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Lewis Hamilton, il cinico con le stimmate del campione

Daniele Fantini

Pubblicato 26/10/2015 alle 11:11 GMT+1

Quando la forza mentale, alla fine, fa la differenza: Lewis Hamilton ha vinto ancora una volta lo scontro psicologico con Nico Rosberg, aggiudicandosi Gran Premio e Mondiale con tre gare di anticipo. La differenza, più che nella guida, sta tutta qui: nella testa

2015 GP Austin, Lewis Hamilton, Mercedes (LaPresse)

Credit Foto LaPresse

In F1 pilota e macchina sono un tutt’uno, con la vettura da considerarsi un’estensione corporea del driver. In uno sport che dovrebbe essere tutt’altro che fisico, il contatto fa invece parte del bagaglio tecnico che ogni pilota dovrebbe avere: la fisicità e l’aggressività si traslano dal pilota alla monoposto, e il momento in cui due ruote si toccano, beh, è considerabile alla stregua di una spallata. Un gesto che intimidisce, sottomette, fa sentire all’avversario la propria forza, la fame, la grinta, la voglia incontrollabile di vincere anche a costo di rischiare e mettere a repentaglio la propria incolumità.
La differenza tra Lewis Hamilton e Nico Rosberg, due piloti che negli ultimi anni ci hanno abituato a una convivenza difficile, stridente e stentata, compagni solo sulla carta ma rivali in tutto e per tutto in pista, sta probabilmente qui: Nico è troppo educato, troppo signore, troppo rispettoso e, nei momenti in cui prova a esternare la propria rabbia, lo fa in modo incontrollato, auto-lesionista. Lewis, invece, ha le stimmate del campione: è cinico, astuto, freddo, capace di controllare e incanalare le proprie emozioni nel verso giusto. Insomma, per farla breve, è un po’ stronzo, con tutte le connotazioni del termine. D’altronde, è difficile vincere di fioretto, in qualsiasi sport, figurarsi in uno in cui si corre da soli a 300 km/h e il concetto di “squadra” è di quanto più aleatorio possibile.
Il contatto alla prima curva tra Rosberg e Hamilton - l’ultimo di una lunga, lunghissima serie – c’è stato. Non durissimo, anche perché in gran parte assorbito dagli pneumatici, ma ficcante, tagliente, uno di quelli che non fa male, ma che ti entra nella testa, affossandoti psicologicamente. L’analogia con gli altri sport è chiara e palpabile: il classico colpo che non ti stende, non ti fa troppo male, ma che ti mette soggezione, ti innervosisce, ti colloca in una posizione/situazione di inferiorità psicologica rispetto all’avversario. Il lavoro è tutto mentale, e in uno sport come la F1, dove non si può prescindere dalla lucidità di testa, si sente, eccome. Hamilton l’ha usato con sapienza e malizia, l’ha usato subito, alla prima curva, come per dire al compagno-rivale: “Ma dove stai andando? Qui ci sono io, passo io. Punto”.
Rosberg ha accusato il colpo, e non soltanto perché ha visto la sua pole position sfumata per un contatto alla prima curva. Ha dovuto ricominciare una gara in rimonta, alle spalle delle Red Bull, con la mente fumante e il cuore che batteva a mille. Di puri nervi, ha ripreso in mano il controllo della gara con un sorpasso simile a quello di Hamilton, ma di una pulizia stilistica e di guida da applausi: a lui, la parte del cattivo non riesce proprio. Ma, esaurita la fiammata di rabbia, Rosberg è dovuto tornare a fare i conti con i propri fantasmi mentali, perché un conto è cavalcare il momento della scarica forte di adrenalina, e un altro è controllare gli stessi impulsi sul lungo periodo.
Nico non ce l’ha fatta, soccombendo alla pressione di una gara mentalmente iper-stressante nel finale: ha sbagliato in maniera inspiegabile, puerile, quasi commovente, dopo aver visto le safety car annientare ripetutamente i suoi vantaggi e riportargli Hamilton a contatto. Probabilmente, in quel momento Lewis si sarebbe accontentato anche del secondo posto, in chiusura di una gara regolare, senza sbavature né squilli, ma il lavoro sporco svolto in precedenza e in questi anni di convivenza in Mercedes ha giocato alla fine in suo favore, in maniera anche totalmente improvvisa e inaspettata. D’altronde, i campioni vincono anche e soprattutto così. Non di fioretto, ma di spada.
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