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LEGENDS’ VOICE - Tsonga e la finale persa con Djokovic nel 2008: "Un errore far venire i miei genitori in tribuna"

Eurosport
DaEurosport

Pubblicato 27/01/2023 alle 10:42 GMT+1

LEGENDS’ VOICE - A quindici anni dalla finale persa contro Novak Djokovic agli Australian Open in quattro set, l'ex tennista francese, oggi 37enne, si apre ai microfoni di Eurosport: "La presenza dei miei genitori, in termini di emozione, è stata difficile da gestire. Mi ha tolto energia. Poi l'ho battuto altre volte, ma continuo a pensare a quella paritta"

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"I primi ricordi che mi vengono in mente, paradossalmente, non sono immagini del torneo in sé ma dell'avvicinamento ad esso. Avevo fatto molta preparazione, sono arrivato in Australia molto presto, quasi un mese prima degli Australian Open. Ricordo sessioni di allenamento, sessioni in campo e anche partite. Una finale di doppio con Richard Gasquet, per esempio, che abbiamo vinto a Sydney contro il fratelli Bryan. Ero molto giovane, è stato un viaggio straordinario. Stavo vivendo il mio sogno e poi, eccomi qui, in una finale Slam. È un po' come il Santo Graal per un tennista. Quindi non ho un solo ricordo nella mia testa, ne ho molti.
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Quando inizia il torneo, sono molto fiducioso perché fisicamente sto bene. Sono anche un po' incosciente. I pianeti sono allineati per ottenere un grande risultato. Sono determinato. Sono convinto di poter vincere tutto. Certo, se l'avessi dichiarato in pubblico sarei stato deriso. Ma quella era la mia più intima convinzione. La cosa che ti rende un grande campione è convincersi che sia possibile.
Ho battuto Andy Murray al primo turno. Quando era uscito il sorteggio, non ero affatto il favorito. È stata una battaglia, alla fine abbiamo lasciato il campo entrambi con i crampi. Il fatto di aver vinto quella partita ovviamente mi ha dato una spinta. Dopo di che, il tabellone è stato un po' più facile, fino agli ottavi con Gasquet. Per me, all'epoca, era il miglior giocatore francese. Quella partita ha puntato i riflettori su di me.
Poi c'è stato il match di cui nessuno parla mai, contro Mikhail Youzhny nei quarti di finale, ma per me è la mia più grande prestazione di sempre. Lui era in ottima forma, aveva battuto Rafael Nadal 6-1 6-0 nel torneo di avvicinamento a Doha. Ricordo quel quarto di finale come una partita di ping-pong, tre ore senza sosta. La semifinale contro Nadal? Francamente, quel giorno ha prevalso l'incoscienza. Quando ripenso a quella partita, mi vengono in mente punti, volèe... mi dico: "Cos'è questa cosa, da dove viene? Sto giocando un tennis perfetto, le condizioni sono perfette per me. Sono inarrestabile. Eccomi, sono in finale".
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È la prima volta. In realtà era la prima volta che raggiungevo un quarto o una semifinale Slam. La carica emotiva per me non è la stessa di Novak Djokovic, ovviamente. Quando sei reduce dal più grande risultato della tua carriera, è il giorno più bello della tua vita, non ti è già successo otto volte e puoi dirti "Ok, sono felice, ho vinto una partita, ma è solo un passo, la partita più importante è domani". Emotivamente richiede molta più energia provare sensazioni inedite. Nole è nella Top10, ha già giocato una finale Slam, diverse semifinali, ha vinto Masters 1000. Ha tutto questo nel suo bagaglio di esperienze in campo. Lui è già abituato ai big match. Io no. Questo è un vantaggio per lui. Io ho solo la mia follia e il mio tennis.
Comincio bene. Vinco il primo set, faccio un break nel secondo. Mi sento bene, mi piace questa partita. Ma poi mi faccio prendere dalle emozioni, perché è il primo, perché questo, perché quello. Non saprò mai veramente cosa è successo. Quello che so è che dopo la finale di Melbourne, lo batterò quattro o cinque volte di fila. Quindi ho avuto la capacità di batterlo. Ci sono dettagli che a un certo punto mi hanno impedito di vincerla. Ma quando parli di Djokovic, devi sempre mettere le cose in prospettiva.
Se potessi cambiare qualcosa? I miei genitori, che hanno sacrifici per me, sono venuti dalla Francia per la finale. È stato un onore per loro, anche se hanno dovuto volare 24 ore, andata e ritorno in due giorni... È stato un un viaggio un po' folle. Col senno di poi, cambierei le cose, emotivamente forse era troppo. Vengo da una famiglia modesta, con due fratelli. I miei genitori mi hanno sempre supportato nella mia carriera. Nei fine settimana guidavano per 200, 300, 400 km per portarmi ai tornei. Hanno sacrificato del tempo, anche rispetto a mio fratello e mia sorella.
La loro presenza, in termini di emozione, era difficile da gestire. Mi ha tolto un po' di energia. Oggi potrei dire loro: "Papà, mamma, per favore restate a casa, vincerò questa partita e porterò la coppa a casa". Non sapremo mai se questo ha davvero avuto un impatto sulla finale, ma probabilmente farei le cose in modo diverso, sì.
Questa finale, però, mi è servita bene e mi ha aiutato a livello di esperienza. Dopo ho vinto il Masters 1000 a Bercy a fine anno, battendo proprio Djokovic quella settimana. Il problema è che ho analizzato quella finale nel modo corretto troppo tardi. Ti dicono che l'approccio sbagliato è quello tecnico, fisico, mentale. Ma analizzando ogni punto, sentendo le cose dall'esterno, si finisce per impantanarsi. A volte le cose sono molto più semplici. In tutta la mia carriera mi sono chiesto: "Perché ho perso quella finale quando l'ho battuto cinque volte di seguito? Che cosa è accaduto? Non smetti mai di pensarci. Ci provi, cadi, ti alzi, vai avanti, fa parte della carriera di un giocatore".
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