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Milos Raonic, l'uomo nuovo che sfida i FabFour a passi da gigante

Fabio Disingrini

Aggiornato 29/01/2016 alle 00:57 GMT+1

Classe Novanta, nel 2016 ha battuto Federer in finale a Brisbane e ora sfiderà Murray in semifinale agli Australian Open: Milos Raonic fa tremare la terra sotto il suolo dei grandi a colpi di ace e vincenti, ma il suo tennis sta diventando molto di più. Merito di una crescita esponenziale fatta di meccanica del lavoro e "insegnamenti emozionali" della nuova coppia Moya-Piatti

Milos Raonic

Credit Foto Eurosport

Sì, abbiamo l’uomo nuovo: si chiama Milos Raonic, è nato a Podgorica e cresciuto in Canada, non sarà il tennista più talentuoso della sua generazione, ma senz’altro il più esponenziale. Raonic è il giocatore che impara assorbendo e che, a fari spenti, può contare su un grande preparatore come Riccardo Piatti oltre alla nuova preziosa collaborazione di Carlos Moya post Ljubicic. La costante di Milos è il progresso del suo gioco sia da una prospettiva tecnica che in termini di mobilità fisica: tre anni fa il gigante canadese era infatti un big-server con la "solita" e unica combinazione a fare breccia dallo scudo del servizio, colpitore formidabile dalla parte del dritto. Oggi invece, Raonic è migliorato nello scambio da fondo con degli spostamenti laterali più fluidi, ha corretto il suo balance d’appoggio sul rovescio, serve lo slice esterno di seconda per aprire il movimento di entrata nei rally, finalizza molti punti a rete in serve&volley e gioca il miglior dritto inside-out del circuito (lo sventaglio!) esclusi quei FabFour che oggi si ritrova a sfidare con una carica di tennis più ordinato e meccanico.
Se infatti Raonic aveva perso subito la battuta nei primi 3 grandi appuntamenti della sua carriera - persi contro Federer a Wimbledon (2014), Nadal in finale alla Rogers Cup (2013) e Djokovic a Parigi-Bercy (2014) - qualcosa in Milos è cambiato, anzi sta migliorando dopo un anno interlocutorio per un infortunio al piede che gli ha fatto saltare il Roland Garros e peggiorato l’ultimo rendimento slam. Affiancato da Piatti per trenta settimane all’anno, il maestro italiano dice che Milos vuole imparare dai suoi allenatori a interpretare certe emozioni che si hanno sul campo, determinate situazioni strategiche”.
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Canada's Milos Raonic serves during his men's singles match against France's Gael Monfils

Credit Foto AFP

Per questo, dopo Ivan Ljubicic passato nel box di Federer (il canadese ha sconfitto Roger pochi giorni fa nella finale di Brisbane), Raonic ha scelto un ex-numero 1 e vincitore di uno slam come Carlos Moya (Roland Garros 1998) per i suoi passi da gigante: Ho trovato molto interessante il fatto di unirmi ad un tennista che ancora non ha raggiunto il suo apice, che ancora non è tennisticamente al 100% e che abbia ancora un margine di miglioramento - dice Moya. Vedendolo, mi sembrava un giocatore con poco ritmo, ma credo che invece sia un tennista che può giocare bene da fondo campo. Le sue armi devono essere il dritto e la ricerca del punto a rete e per questo serve un certo ordine”.
Proprio così, oggi il canadese ci sembra un giocatore maturato nella gestione dei match, velocissimo, funzionale e meccanico, imbattuto nel 2016, con due brillanti vittorie a Melbourne contro Stan Wawrinka e Gael Monfils. Ci ricordiamo di quei giorni di sole a Wimbledon, quando due anni fa Milos Raonic e Grigor Dimitrov si facevano strada da Enfants Terribles degli anni Novanta, scalpitando fra i grandi. Affiancati così spesso per ragioni anagrafiche malgrado un tennis diversissimo, leggiadro quello del bulgaro, granitico quello del gigante di Podgorica. In quel Championships, Raonic scaricò mitragliate di ace e vincenti mentre Dimitrov consolava i puristi, eliminando il campione uscente (Murray) e sfiorando l’impresa in 5 set con Djokovic. Astri nascenti per la prima volta in Top Ten, ma regolati in semifinale dai maestri: oggi Raonic ha già battuto Federer e sfiderà Andy Murray alla sua seconda semifinale slam, mentre Dimitrov non ha più raggiunto nemmeno i quarti di finale di uno slam e lunedì uscirà dai primi trenta del ranking ATP. Questione di tempra se non basta il talento.
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