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Con il cuore oltre la rete: la resa più bella di Andy Murray campione tra i giganti

Fabio Disingrini

Pubblicato 14/01/2019 alle 23:07 GMT+1

Quarto dei Fab Four, il più grande difensore del tennis moderno ha vinto quasi tutto nell'era di Federer, Nadal e Djokovic. Il match degli Australian Open contro Bautista è il simbolo di una carriera di rimonta e resistenza, spingendosi oltre ogni limite per battere tutti i più grandi: se sarà stato l'ultimo, spesso evocheremo l'ovazione di Melbourne per uno straordinario campione di fatica.

Andy Murray in conferenza stampa agli Australian Open dopo il match di primo turno perso contro Roberto Bautista Agut

Credit Foto Getty Images

Succede che Andy Murray scende in campo a Melbourne dopo l’annuncio del ritiro, le lacrime della vigilia e tutto cambia perché oggi, per ogni punto, c’è l’ovazione di un pubblico che finalmente scopre la sua storia straordinaria. Succede che ora passa a fari spenti il ritorno di Nadal dopo quattro mesi e pure il divo Federer, che intanto chiude il centrale, sta fuori dai riflettori. Oggi è il giorno di Murray, dell’ultima rimonta e dell’ultima volta (chissà) che sfianca il suo corpo, che getta il cuore oltre la rete. Peccato che dall’atra parte ci sia un uomo onesto e gran bel giocatore con la sua regola: Roberto Bautista Agut che qualche giorno fa ha battuto Djokovic a Doha, riflettendo un raggio di umanità su tutto il circuito.
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Difesa, pallonetto e smorzata: Murray fa impazzire il pubblico della Melbourne Arena

Già che non bastassero i sacri doni di Federer e Nadal, ci mancava solo Djokovic, nato una settimana dopo Andy nel maggio del 1987. Tutti i tennisti di questa generazione hanno maledetto il momento dei primati storici. Murray ha invece trionfato (due volte) a Wimbledon, ha vinto gli US Open, la Coppa Davis, due medaglie d’oro alle Olimpiadi, le Finals, 14 Mille, 45 tornei ATP. Ha giocato cinque finali a Melbourne e una al Roland Garros. Sempre s’è scontrato coi tre mostri, spesso ha perso ma tutti li ha battuti: 11 volte Federer, altrettante Djokovic e 8 erano finali, 7 volte Nadal. Per farlo s’è spinto oltre ogni limite. Per rifarlo doveva diventare il migliore difensore del tennis moderno, alzare un muro di grafite da fondo campo.
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Australian Open: Bautista Agut-Murray 6-4 6-4 6-7 6-7 6-2, gli highlights

Sì, lui era il quarto dei Fab Four, era come Ringo Starr, detto poco. Era inglese quando vince e scozzese se perde. Come dopo la sua prima finale a Wimbledon, respinto da Federer l’8 luglio 2012, s’è sciolto in lacrime giurando al suo pubblico che ci avrebbe provato e riprovato. Due mesi dopo, all’epilogo di Flushing Meadows, s’è detto che non avrebbe perso un’altra finale, che era proprio ora di vincere il primo slam. Senza il rovescio (né tutto il resto) di Federer, senza il raggio protonico di Nadal, senza le accelerazioni di Djokovic, dove non ha vinto, Andy Murray è arrivato fino in fondo. Quando Nole è entrato in crisi, nel 2016 dopo il career slam, s’è elevato al numero 1. Inversamente oggi, che Djokovic è tornato l’invincibile, si deve fermare.
Domani, se deciderà d’operarsi un’altra volta all’anca, la sua carriera sarà finita e questi lunghi applausi del pubblico di Melbourne - il sorriso e la commozione di tutti, i due set rimontati al tie break, le corse in ogni angolo, le smorfie e gli occhi al cielo - ce li ricorderemo per sempre come il simbolo della grande carriera di un grande campione. Se invece sceglierà di giocare l’ultimo punto a Wimbledon, sarà perché è lì, a casa sua, in bianco, dove ha vinto 77 anni dopo l’ultimo britannico (Fred Perry) che si deve avverare il sogno di una notte di mezza estate. Come on Andy.
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