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Essere Novak Djokovic: la voce del padrone nel trionfo della meccanica

Fabio Disingrini

Aggiornato 01/02/2016 alle 12:13 GMT+1

Nel primo mese del 2016, ha vinto per la sesta volta gli Australian Open e superato nell’head-to-head sia Roger Federer che Rafa Nadal. Il Career Slam passa per Parigi, il Grande vale un regno e quest'anno Novak Djokovic, con buona pace di certi puristi del tennis, può diventare il giocatore più forte di sempre

Novak Djokovic

Credit Foto AFP

Nel primo mese del 2016, Novak Djokovic ha vinto il torneo di Doha, s’è confermato per la sesta volta agli Australian Open e ha superato nell’head-to-head Rafael Nadal (24/23) e Roger Federer (23/22). Inoltre, battendo Andy Murray per la quarta volta in finale a Melbourne, Nole ha già completato la nuova collezione invernale dei suoi scalpi, regolando subito le più fresche ambizioni degli altri Fab… Perché il serbo parrebbe proprio intenzionato a dominare anche questa stagione di tennis dei primati.

Il mio regno per il Grande Slam

Novak Djokovic è un uomo solo al comando. Numero 1 del tennis mondiale da 83 settimane, 184 totali; imbattuto, se si esclude la “morbida” sconfitta nel round robin delle Finals di Londra (poi vinte contro Federer...), da Cincinnati, 23 agosto 2015. Detentore di 3 major (Australian Open, Wimbledon e US Open) in attesa del Roland Garros per completare il suo Career Slam e modellare le speranze dell’impresa più grande: quel Grande Slam che nel tennis maschile manca dal 1969 ad opera di Rod Laver, unico nell’Era Open. Uno strapotere dettato su tre continenti: con il sesto trionfo di Melbourne, Nole eguaglia il campione australiano (e Bjorn Borg) a casa sua, sul suo campo, nella classifica all-time dei plurivincitori slam (11), a -1 da Roy Emerson, -3 da Sampras e Nadal, -6 da Roger Federer.
Djokovic è il miglior tennista della storia?

Se il tennis riscrive le leggi della robotica...

Il tennis di Novak Djokovic è una risorsa totale e automatica, un equilibrio perfetto di ordine e regolarità. Il suo corpo è una sintesi meccanica di forza, velocità e resistenza. La sua testa è come un cavo elettrico senza cali di tensione. Djokovic è un totem di ghiaccio bollente, un prototipo in continua evoluzione e insieme una macchina finita: giocare contro Djokovic significa rimbalzare contro un muro, non uscire mai dall’apnea, relegarsi alle corde per restarci, traversare un miglio verde, caricarsi una croce sulla strada del calvario. Nel 2015, il serbo ha vinto 11 tornei (3 slam, 6 Masters Mille, un ATP 500 e il “Master di fine anno”) e accumulato un prize money di 21,592,125 dollari con uno score di 82 vittorie e 6 sconfitte, battuto 3 volte da Federer e in un’occasione da Karlovic, Murray e Wawrinka.

... E sfida i puristi col trionfo della meccanica

Tornando a riflessi più “emozionali”, prima della svolta del 2011, Novak Djokovic sembrava destinato a raccogliere le briciole lasciate dagli indomiti Federer/Nadal e invece oggi, con un netto colpo di racchetta armata, s’è preso lo scettro trasformando la loro diarchia in una dittatura totalitaria, diventando l’invincibile. Ecco uno dei motivi per cui Nole non è (ancora) amato quanto Roger o Rafa, oltre al fatto di non possedere la grazia tennistica dell’elvetico (nondimeno i puristi dovranno cedere alla presa di una nuova estetica “muscolare”) o di esprimere il suo furore agonistico in maniera più fredda e ispezionata rispetto alla colorita iconografia nadaliana. Specie adesso che non può più nascondersi, che sa di essere il più forte e che, nella sua pienezza (dis)umana e sportiva, non ha più bisogno di sfogare urli ferini o sfrenate esultanze.
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Britain's Andy Murray (L) looks on as Serbia's Novak Djokovic speaks while holding the men's singles trophy after Djokovic won their final match at the Australian Open tennis tournament at Melbourne Park, Australia, January 31, 2016

Credit Foto Reuters

Andy Murray e quella speranza umana

Poi c’è Andy Murray, lui sì davvero “sfortunato”, primo spettatore senz’armi dei fasti di Federer/Nadal e oggi respinto dal suo coetaneo Novak Djokovic. Il britannico è stato battuto per la quinta volta in finale a Melbourne, la prima da Federer e poi sempre da Nole, ed è salito ieri sul palco della Rod Laver Arena dicendo: “Mi sembra di aver già vissuto questa situazione!”. Triste e smarrito, per lui la storia si ripete nei passaggi di potere, con una “breve” transizione che gli ha comunque permesso di diventare un campione slam (US Open 2012); di coronare il sogno di una nazione, anzi di un regno, chiamato Wimbledon; di vincere le Olimpiadi da scozzese profeta in patria. Ecco, la sua commozione a Melbourne è stata mossa da motivi familiari perché la moglie Kim sta partorendo il suo primogenito e per questo è la sua “Leggenda”. Così diversa da quel trasporto emotivo per cui scoppiò in lacrime al Championships del 2012, dopo aver perso la finale con Federer. Così più difficile pensare oggi a un trionfo sullo stesso campo, un anno dopo. Eppure, a Wimbledon, Andy Murray fece la storia battendo Novak Djokovic. Che almeno questo gli sia di buon auspicio e felicitazioni.
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