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Si chiude l'era Hirscher, fenomeno unico alla ricerca della perfezione

Marco Castro

Aggiornato 05/09/2019 alle 14:40 GMT+2

A 30 anni, il campione austriaco lascia lo sci da numero 1 dopo una carriera da record. Otto Coppe del Mondo, una bacheca traboccante di trofei e la capacità di diventare un atleta trasversale: è iniziata ufficialmente una nuova epoca.

Hirscher

Credit Foto Eurosport

Gli occhi sono vagamente lucidi. La voce, nonostante gli sforzi, si spezza a più riprese. Marco Buechel, nella veste di moderatore, ascolta con attenzione. Chi è presente a Salisburgo e chi guarda da casa non ha dubbi su ciò che sta per dire Marcel Hirscher. E l’austriaco non regala colpi di scena. “Oggi è il giorno in cui si chiude la mia carriera”. Non è un fulmine a ciel sereno, non è un terremoto inatteso. Ma quando saluta uno così, schivare i pali dell’emozione resta impresa assai ardua.
Volevo lasciare al top [Marcel Hirscher]
Lasciare da numeri 1 non è mai banale. A volte centrano gli infortuni, altre la voglia di continuare senza arrendersi al declino degli anni o il timore di scegliere una nuova vita. È allo stesso tempo un privilegio e un atto di coraggio. E Hirscher, di paura, non ne ha mai avuta. Figlio di un paese dove lo sci è una religione e un atto quotidiano, degno erede nei cuori austriaci del mito in bianco e nero di Toni Sailer e del bionico Hermann Maier – giusto per citarne un paio - , Marcel ha preso in mano il libro sacro di questo sport e ne è diventato l’ultimo profeta. Spazzando via ogni asfissiante pressione, fenomeno di un’Era che porta il suo nome.
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Marcel Hirscher celebra l'oro in gigante a PyeongChang 2018

Credit Foto Getty Images

Una storia iniziata nel 1989, sfiorando, almeno temporalmente, un’altra data storica dello sci. Il 16 febbraio di quell’anno, Ingemar Stenmark vince la sua 86esima e ultima gara di Coppa del Mondo sulle nevi di Aspen. A distanza di 8500 chilometri e 11 giorni nasce ad Annaberg im Lammertal, nel salisburghese, il futuro signore della neve. Che a nemmeno tre anni viene messo sugli sci da papà Ferdinand. Hirscher cresce negli anni del Wunderteam austriaco, epoca luminosa come poche altre per i colori biancorossi e in cui è facile innamorarsi. Dalle faville juniores al battesimo in Coppa del Mondo, tenutosi nel gigante di Lenzerheide del 17 marzo 2007, il talento innato si appaia all’ambizione propria dei fuoriclasse.

Il palmarès di Hirscher

I numeri incredibili di Marcel Hirscher
Hirscher il maniacale. L’impero costruito dal 2011/12 ad oggi non ha eguali, per estensione, nella storia dello sci alpino. Perchè se la natura è stata generosa, lui ci ha messo un’etica del lavoro rara per cercare di diventare il più grande. Ferocia agonistica. Dominio mentale. Impareggiabile continuità. Con il baricentro basso e due querce granitiche al posto delle gambe, Marcel è stato una macchina da guerra progettata per padroneggiare le prove tecniche. Con la capacità di alzare l’asticella all’occasione, respingendo in serie le ambizioni dei rivali. Chiedere, uno su tutti, a Henrik Kristoffersen. Hirscher era un satanasso con il dono e il difetto di non accontentarsi mai. Ogni secondo posto era per lui una sconfitta, ogni sbavatura un punto da cui ripartire per raggiungere la perfezione.
"Stare concentrato sui miei obiettivi è un lavoro quotidiano per me. Sono in forma e non mi sento arrivato, non ho ancora raggiunto il massimo. Per cui sto ancora lavorando sulla 'curva perfetta', gara dopo gara [Marcel Hirscher, 2015]
Hirscher l’antidivo. Un carattere agli antipodi di quello dell’istrionico Alberto Tomba, per intenderci. Poco incline ai riflettori della mondanità e introverso per natura, l’austriaco è riuscito anche nell’impresa di conquistare molti detrattori di inizio carriera. Dalla fama diffusa di antipatico, Marcel si è guadagnato il rispetto incondizionato che spetta ai più grandi. E poi, ancor più preziosa, la stima dei colleghi. Proprio Kristoffersen e Alexis Pinturault, probabilmente i suoi più grandi rivali, gli hanno riservato parole d’affetto dopo l’annuncio del ritiro. Sentite e non dovute. Hirscher saluta così, dalla cima della montagna che lui e pochi altri hanno saputo scalare. Con l'amaro in bocca di chi desiderava riempirsi nuovamente occhi e cuore delle sue prodezze. Ma con l'aura dorata del Re. Alles Gute, Marcel.
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