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Rafael Nadal: l'uomo che cadde sulla terra e le ragioni della sua crisi

Fabio Disingrini

Aggiornato 23/02/2016 alle 15:33 GMT+1

Quando a cadere sono i grandissimi dello sport, la terra (rossa) trema e intorno alle ragioni si scava un baratro, che nel caso di Rafael Nadal è fatto di numeri, impensabili difetti mentali e fatali consumi fisici. Parliamo qui di race, dei gradi di separazione da Roger Federer, del leggendario top-spin e di una normalità impossibile da sostenere quando si respira l'aria del Roland Garros

Rafael Nadal am Ziel, der achte Roland-Garros-Titel ist perfekt

Credit Foto Eurosport

Avremo da chiederci se, a scrivere di Rafael Nadal da un anno a questa parte, non si rischi di diventare come quel Bill che, nel film di Quentin Tarantino, colse l’apice del suo masochismo sparando all'amata Beatrix Kiddo: «Mi trovi sadico? Sai bimba, mi piace pensare che tu sia abbastanza lucida, perfino ora, da sapere che non c'è nulla di sadico nelle mie azioni». Dovremo allora poi consolarci, noi e tutti i fan del più straordinario corpo/atleta del duepuntozero, pensando alle dolci parole del Dottor Živago che non ama la gente perfetta: «Quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato, e così la loro è una virtù spenta, di poco valore. Perché a loro non s'è svelata la bellezza della vita».

RACE: UNA CRISI SANCITA DA NUMERI IN CADUTA LIBERA

L’anno scorso, alla vigilia della stagione rossa europea, Rafael Nadal si presentò con la peggiore race della sua carriera dal 2004, ovvero con 1015 punti prima di Montecarlo. Oggi, Rafa è sedicesimo nella classifica che porta alle Masters Finals con 430 punti raccolti fra Doha (finale, 150 punti), Australian Open (primo turno, 10 pt.), Buenos Aires (semifinale, 90 pt.) e Rio de Janeiro (semifinale, 180 pt.). Per non fare peggio del 2015 quindi, Nadal dovrebbe coprire uno scarto di 585 punti fra Indian Wells e Miami, che sono i primi Mille del World Tour: vincendone uno o disputando una finale (600 punti)? Centrando la semifinale sia in California che a Key Biscane (360x2)? Facile, anzi facilissimo se si parlasse del Nadal monstre; lecito nutrire dei dubbi visti gli ultimi score del “Rafa umano”.

UNA PROIEZIONE DI RANKING PRIMA DEL ROLAND GARROS

Capitolo ranking: Rafael Nadal, che è stato numero uno al mondo per un totale di 142 settimane, occupa dallo scorso 9 novembre la quinta posizione della classifica ATP. Posto che race e ranking non seguono un principio di equivalenza, Rafa ha però già perso punti sia a Melbourne (360-10) che a Buenos Aires (250-90) mentre li ha difesi a Rio (anche l’anno scorso si fermò in semifinale, sconfitto da Fognini) guadagnandone 150 grazie alla finale in Qatar, che è un po’ paradossalmente il suo miglior risultato d’inizio stagione 2016.

RONDINI DI PRIMAVERA, MA LA TERRA (ROSSA) TREMA

Cosa dovrà fare allora Rafael Nadal da qui a Parigi? In termini numerici, i risultati da difendere per non perdere (o migliorare) la quinta posizione del ranking ATP sono: quarti di finale a Indian Wells (Raonic), terzo turno a Miami (Verdasco), semifinale a Montecarlo (Djokovic), terzo turno a Barcellona (Fognini), finale a Madrid (Murray), quarti di finale a Roma (Wawrinka). E se l’anno scorso, di questi tempi, Simone Eterno scriveva nel suo bell’articolo “Al via la stagione del rosso: Nadal e il peso dei record” a proposito di rovesci della medaglia e “discesa dall’Olimpo” (non aveva ancora abdicato a Parigi…), oggi i graffi del re ferito sono diventati ulcere sanguinose.
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Rafael Nadal loses to Fernando Verdasco at the Australian Open

Credit Foto Reuters

LA CRISI DI NADAL NON È COME FEDERER 2013

Quando nel 2013 Roger Federer non vinse nemmeno un torneo a eccezione di Halle, assegnatogli ormai per “elezione terrena”, e fu sconfitto al secondo turno sull’erba dell’altro suo giardino (Wimbledon) dallo sconosciuto Stakhovsky, dopo 36 volte consecutive fra i migliori 8 di uno slam, furono in molti a sveltirsi per brillare nei loro epitaffi. L’intellighenzia del tennis ragionava sul sipario del più grande giocatore del duepuntozero, e intanto Federer cambiò racchetta scegliendo un piatto corde più grande, scelse un nuovo coach nella deriva postmoderna dei vari Murray-Lendl, Djokovic-Becker o Wawrinka-Norman (poi Nishikori-Chang e Cilic-Ivanisevic) e grazie a un altro poeta della racchetta, Stefan Edberg, rinnovò il suo gioco a partire dal volo, riallestendo un campionario di tennis ancora bellissimo e più efficace che nel recente passato.

1. PERCHÉ FEDERER PUÒ GESTIRE LA SUA FATICA

Cosa cambia dalla crisi di Federer (2013) alla flessione di Nadal, più comparabile invece a quella di Björn Borg? In sintesi, Edberg e Ljubicic, rete e servizio: Roger ha misurato nell’ultimo biennio ogni forma possibile di dispendio, dal serve&volley al chip&charge, dalle variazioni in slice al sistema controbalzo, fino al fantasmagorico Sneak Attack by Roger. Come può variare invece il suo gioco Rafael Nadal, allenato senza soluzione di continuità da zio Toni mentre tutti i suoi antagonisti cambiano coach per rinnovare/implementare il loro tennis? Francamente, senza il catalogo di (infinite) soluzioni a disposizione di Federer e con una proprietà fisica che fino a (l'altro) ieri non ha avuto rivali, e invece oggi ci sembra davvero spremuta da un’eroica usura.
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Roger Federer y Rafa Nadal

Credit Foto Eurosport

2. PERCHÉ IL TOP-SPIN DI NADAL DIPENDE DA UNA CRISI MECCANICA

Oggi, cioè da almeno un anno a questa parte, Rafael Nadal ha perso profondità dalla parte del dritto: quel formidabile colpo in cui scolpiva, con il top-spin più letale nella storia del tennis, ogni suo successo. Un‘arma forgiata nella fucina della biomeccanica, con un tiro di cinquemila giri al minuto e il peso di una straordinaria rotazione sempre a carico (e scarico) della gamba sinistra. Come intervenire qui per rimediare a un naturale difetto di forza, è una questione al di sopra delle nostre capacità valutative.
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Rafael Nadal à Roland-Garros (AFP)

Credit Foto AFP

3. PER LA CAUSA IMPOSSIBILE DELLA SUA NORMALITÀ

Non vorremmo mai abusarne, ma nel caso di Nadal dovremo almeno ricorrere anche a un po’ di psicologia spiccia. Basti pensare a come, per la prima volta in carriera da 2 set a zero, ha perso contro Fognini agli US Open; a come si sia arreso, a Melbourne, contro Fernando Verdasco (uno che, prima della criticatissima terra blu di Madrid 2012, aveva battuto 13/13); a come infine sia stato eliminato in doppia rimonta (di set e break) da Pablo Cuevas a Rio. In definitiva, la rotta della sconfitta è entrata nella testa di Rafael Nadal, il pensiero della vittoria in quella dell’avversario che oggi - si tratti di Berdych, di Fognini, di Verdasco, di Thiem, di tale Michael Berrer, perfino di Dustin Brown o naturalmente di Djokovic - affronta Rafa con la giusta coscienza di poter battere L'uomo caduto sulla terra.
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