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Manuel Bortuzzo: "Sono vivo per 12 millimetri. Tra 10 anni voglio tornare a camminare"

Stefano Dolci

Aggiornato 04/11/2019 alle 16:34 GMT+1

Il giovane nuotatore, sulla sedia a rotelle dopo essere rimasto gravemente ferito in una sparatoria, è intervenuto come ospite a Che tempo che fa dove ha presentato la sua biografia 'Rinascere': "Se il proiettile avesse colpito 12 millimetri più in basso, avrebbe colpito l'aorta addominale e avrei avuto 90 secondi di vita. Per 12 millimetri sono qua".

Manuel Bortuzzo, LaPresse

Credit Foto LaPresse

“Rinascere”. Si intitola così la biografia di Manuel Bortuzzo che da domani sarà in tutte le librerie e che racconta il percorso di ripartenza del giovane nuotatore, vittima di una sparatoria alla periferia di Roma nel febbraio 2019 che gli ha provocato una lesione midollare. Ospite a “Che Tempo che fa” su Rai2, Bortuzzo ha raccontato il percorso intrapreso 9 mesi fa, i progressi, i miglioramenti e l’ambizione che lo sprona ad andare avanti, quella di tornare a camminare entro 10 anni.

"Sono ancora qui per 12 millimetri"

Se il proiettile avesse colpito 12 millimetri più in basso, avrebbe colpito l'aorta addominale e avrei avuto 90 secondi di vita. Per 12 millimetri sono qua. Rileggendo questo libro mi sono accorto che non sono cambiato, sono rimasto quello che ero prima. La prima volta in cui sono tornato in piscina è stato molto forte. Era quella la mia paura più grande.
Un intervento che ha attirato tanti applausi e generato tanta commozione da parte del pubblico sorpreso dalla forza di volontà di un ragazzo con una grande voglia di vivere.
La lesione midollare che mi hanno diagnosticato non è completa. È una notizia pazzesca, come tutto quello che ho fatto in questi nove mesi e ho sempre voluto tenere per me. Quando non si parla di cose di cui si è sicuri, con la medicina è sempre meglio andarci con calma. In questo libro ho voluto annotare tutti i miei progressi, i miei miglioramenti.

Il capitolo di Rinascere: "L’anno in cui ho ricominciato a vincere"

In anteprima la casa editrice Rizzoli ha fatto uscire un’anticipazione di un capitolo del libro in cui il 20enne nuotatore triestino ha parlato dei giorni di riabilitazione dopo il tremendo incidente del 2 febbraio 2019.
Sono uscito dall'ospedale dopo appena due settimanedi ricovero. Un record, considerando che ero entrato in fin di vita, avevo subito due operazioni tutt'altro che banali e avevo perso l'uso della parte inferiore del corpo. Ma non per me: sono sempre stato abituato a dare il massimo e l'ho fatto anche in questa circostanza. D'altronde non ne potevo più di stare inchiodato a quel letto, di dipendere da qualcun altro in tutto e per tutto. Volevo riguadagnare il prima possibile la mia autonomia, o quanto meno quella che la mia nuova »posizione« mi avrebbe concesso, e l'unico modo per farlo era cominciare a poggiare le chiappe su una sedia a rotelle e imparare a conviverci. Il 18 febbraio sono stato quindi trasferito alla Fondazione Santa Lucia, dove sono rimasto fino al 5 maggio. Tre mesi in cui ho imparato di nuovo a vivere, ma in carrozzina. Già, perché in effetti era proprio come se fossi un neonato incapace di muoversi da solo, privo anche dei minimi requisiti di autosufficienza. Non solo non riuscivo ad alzarmi, non ero nemmeno in grado di girarmi su un letto matrimoniale: la prima volta che mi hanno chiesto di fare questo esercizio e mi sono ritrovato lì disteso e immobile, con la fisioterapista che mi spronava e mi diceva: "Forza, Manuel, prova a metterti su un fianco", mi sono sentito veramente un uomo a metà. Mi veniva da piangere. Non era solo sconforto, c'era anche tanta rabbia". Non posso credere di essermi davvero ridotto così mi dicevo. "Non posso passare tutto il resto della mia vita in queste condizioni. Non ho nemmeno vent'anni, c...o". E così mi concentravo, mi impegnavo e cercavo con tutto me stesso di incanalare ogni briciolo di forza che avevo nel tentativo di muovere anche solo un muscolo e girarmi su un fianco, maledizione. Il percorso riabilitativo funziona a step”.
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