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Marcell Jacobs si racconta: "Né doping né botte di c**o: ori a Olimpiadi e Mondiali frutto del lavoro di una vita"

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Aggiornato 04/04/2022 alle 12:50 GMT+2

ATLETICA - Marcell Jacobs si racconta a 360 gradi in un'intervista ad Aldo Cazzullo: "Né doping né botte di c**o: ori a Olimpiadi e Mondiali frutto del lavoro di una vita".

Jacobs: "Contro quelli forti trovo l'1% in più che mi fa vincere"

Il campione olimpico e mondiale Marcell Jacobs è stato intervistato da Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera a margine del trionfo sulla distanza dei 60 metri Mondiali Indoor a Belgrado. Tantissimi i temi affrontati dal fuoriclasse di Desenzano del Garda, ecco alcuni degli stralci più significativi di un'intervista a 360 gradi:

Oro Mondiale sui 60 metri indoor.

"È stata la vittoria più difficile. Venivo da un’annata super, in cui mi era andato tutto bene. In molti avevano sollevato mille dubbi: sarà deconcentrato, non avrà più fame… Tanti non conoscono l’atletica, pensano che si possa vincere l’Olimpiade così, con una botta di culo. Dovevo far capire che Tokyo non è stata un caso. È il frutto del lavoro di una squadra, di una vita. La finale mondiale dei 60 metri indoor può essere durissima, e non solo perché alla fine vai a sbattere a 50 all’ora contro un materasso. Avevo contro Christian Coleman: campione del mondo e recordman in carica, che era stato sospeso e quindi doveva riguadagnarsi tutti i contratti. E io ogni anno provo a saltare la stagione indoor, perché sono pigro, ma poi il mio allenatore mi costringe...»
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Jacobs, oro mondiale nei 60 m con record europeo: rivivi l'impresa

Lo stop dopo l’Olimpiade

«Perché era stata una stagione lunghissima, complicata da un infortunio. E l’energia nervosa si era spenta. Avrei rischiato di farmi male».
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Jacobs, oro fenomenale nei 100 metri: il film del trionfo

I soldi persi

«Lo so, ma non fa niente. Questo sarà l’anno più importante della mia vita: ci sono i Mondiali e gli Europei. E avrò gli occhi di tutti puntati addosso. Mi studieranno per capire come battermi».

Le voci sul trasferimento in America

«Si sono inventati un sacco di cose. Perché dovrei andare a vivere in America? Io sono italiano. Già ho lasciato Desenzano per Roma...».

La mancanza del padre

«All’inizio sì. Lo subivo. Poi mi sono abituato, e non ci ho pensato più. Dal restarci male sono passato alla mancanza di sentimento: papà non c’è, e basta. Mia madre Viviana ha trovato un nuovo compagno, e nel giro di due anni sono nati i miei fratelli, Niccolò e Jacopo. Quando avevo tredici anni mi hanno portato a Orlando, in Florida, per incontrarlo (il padre, ndr). Siamo andati a Disneyworld con i suoi parenti americani, è stato divertente. Ma non siamo rimasti in contatto. Fino a quando non l’ho cercato, per ritrovarlo Si chiama come me, Lamont Marcell, ma è molto diverso. Mamma dice che sono identico a lui da giovane, ma non è vero: lui è decisamente più brutto (Jacobs sorride). È più alto, un metro e 98, e più ciccione. Ed è senza capelli. Come me. Lo odiavo per essere scomparso, poi ho cambiato prospettiva. E ho vinto. Siamo riusciti a mantenere un rapporto. Ci scriviamo su Messenger, la chat di Facebook. Il 17 settembre mi sposo, e dall’America verranno in diciotto: lui, la zia, la nonna, due zii, i cugini... E dall’Ecuador verranno i parenti della mia donna, Nicole».

Sugli abbandoni della famiglia Jacobs, dal bisnonno in giù

«È una ricerca che abbiamo fatto con la mia mental coach, Nicoletta Romanazzi. Dovevamo ricostruire la catena degli abbandoni per spezzarla: come se ci fosse una maledizione da sfatare. Non era detto che dovesse essere per forza così, anzi, io non dovevo farlo succedere. Toccava a me interrompere la negatività. Anche per questo ho deciso che dovevo prendermi cura di Jeremy, che è nato quando avevo vent’anni, e ne compie sette a dicembre. Finita questa intervista parto per Desenzano, dove vive, e mi fermo una settimana. È vero, l’ho visto poco. Sta in un’altra città, e d’estate quando è in vacanza io gareggio in giro per il mondo. Ma sono suo padre, e per lui ci sarò sempre. Gli ho regalato l’I-pad, con cui facciamo le videochiamate».

Idolo: Carl Lewis?

«No. Andrew Howe. Italiano e mulatto, come me. Ero in Calabria quando vinse l’argento ai Mondiali, e davanti alla tv ho pensato: un giorno salteremo insieme».

Dal salto in lungo alla velocità

«Ogni salto era una fitta alle ginocchia: cartilagine usurata, continue infiltrazioni di acido ialuronico. Nel 2019 però mi sento finalmente in forma. Europei indoor di Glasgow. Primo salto: lungo, ma nullo. Secondo salto: lunghissimo, ma nullo. Se sbaglio anche il terzo sono fuori. Mi cede la gamba, faccio un saltino. Paolo si mette a piangere; io vorrei, ma non ci riesco. Allora decidiamo di passare alla velocità. Ancora una volta, il problema è diventato una fortuna».

Voci sul doping

«Non mi hanno toccato per nulla. Sono state messe in giro da persone che non conoscono l’atletica, e non conoscono me. Gente che non sa nulla degli anni bui, delle sofferenze, di tutte le cose che le ho raccontato. Per loro un italiano non poteva vincere l’oro nei 100. Ma io lo so quanto ci ho messo».

Sospetti degli inglesi

«E gli inglesi sono stati squalificati loro, nella staffetta».
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L'oro della staffetta 4X100 in tutte le lingue del mondo

Sul rapporto con Tortu

«A Tokyo tra noi c’era una bella intesa. Ogni squadra fa le sue mosse al momento di entrare in pista, e noi non sapevamo quali inventarci: Dragonball, o i Pokemon, visto che eravamo in Giappone? Poi ci siamo detti che non avremmo fatto nulla: la nostra mossa di entrata sarebbe stata vincere l’oro. Il rapporto con Tortu è normale. È un avversario. Tortu mi ha insegnato a perdere; perché non è facile saper perdere. All’inizio mi batteva. Io sapevo di poter essere più veloce di lui; ma non riuscivo a dimostrarlo».

Chi sarà il quarto staffettista?

«Deciderà il ct, Filippo Di Mulo. Io non mi sono mai permesso di dire che devo essere io il quarto. Certo, mi piacerebbe. Ma l’allenatore dice che non può mettere l’uomo più veloce nel tratto finale, il più breve, anziché nel secondo, che dura quasi 130 metri».

Quali record puntare?

«Se glielo dicessi, mi porrei un limite. Se avessi detto che potevo scendere a 9’’85, non avrei fatto 9’’80. Mai porsi limiti».

Su Bolt

«Eravamo in parti diverse del circuito. Ma dopo Tokyo Bolt ha avuto belle parole per me in pubblico, e mi ha scritto un messaggio in privato. Solo che io l’ho letto cinque giorni dopo».
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Jacobs: "Bolt mi incorona suo erede? È incredibile!"

Mennea e i 200

«Non l’ho mai incontrato, ma so che è una leggenda, che faceva allenamenti durissimi. Oggi tutti e tre i record europei della velocità sono di un italiano: i 60 e i 100 miei, i 200 suoi. Ora il mio allenatore vuole farmi provare i 200, ma io non voglio...Troppa fatica. Ma almeno una volta la gara di Pietro Mennea la devo fare».
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12 settembre 1979: il giorno in cui Mennea diventò leggenda

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