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Da Milano ai Mondiali con la Costa d'Avorio: la vita da romanzo di coach Paolo Povia

Daniele Fantini

Aggiornato 31/07/2019 alle 17:09 GMT+2

Paolo Povia, milanese classe 1979, scuola Ebro Basket, sarà il terzo head-coach italiano ai Mondiali di Cina assieme a Meo Sacchetti e Sergio Scariolo: nel gennaio 2018 ha accettato la panchina della Costa d'Avorio e l'ha portata alla qualificazione coronando un percorso sportivo e di vita da romanzo. Tra Milano, Pesaro, Monza e la Svizzera, la sua storia vale la pena di essere raccontata...

Coach Paolo Povia, Costa D'Avorio 2018

Credit Foto Getty Images

Da Milano ad Abidjan, capitale della Costa d'Avorio, ci sono 7.000 km. Qualcosa in più se aggiungiamo anche un pezzo di Svizzera, lì dove coach Paolo Povia ha messo radici da qualche anno. Classe 1979, formatosi come giocatore prima e come allenatore poi nel vivaio dell'Ebro Basket, storica società del milanese che in quegli anni disputava le sue gare interne nell'ancor più storica palestra "Forza e Coraggio" di via Gallura, Povia sarà il terzo head-coach italiano ai Mondiali di Cina, assieme a Meo Sacchetti e Sergio Scariolo (Spagna): guiderà la Costa d'Avorio alla sua terza rassegna internazionale della storia, cavalcando sì le più classiche ali dell'entusiasmo, ma dando anche uno sguardo concreto alla possibilità di strappare un pass per il torneo preolimpico di Tokyo 2020. La nazionale africana, impegnata nella Trentino Cup con Italia (contro cui giocherà la finale), Svizzera (battuta all'esordio) e Romania, sarà inserita nel Gruppo A, assieme ai padroni di casa della Cina, più Polonia e Venezuela. Un quartetto variegato e stuzzicante, aperto a qualsiasi combinazione, culmine di un percorso sportivo e personale da romanzo.

Il pre: Milano, Pesaro, Monza e la Svizzera

In questo viaggio mi porto il bagaglio complessivo delle esperienze che ho vissuto quando ho lasciato Milano per dedicarmi a questo lavoro in maniera professionale. È stato un lungo viaggio cominciato nelle giovanili della Scavolini Pesaro e proseguito poi in Serie B, con la Forti e Liberi Monza. Fu la mia prima squadra senior da capo-allenatore, a soli 28 anni, quella che mi formò in maniera più specifica. Il primo anno andò bene, il secondo meno bene, e da lì intrapresi il mio "esilio" in Svizzera, dove ho completato la mia crescita professionale tra Serie A, Serie B e nazionali giovanili, con cui ho potuto imparare moltissimo disputando gli Europei di categoria. Poi, un giorno, mentre ero sul divano, arrivò una chiamata...
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La Costa d'Avorio festeggia la qualificazione ai Mondiali 2019

Credit Foto Getty Images

La telefonata che cambia la vita

Quando mi è arrivata la telefonata ero free-agent. Dall'altra parte del filo c'era l'ex-capitano della Costa d'Avorio, appena passato a un ruolo dirigenziale. Lo conoscevo bene, perché lo avevo già allenato in Svizzera, e lui conosceva altrettanto bene me. Mi disse che, nonostante qualche disagio, la squadra si era organizzata per partecipare alle qualificazioni per il Mondiale, ma erano in cerca di un coach. Non potevo rifiutare, perché credo che, per un allenatore, non ci sia cosa più bella che essere scelti da un proprio giocatore. Perché soltanto il giocatore, che lavora ogni giorno a stretto contatto con il proprio coach, sa veramente capirne il valore. Non un agente, non un intermediario. Essere scelto da un giocatore è il massimo cui si possa aspirare. Inoltre, mi stimolava l'idea di allenare una squadra africana. Ho sempre guardato all'Africa con interesse, seguo gli Afrobasket (l'omologo di Eurobasket, ndr), e quell'occasione era perfetta.

Si gioca! Una folle corsa verso un sogno Mondiale

Ho iniziato il cammino nel gennaio del 2018, affrontando la prima di quattro finestre di qualificazione, che mettevano in palio cinque posti per il Mondiale. Giocavamo in Mozambico. L'esordio, contro i padroni di casa, fu una sconfitta. Ma la squadra che avevo a disposizione era lontanissima parente da quella attuale, con soli quattro giocatori del roster per la Cina. Avevamo grandi margini di miglioramento, che emersero nelle partite successive: ribaltammo la differenza canestri con il Mozambico e battemmo il Senegal, una delle squadre più forti del continente, qualificandoci per la seconda fase come terza classificata. Le due sole vittorie ci collocavano sul fondo della classifica, e l'esordio fu una sconfitta contro la Nigeria, un'altra squadra abituata a giocare Olimpiadi e Mondiali.
Ma i progressi continuavano, le squadre di club lasciavano partire i giocatori e il gruppo si solidificava: battemmo poi Rwanda e Mali e ci trovammo nella situazione in cui, per poterci qualificare come quinta africana ai danni del Camerun, avremmo dovuto vincere le ultime tre gare con uno scarto di 66 punti. Sembrava impossibile, ma avremmo giocato in casa e non avevamo più nulla da perdere. Dissi ai miei ragazzi, 'perché no?'. Al 25' della partita contro la Nigeria, l'ostacolo più duro, quello per cui avremmo dato tutto anche per vincere di un solo punto, eravamo a +34. Vincemmo di 26, un risultato finale che ci lasciò quasi l'amaro in bocca. Poi, razionalizzando il tutto, capimmo che ce la potevamo fare. Eccome. Superammo il Rwanda di 27 punti e ne rifilammo altri 20 al Mali. La qualificazione era centrata.
Se volessi romanzare la mia vita, potrei farla finire qui, ma ora, con l'avvicinarsi dell'esordio al Mondiale, mi rendo conto che la trama potrebbe inglobare un altro capitolo potenzialmente molto interessante...

La Costa d'Avorio, un bacino infinito di talento

Come molte nazioni africane, la Costa d'Avorio ha un potenziale enorme, tutto da scoprire. Ed è proprio questa parte del lavoro, lo scouting, quella che mi piace di più. I ragazzi che portiamo al Mondiale sono giocatori esperti, la maggior parte milita nei campionati di Serie A e Serie B francese. Non abbiamo profili di alto livello internazionale, ma un gruppo solido, che sta bene insieme, costruito negli anni. Il più famoso è probabilmente il passaportato Deon Thompson, ala statunitense reduce da una stagione in Eurolega con lo Zalgiris Kaunas e passato ora a Malaga. Siamo una squadra fisica, muscolare e ci serviva un profilo tattico come il suo, quello di un'ala cestisticamente intelligente, di buona indole, e che sapesse coprire più ruoli.
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