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Nadal è principesco: 11esimo titolo a Monte Carlo, Nishikori s'inchina in finale

Fabio Disingrini

Aggiornato 22/04/2018 alle 18:14 GMT+2

Oltre il muro dei record, Rafael Nadal batte Kei Nishikori 6-3, 6-2 all'epilogo di Monte Carlo. Dal 2005, ha vinto il torneo monegasco 11 volte ed è il suo 54esimo titolo su terra battuta: domati Thiem, Dimitrov e il ritrovato giapponese, Rafa è più che mai ingiocabile sul rosso.

Monte Carlo Masters 2018, Rafael Nadal

Credit Foto Getty Images

Che non vincesse un torneo da ottobre Pechino è un dato di poco conto, perché quando arriva la primavera e inizia la stagione rossa, Rafael Nadal è il solito dittatore. Trentunesimo Mille della carriera e di questi 24 su terra; 76esimo titolo dal torneo polacco di Sopot (2004), 54esimo sul rosso. Se quello scorso è stato l'anno della doppia cifra di Monte Carlo, Barcellona e del decimo magnifico trionfo al Roland Garros, oggi Rafa s'eleva oltre il muro dei record sulla strada del mito.
Senza Federer e "senza Djokovic", ci chiedevamo chi potesse sconsacrare la gloria terrena di Nadal sul trono dell'Impero Rafaelingio: questo primo torneo rosso, dal suo principato monegasco, dice che la risposta è nessuno. Prima della Coppa Davis, lo spagnolo non giocava a tennis dagli Australian Open: in tre giorni, ha cancellato Thiem che credevamo unico suo antagonista, Dimitrov in semifinale e un ritrovato Nishikori all'epilogo. Lui sì che ha mostrato per un set, servendo addirittura per il 3-1 iniziale, di avere gli attrezzi per disturbare Rafa: per un set e non oltre visto che Kei, pure al rientro da lunga degenza, ha poi deposto le armi su un campo di battaglia rosso sangue.
Come Federer, Rafa Nadal è una leggenda senza fine. Lui che è caduto sulla terra rifiutando una normalità impossibile, perché due anni fa perdeva da Fognini a Barcellona e noi come coccodrilli a scrivere del suo sipario. Pensavamo che, senza il catalogo delle (infinite) soluzioni di Roger e con una proprietà fisica spremuta dall’eroica usura, Nadal non potesse uscire dal baratro di una crisi che invece, come Roger, ha rigettato trasformando il suo tennis. Senza più zio Toni come tutti i suoi antagonisti che cambiavano coach per rinnovare i loro colpi, Rafa s'è rivelato giocatore d'attacco per accorciare gli scambi su una superficie, la terra battuta, dov'è sì più facile trovare il ritmo di gioco, ma anche perderlo per l'arsura del sole o la fatica di scambi durissimi.
Mentre Federer cambiava racchetta sublimandosi nel serve&volley, anche Nadal ha spostato una misura del suo tennis dalla parte del rovescio per ovviare a una naturale perdita di profondità. Oggi che che i suoi muscoli brillano al sole, che le gambe si muovono su sandali di mercurio, che il suo feroce grido di battaglia è tornato a squarciare il cielo, che il suo top-spin è ancora un'arma di distruzione. Oggi che ha questa nuova varietà di gioco e una dolce resistenza all'età, oltre alla certa assenza di rivali credibili, l'impero rosso di Rafa è la più bella storia scritta su terra con una spada di grafite. Dal suono veloce dei nuovi mondi alla terra rossa del vecchio continente, c’innamoriamo del tennis, innamorati dei suoi due più grandi campioni.
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