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Gli alti e bassi di Dovizioso, una zavorra sul Mondiale: ora a Sepang per vincere e sperare

DaOAsport

Aggiornato 24/10/2017 alle 08:29 GMT+2

Dal nostro partner OAsport.it

Andrea Dovizioso al box Ducati durante le prove libere del GP di Misano, San Marino, 2017

Credit Foto Getty Images

Arrivare alla penultima gara stagionale ancora con chance di titolo, anche se ridotte all’osso, spiega che il campionato 2017 di Andrea Dovizioso sia stato, comunque vada, di alto livello e, per le previsioni di inizio anno, sorprendente. Il pilota romagnolo, dopo una lunga e avvincente cavalcata, si ritrova con la bellezza di 236 punti (suo record assoluto nella classe regina) ma con 33 di ritardo da un Marc Marquez che, dal Gran Premio di Francia di fine maggio in poi, non ha più sbagliato un colpo.
Oggettivamente Dovizioso non ha molti motivi per recitare il “Mea culpa”. Non ha commesso errori eclatanti, è stato competitivo quasi ad ogni Gran Premio, ha disputato la stagione della vita, manon è bastato. Anzi, per giunta rischia di vedere svanire definitivamente ogni sogno di rimonta già domenica mattina a Sepang. Su cosa può, quindi, recriminare il pilota nato a Forlimpopoli?

Gli alti e bassi del Dovi: troppo discontinuo

Per andare a cercare il classico pelo nell'uovo si può sottolineare come il ducatista sia stato un po’ troppo discontinuo nel corso di questi 16 appuntamenti disputati. Per avere la meglio di un rivale come Marc Marquez, c’è poco da girarci attorno, bisogna essere perfetti. Sempre. E sperare che lo spagnolo commetta qualche errore, che prima o poi arriva, ma in questo 2017 il campione del mondo in carica ha saputo concentrarli in avvio di anno, prima di una risalita inesorabile e rabbiosa a suon di vittorie.
A inizio stagione, per esempio, Dovizioso non ha vissuto il suo migliore momento. Dopo il secondo posto all’esordio a Losail è arrivata la sfortunata caduta a Termas de Rio Hondo. Aleix Espargaro, infatti, andò a travolgere il portacolori della Ducati eliminandolo e togliendoli punti pesanti. All’epoca la Desmosedici era ancora una lontana parente di quella attuale e i risultati successivi lo hanno confermato. Sesto ad Austin, quinto a Jerez e quarto a Le Mans.
A quel punto è arriva la prima svolta con il doppio successo Mugello-Barcellona. Un primo picco che ha visto subito un’altra discesa con il quinto posto di Assen (nel quale si limitò a gestire la situazione con l’arrivo della pioggia), poi ottavo al Sachsenring e sesto a Brno al ritorno dalle vacanze. Piazzamenti lontani dal podio che, alla lunga, sono pesati. Dopo la nuova doppietta Zeltweg-Silverstone, sono arrivati il terzo posto di Misano (anche in questo caso senza correre troppi rischi sul bagnato) e un pesante settimo ad Aragon. Quindi vittoria sontuosa a Motegi prima del tredicesimo posto di Phillip Island.
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Dovizioso Marquez

Credit Foto Getty Images

Marquez: una macchina da podi

Quando Marc Marquez non ha vinto (va ricordato che ha totalizzato tre “zero” in stagione), in qualche modo è sempre salito sul podio. Dovizioso, per demeriti suoi o della moto, non c’è quasi mai riuscito. Lo spagnolo della Honda in 13 GP conclusi è salito sul podio in ben 11 occasioni. L’italiano su 15 gare portate fino alla bandiera a scacchi ha centrato solo 7 podi, meno del 50% del totale. La differenza, guardando i freddi numeri, è tutta qui. Per vincere un titolo occorre sì una moto veloce e performante, ma allo stesso tempo grande costanza ad alti livelli, cercando sempre di alzare l’asticella perché ogni punto può fare la differenza.
A questo punto per “Desmo Dovi” le chance di titolo sono ridotte veramente al lumicino. La trasferta di Sepang, pista favorevole per la Ducati, come spiega la vittoria della passata stagione, parte con il morale basso e la consapevolezza che, oltre ad una vittoria, servirà un passo falso di Marquez. 33 punti da gestire sui 50 possibili sono una vera e propria assicurazione sulla vita per il numero 93, e il suo quarto titolo è davvero ad un passo. Per il romagnolo questo finale va vissuto con la mente libera di chi non ha più niente da perdere e, in vista del 2018, dovrà saperne cogliere ogni aspetto, per farne tesoro e presentarsi ancor più agguerrito per puntare di nuovo ad un titolo che, oggettivamente, non è certo un’utopia.
Alessandro Passanti
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