I protagonisti di Lillehammer 1994: Di Centa, Compagnoni e la staffetta raccontata da Valbusa

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Aggiornato 16/05/2017 alle 23:50 GMT+2

La stagione degli sport invernali volge al termine e nel nostro viaggio nel tempo di questa settimana vi portiamo a Lillehammer 1994, uno dei momenti più esaltanti per l'Italia alle Olimpiadi invernali

Silvio Fauner Bjorn Daehlie - Lillehammer 1994 (Imago)

Credit Foto Imago

Dominik Paris, Nadia Fanchini e prima ancora Federica Brignone, Federico Pellegrino, Francesco De Fabiani, Dominik Windisch e Dorothea Wierer, protagonisti fino a questo momento di una stagione di sport invernali che sembra riportare l’Italia ai fasti di un tempo, quando i nostri sulle nevi se la giocavano con le nazioni migliori al mondo. Davanti alle vittorie azzurre la mente non può che ritornare alla più luminosa delle Olimpiadi invernali, almeno per quanto riguarda la nostra nazionale e nel nostro viaggio nel tempo nella storia olimpica di questa settimana vi portiamo indietro di 22 anni, a ripercorrere i momenti più entusiasmanti e le imprese di Lillehammer 1994.
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Lillehammer 1994

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Solo due anni dalla precedente edizione

Il 12 febbraio 1994 si apre la XVII edizione dei Giochi Olimpici invernali. Dalla precedente Olimpiade, quella di Albertville, sono passati solo due anni e non i quattro usuali, questo per fare in modo che, da lì in avanti, le Olimpiadi invernali ed estive non siano più nello stesso anno.
Il dato di per sé ci dice poco, ma a tutti gli effetti questa anomalia nel computo degli anni permette all’Italia di sfruttare a distanza ravvicinata i campioni che proprio in quegli anni dominano le gare di coppa del mondo. L’alfiere della nazionale azzurra durante la cerimonia di apertura è Deborah Compagnoni, reduce dall’oro in supergigante nell’edizione precedente, e nella delegazione azzurra sfilano, tra gli altri, nomi come quelli di Alberto Tomba, quattro medaglie, di cui tre d’oro, nelle ultime due edizioni dei Giochi e Stefania Belmondo, oro, argento e bronzo ad Albertville.

Aspettative, risultati e sorprese

Le maggiori speranza sono sullo sci alpino anche in virtù del fatto che nel fondo, altra punta di diamante della delegazione italiana, i norvegesi sembrano davvero inarrivabili. Nella nazionale di casa gareggia Bjørn Dhæhlie, colui che a fine carriera sarà ricordato come l’atleta più vittorioso di sempre nello sci di fondo, e oltre alla corazzata norvegese, sostenuta da un pubblico immenso, a contendersi i podi con gli italiani ci sono la Finlandia e la solita Russia.
Le aspettative però vengono, almeno in parte disattese. Dall’alpino arriva il solo oro della Compagnoni in gigante, mentre Tomba si ferma sul secondo gradino del podio in slalom speciale e il medagliere azzurro viene completato dai due bronzi di Isolde Kostner in discesa e supergigante.
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Deborah Compagnoni

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Gli italiani ancora non lo sanno, ma lo slittinista che sale sul terzo gradino del podio nella gara individuale maschile è destinato a diventare una leggenda dello sport azzurro. Il suo nome è Armin Zoeggeler e quella di Lillehammer è la prima di sei medaglie olimpiche per altrettante edizioni dei Giochi a cui prenderà parte. A monopolizzare l’attenzione del pubblico per quanto riguarda il budello è però la medaglia d’oro nel femminile di Gerda Weissensteiner, già campionessa del mondo a Calgary l’anno precedente.
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Luge 2011 Armin Zöggeler

Credit Foto LaPresse

L’Italia chiude la rassegna olimpica con 20 medaglie, quarta nel medagliere davanti a paesi come Stati Uniti, Canada e Svizzera. Un risultato del genere lo si deve soprattutto alla poderosa prestazione della nazionale di fondo, che conquista nove medaglie e si rende protagonista di imprese sportive difficilmente ripetibili. Manuela Di Centa va a medaglia in tutte e cinque le gare femminili, ma a far sobbalzare il pubblico a casa è l’inaspettato oro della staffetta maschile, che per l’occasione vi facciamo raccontare da Fulvio Valbusa, commentatore tecnico di Eurosport per lo sci di fondo e campione Olimpico a Torino 2006.
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Fulvio Valbusa - Italy 2005 (Imago)

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Ricordi da Lillehammer

Credo che sia stata una delle Olimpiadi più belle. Là a Lillehammer si respirava davvero l’aria olimpica. Quando un atleta partecipa ai Giochi, si aspetta la magia e lì l’atmosfera sembrava davvero fatata: eravamo nel regno dello sci di fondo e viverla proprio là era un sogno. C’era davvero tanta gente, eravamo nella media di 100-150mila spettatori a gara. Per la staffetta maschile del fondo ce n’erano addirittura 250mila, numeri impensabili per qualsiasi altro sport. Io ero la riserva di Maurilio De Zolt, quindi, pur essendo coinvolto, l’ho vista da fuori, ma è stato qualcosa di unico. La gente del posto ci teneva, i norvegesi erano i più forti e dovevano vincere. Quello che ha fatto l’Italia, quindi, è un’impresa pazzesca. C’era veramente un tifo da stadio, sembrava di essere al Maracanà. Quando Bjorn Daehlie e Silvio Fauner hanno imboccato il rettilineo finale, scoppiava l’impianto. Dopo il traguardo, invece, sembrava che si fosse spento tutto: c’è stato un silenzio di tomba durato almeno mezzo minuto. Poi il pubblico si è ripreso e ha cominciato a fare festa per i vincitori. Perché questa è la loro cultura, una cultura sportiva che noi purtroppo non conosciamo. Alcuni tifosi italiani, che in quell’occasione avevano affittato uno spazio in un campeggio vicino all’impianto per alloggiare, dopo la nostra vittoria esposero una bandiera lunga almeno 30 metri nella loro area, una zona dove gli spettatori transitavano a piedi tornando dalla gara. Beh, i norvegesi passavano di lì, s’inchinavano davanti al tricolore e cantavano il loro inno come tributo alla nostra vittoria. Per noi sarebbe impensabile: per fare un paragone calcistico, sarebbe come se la nostra Nazionale perdesse in casa contro l’Honduras. Saremmo più propensi ad arrabbiarci e a trovare alibi. Loro invece no. Quella gara, poi, segnò per sempre Daehlie: da allora non volle più essere l’ultimo frazionista in staffetta per non ripetere la stessa esperienza e proprio da quel momento, comunque, è nata la rivalità nello sci di fondo tra Italia e Norvegia: loro non aspettavano altro che Torino 2006 per prendersi la rivincita, ma non ci sono riusciti… Quell’Olimpiade mi è rimasta dentro, perché è insito nella cultura sportiva norvegese onorare in quel modo gli avversari e portare un tale rispetto. C’era un’atmosfera inimmaginabile: alla fine tutti applaudivano e dopo quella gara hanno cominciato a chiamare per nome noi italiani per incitarci, qualunque posizione occupassimo.
(intervista di Ilaria Bottura)
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