Sinner e Alcaraz batterebbero i Big Three? La domanda che intossica il dibattito tennistico contemporaneo che semplifica e distorce

TENNIS - I recenti picchi di eccellenza toccati da Sinner e Alcaraz stanno intossicando il dibattito tennistico contemporaneo che si domanda se davvero è possibile sostenere che Jannik e Carlos stiano giocando un tennis migliore (cioè più efficace) di quello consegnato alla storia da Roger Federer, Rafa Nadal e dal miglior Novak Djokovic? Una querelle da spiaggia che risulta quanto mai azzardata.

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Ipotesi di partenza: Sinner e Alcaraz rappresentano l’evoluzione naturale di Federer, Nadal e Djokovic, e il loro tennis abita già un piano superiore rispetto a quello in cui hanno vissuto per un ventennio i tre grandi. Un’opinione che serpeggia soprattutto tra i nuovi appassionati e, per la verità, viene sorretta da pareri di un certo peso: secondo l’ex numero uno del mondo Mats Wilander, i due attuali oligarchi del tennis contemporaneo hanno raggiunto un livello di gioco "mai visto prima". Hubi Hurkacz, che ha affrontato entrambe le generazioni di fenomeni, sostiene che Sinner e Alcaraz abbiano ulteriormente alzato l’asticella tecnica del Tour, costringendo chi ancora non si era arreso (Nadal, e infine il sopravvissuto a tempo determinato Djokovic) a rincorrerli.
Pat Cash, campione a Wimbledon nel 1987, colloca Sinner e Alcaraz in una dimensione altra rispetto alla scuola Federer–Nadal. E poi c’è Andre Agassi, che ha vinto tutto, e che ha detto: "Alcaraz difende come Djokovic, ha potenza e rotazione come Nadal e ha mano e finezza come Federer. Ma solo perché possiede il meglio di tutti e tre non significa che possa fare ciò che hanno fatto loro: nel gioco contano le scelte in campo, gli infortuni, la fortuna e altri fattori".
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Ecco: se torniamo all’estate 1995, quella dei duelli fantasmagorici tra Sampras e Agassi, la meraviglia di noi appassionati veniva solleticata da scambi a ritmi mai visti prima, tanto da farsi trama per spot pubblicitari rimasti nella memoria.

L'INTENSITA' ROTANTE E L'EVOLUZIONE DEL GIOCO

E se oggi osserviamo quegli scambi di trent’anni fa, la palpebra non scende per noia, magari no, però rispetto al gioco attuale si percepisce una differenza netta. Era già tennis moderno, quello lì: i picchi erano alti, uno come Greg Rusedski tirava la prima a 240 all’ora; semmai, non la tirava sempre così forte, e non era in grado di tenere percentuali alla Mpetshi Perricard. Insomma: la dinamica era già veloce, un dritto in corsa "sparato" da Pistol Pete poteva benissimo gareggiare con le accelerazioni odierne. Ma il pacchetto complessivo di scambi che componevano una partita restava privo di quell’intensità rotante (velocità, continuità, topspin) che è ormai una cifra del tennis di oggi.
Greg Rusedski in battuta al Roland Garros 1996
Greg Rusedski in battuta al Roland Garros 1996Credit Foto Getty Images
I motivi sono molti, e in gran parte noti: l’evoluzione degli atleti, della preparazione, della scienza di alimentazione, prevenzioni infortuni e così via. Poi, a inizio Duemila, l’arrivo della corda Luxilon e suoi epigoni portò una mutazione spesso sottovalutata: rimbalzo più vivo, topspin più estremo, e in conseguenza diretta la trasformazione delle dinamiche dello scambio — più ritmo, più profondità, più intensità.
Eppure, no: il tennis non è diventato una sfida a cannonate da fondocampo. Uno studio recente dell’Università di Padova, sull’analisi della dinamica degli scambi, ha confermato ciò che già l’occhio esperto suggeriva: in un dataset di quasi 500.000 punti, la moda (cioè il valore più frequente) degli scambi è 1 — ace o servizio non risposto — mentre la mediana oscilla tra i 2 e i 3 colpi, e solo il 2–3% dei punti supera i 15 colpi, a seconda della superficie.
Per restare in tema, il tennis del 2025 è più veloce e più "rotondo", e lo confermano altre statistiche: secondo varie fonti post-2000, l’intensità media degli scambi è aumentata del 20–30%, grazie a un maggiore uso del topspin, più potenza, e più capacità di prolungare la traiettoria — la profondità, spesso, vale più della velocità di picco. Meglio un dritto a 120 all’ora a un palmo dalla riga di fondo che uno a 130 in mezzo al campo.
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INDIZI E SUGGESTIONI A UN QUESITO SENZA RISPOSTA

Ma tutto questo non risponde ancora alla domanda che intossica il dibattito tennistico contemporaneo: davvero possiamo sostenere che Sinner e Alcaraz stiano giocando un tennis migliore (cioè più efficace) di quello consegnato alla storia da Roger, Rafa e dal miglior Nole? Purtroppo, gli incroci sul campo non aiutano molto. Djokovic, lo sappiamo, ha battuto sia Sinner sia Alcaraz, ma quando i due erano ancora in divenire. Dal celebre match in Davis del 2023 in poi, però, non ha più trovato la chiave per disinnescare il ritmo infernale di Sinner, e Alcaraz gli ha assestato due colpi duri a Wimbledon 2023 e 2024. Anche se l’oro olimpico e la vittoria australiana di quest’anno hanno parzialmente restituito qualcosa al vecchio Nole. Ma sostenere che Djokovic, dal 2023 in poi, fosse ancora al livello dei suoi giorni migliori sarebbe, diciamo così, coraggioso.
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Sinner e Nadal si sono affrontati quando Jannik era ancora in piena evoluzione, due volte a Parigi, una a Roma, tra il 2020 e il 2021: otto set a zero per Rafa. Alcaraz e Nadal hanno disputato due (su tre) sfide serrate, una vinta da Rafa sul cemento, l’altra da Carlitos sulla terra madrilena — quella meno cara a Nadal.
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Sinner és Nadal a 2021-es Roland Garroson

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E Federer? Too old. Cinque anni in più di Rafa, sei più di Nole: non ha mai incontrato né Sinner né Alcaraz. C’è però un episodio, indiretto ma forse simbolico: Grigor Dimitrov era avanti due set a zero su Sinner a Wimbledon 2025, prima di infortunarsi. Dimitrov, che lo scrivente — con ironia e non perfidia — ha soprannominato "il generico di Federer", non è mai riuscito a reggere l’urto contro i Big Three: 1-7 contro Roger (l’unica vittoria su Federer infortunato), 1-14 contro Rafa, 1-13 contro Nole. Certo, una partita non fa una carriera, e Wimbledon — per quanto domato da un’erba più democratica dai primi anni Duemila — resta un territorio speciale, vivo, adatto a chi (eh, chi?) varia tagli e giocate.
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In mancanza di impossibili sfide dirette, o di match dove il fattore età ha giocato prima a favore dei vecchi e poi dei giovani, possiamo solo ricorrere agli indizi. Se Sinner e Alcaraz incarnano il massimo della potenza moderna, del ritmo, dei riflessi e dell’atletismo, è tutt’altro che semplice tracciare un confine netto tra generazioni adiacenti: le sfumature stilistiche, le superfici, i momenti — sportivi e mentali — costruiscono un mosaico che sfugge ai soli numeri.
Ma davvero si può sostenere che Nadal, con 14 titoli a Parigi, 112 vittorie in 116 partite e l’ultimo trionfo nel 2022 (non 2002...), non sarebbe stato in grado di reggere l’urto contro questo Sinner o questo Alcaraz sul centrale del Roland Garros? Il Federer più pregiato, dal canto suo, ha mostrato una padronanza sull’erba che ha pochi paragoni nello sport: basti dire che, a quasi 38 anni, arrivò a due match point per vincere il nono titolo a Wimbledon. Il Federer del 2017 — otto mesi su una nuvoletta, nonostante l’età — avrebbe potuto benissimo proporre a Sinner un tennis simile a quello mostrato da Dimitrov. Ma di qualità superiore.
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Più complicato, per gioco di incastri, immaginare un Federer–Alcaraz sull’erba: una sfida più intricata per Roger, contro un avversario che, però, non ha la continuità né di Nadal né di Nole. Sicché il più "avvicinabile" dai nuovi dominatori sembra proprio Djokovic: il serbo pare superato nel suo stesso tipo di tennis da Sinner, e soffre anche contro Alcaraz. Ma Djokovic — lo ricordiamo — è l’uomo che ha spezzato il duopolio Federer–Nadal, che ha domato due volte Rafa a Parigi e che ha battuto tre volte Roger a Wimbledon. Un rebus vivente.
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Ecco perché l’argomento da spiaggia "Sinner e Alcaraz batterebbero i Big Three" semplifica e distorce. Anche perché la vicinanza tra le due ere non costringe a grandi capriole mentali: Nadal a Parigi è un monumento, Federer sull’erba è poesia, Djokovic un maestro dell’enigma tattico e non c’è bisogno di pensarli attrezzati con nuovi telai, nuove corde o rivoluzionarie teorie di preparazione fisica.
Alcaraz ha nelle mani un mix esplosivo di doti, Sinner è una macchina sparapalle quasi perfetta. Quando Taylor Fritz — che ha giocato contro i vecchi sovrani e contro i due nuovi — dice che i big di oggi tirano più forte, sottintendendo che siano più difficili da battere, dice una cosa tecnicamente corretta ma incompleta: nessuno dei tre sosteneva scambi col dritto a una media di 123 km/h, come fa JS. Ma bisogna anche arrivare a quell’impatto ideale. E se c’era un genio nel far giocare scomodo l’avversario, quello era Roger. Così come le "arrotate" di Rafa sarebbero ancora oggi una montagna difficile da scalare, anche per queste fuoriserie che si dividono gli Slam.
Perciò no: dare per archiviata — e superata — la generazione appena tramontata è un azzardo. E, con ogni probabilità, è un errore.
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