del Circus davano per scontato: l'approdo, prima o poi, a Maranello. Perché anche Ayrton aveva un sogno fin da bambino, quello di guidare la Ferrari di quel vecchio poster di Gilles Villeneuve appeso sulla parete di casa.
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