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L'ironia della carriera di Juan Martin Del Potro: 10 anni dopo, è di nuovo l'alternativa a Federer

Simone Eterno

Aggiornato 20/03/2018 alle 11:21 GMT+1

Con il successo a Indian Wells - primo titolo Masters 1000 della carriera - il tennista argentino pare potersi attestare come unica vera alternativa a Federer nel breve/medio periodo. Ironia di una carriera che per Del Potro, dopo mille guai fisici e altrettante risalite, sembra aver riservato il meglio quando è ormai prossimo ai trent'anni.

Juan Martin Del Potro e la sua mitica esultanza braccia aperte al cielo

Credit Foto Getty Images

Chiamarla sfortuna forse non è nemmeno corretto. Si chiama 'condizione di salute', e per mantenerla tale il corpo umano lancia dei segnali. Ricordo ad esempio come lo sport principale praticato dalla mia generazione – pre-digitale, ovvero quando l’intrattenimento alla scuola elementare era fatto da una serie di fogli di carta appallottolati e tenuti insieme col nastro adesivo – fosse una disciplina soprannominata ‘Pallina’. Visto l’assoluto divieto imposto dai dirigenti scolastici di un calcetto tra i corridoi, la soluzione comunemente accettata dalle insegnanti fu una specie di sport giocato con le mani – e rigorosamente in ginocchio sul pavimento – il cui obiettivo era segnare nella porta avversaria. Disciplina piuttosto divertente. ‘Pallina’ prese per lunghissimo periodo piede tra gli intervalli, sviluppando dopo mesi nel sottoscritto una sorta di sacca gommosa sopra le ginocchia che individuata prontamente dai genitori e diagnosticata dal medico di base come dannosa, mise tristemente fine al mio divertimento dentro l’orario scolastico. Un peccato, perché se ‘Pallina’ fosse diventata disciplina Olimpica oggi non sarei qui ma sarei forse dall’altra parte della barricata. Ma ovviamente non è questo il punto.
Il non richiesto amarcord infantile è casomai volo alla diagnosi medica: mentre i compagni di classe continuavano imperterriti e senza particolari problemi, avesse continuato, il sottoscritto, avrebbe avuto dei problemi a reggersi in piedi dopo i 40. Insomma, il corpo aveva lanciato - e bello evidente - il suo segnale; e così come può farlo la ripetitività di un gesto tra i pavimenti di una scuola elementare, tale può essere, chiaramente, anche lo sport professionistico.
C’è chi nasce, cresce, inizia una carriera e ne esce quasi intatto, forse perché nato per fare proprio quella cosa lì; e c’è chi il percorso alla gloria deve guadagnarselo, sudarselo, lasciando sul campo anche dei discreti pezzi della propria salute. La contrapposizione dell’ultima finale di Indian Wells sembrava quasi perfetta da questo punto di vista: da una parte Federer, che esclusi un paio di casi, ha passato una vita praticamente indenne sui campi da tennis; dall’altra Juan Martin Del Potro, che spingendo il fisico oltre i propri limiti ha visto in carriera più infermerie che cerimonie di premiazione. Ma che, in qualche modo, nonostante questo, pare essere nato per fare esattamente la stessa cosa che ha fatto – seppur con meno difficoltà fisiche e parecchio più successo rispetto a lui – proprio Roger Federer.
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Juan Martin Del Potro of Argentina gives an acceptance speech after his victory over Roger Federer of Switzerland in the ATP final during the BNP Paribas Open at the Indian Wells Tennis Garden on March 18

Credit Foto Getty Images

C’è chi continua a chiamarla sfortuna. Ma non è così. Nonostante fossero stati 65 i mesi passati dall’ultima volta in cui il tennista argentino era riuscito a infilare su un campo da tennis undici successi consecutivi. Undici. M.Zverev, Ferrer, Thiem, A.Zverev, Anderson, De Minaur, Ferrer, Leo Mayer, Kohlschreiber, Raonic, Federer. Acapulco prima e Indian Wells poi, in un back to back che gli ha prima consegnato un ATP 500 e poi – soprattutto – il primo Masters 1000 della carriera. Insomma, era dall’ottobre del 2012 che a Juan Martin non riusciva un filotto del genere; e prima di quell’occasione bisognava tornare al 2009, quando in quella mitica estate avrebbe vinto il suo primo – e unico – torneo slam della carriera, battendo a New York in semifinale un tale Rafael Nadal e in finale un signore che quel torneo lo vinceva da 5 anni, lo stesso svizzero superato domenica pomeriggio nella Coachella Valley. In mezzo, durante e anche dopo, infortuni più o meno gravi. Malanni, Guai fisici generali. Fatiche e operazioni chirurgiche. Rientri, risalite, exploit clamorosi, ricadute. In loop, più o meno costante, fino all’altro ieri.
Una carriera da ‘vorrei ma non posso’, insomma. Definizione che meglio di Del Potro nel tennis contemporaneo non porta nessuno. Perché il fatto che l’argentino sappia battere – e spesso li batta – i più grandi non è una notizia. Nessuno più di lui ha sconfitto numeri 1 del mondo non essendo mai stato n°1 del mondo. E’ successo nove volte. Un record, tra i professionisti attualmente in attività. DelPo ha battuto tre volte Djokovic, due volte Nadal e quattro volte Federer quando questi erano al vertice della classifica ATP. In un totale di 20 incroci complessivi contro i n°1. Una statistica del quasi 50% di già per sé rispettabilissima fattura. Un numero straordinario se consideriamo l’unicità e l’eccezionale talento dei 3 avversari in questione, più o meno universalmente riconosciuti come appartenenti alla Top5 dei più forti di tutti i tempi.
Eppure, nemmeno questo vuole essere il punto preso in considerazione quest’oggi. Già perché come tutti gli inesorabili testardi capaci di andare incontro alle avversità e ai segnali del proprio corpo, l’ironia della carriera di Del Potro pare poterlo premiare proprio quando nessuno credeva più in lui. Già perché l’argentino, prossimo ai 30 anni, mai come in questa stagione sembra essere pronto a poter dire la sua. Il 2018 del tennis maschile si sta attestando infatti come un’annata di ancor maggior transizione di quanto non sia stato il già di per sé anomalo 2017. Con alcuni dei tennisti più forti alle prese con condizioni di forma precarie e i baldi giovani che forse così forti ancora non sono – o che per lo meno continuano a perdere nei primi turni dei tornei più importanti – la figura del gigante di Tandil può attestarsi come centrale da qui ai mesi a venire. O, senza fare troppi salti in là e guardare di nuovo all’estate americana, già alla prossima settimana, quando a Miami troveremo uno scenario molto simile al desolante Indian Wells.
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Un 19enne Juan Martin Del Potro posa con il trofeo dopo aver vinto l'ATP di Washington battendo in finale 6-3, 6-3 il serbo Troicki

Credit Foto Getty Images

In Florida lo scorso anno Del Potro perse al terzo turno contro Djokovic, e pensare di scalare ulteriormente posizioni in classifica non è utopistico. Anzi. Il best ranking di n°4 del mondo, raggiunto nel gennaio 2010, dista solo 445 punti e un successo a Miami significherebbe portare il filotto a 17 partite consecutive. Non un record, ma quasi, quando nell’estate 2008 un Juan Martin nemmeno 20enne si palesò agli occhi del mondo infilando 23 vittorie consecutive e imponendosi a Stoccarda, Kitzbuhel, Los Angeles, Washington e arrivando fino ai quarti di finale dello US Open (perse con Andy Murray). Era solo l’inizio della carriera di quel giovanotto che con quel cannone nel dritto sembrava destinato a prendersi il mondo. Con dieci anni di ritardo, Del Potro, sembra essere di nuovo lì. Ma non chiamatela sfortuna. Il destino, spesso, ha solo tempistiche incomprensibili.
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