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Carmelo Anthony, la superstar atipica innamorata della nazionale

Daniele Fantini

Aggiornato 12/08/2016 alle 16:51 GMT+2

Con i 31 punti segnati contro l'Australia, Carmelo Anthony è diventato il miglior realizzatore della nazionale americana alle Olimpiadi, una storia lunga 13 anni attraverso cui Melo ha sviluppato un amore unico nei confronti del Team USA

Carmelo Anthony lors de la victoire des USA face à l'Australie lors des JO 2016

Credit Foto AFP

Partiamo da un dato di fatto: Carmelo Anthony è alla sua quarta Olimpiade. Quarta Olimpiade. Considerando che la superstar media NBA un'Olimpiade la fa (magari in età ancora relativamente giovane), alla seconda deve essere pregato o ha male a un ginocchio, e alla terza vi risponde "sì, sì, io questo agosto vado a Malibu, eh?", arrivare a giocare la quarta Olimpiade della carriera a 32 anni (considerando che se ne gioca una ogni quadriennio) è davvero tanta, tanta roba. Se a questo aggiungiamo i Mondiali del 2006 (bronzo) e i Giochi Panamericani del 2007 (oro), nessuno nella storia della pallacanestro NBA è mai stato così affezionato alla maglia della nazionale a stelle e strisce come Carmelo Anthony.
Quando il Team USA lo ha chiamato, Anthony ha sempre risposto "pronto, ci sono", anche quando le ginocchia avrebbero consigliato invece trattamenti e riposo, e anche quando giocare per la nazionale era considerato démodé, se non fastidioso o addirittura pericoloso, un rischio che avrebbe potuto distruggere carriere NBA da 20-25 milioni di dollari a stagione per infortunio (vedi il caso Paul George, che sollevò un polverone mediatico e di opinione pubblica spaventoso, salvo poi venire totalmente sconfessato dalla stessa star dei Pacers, in questo momento regolarmente nel roster di Rio).
Se il Team USA dovesse salire sul podio anche a Rio (com'è probabile che sia), Anthony diventerebbe il cestista statunitense più medagliato della storia. E se questa medaglia dovesse essere d'oro (com'è altrettanto probabile che sia), Anthony sarebbe il cestista con più medaglie d'oro (3) nella storia della pallacanestro mondiale. Alle sue spalle, ci sarebbero soltanto LeBron James e David Robinson (che non ne potrà vincere più), a quota 2. Insomma, come potete intuire, una compagnia d'élite decisamente interessante.
Probabilmente (per non dire sicuramente), Melo è una delle superstar più sopravvalutate e auto-sopravvalutate della Lega, uno di quelli che, per personalità e stile di gioco, non potrà mai portare una squadra a vincere il titolo come primo violino, ma è uno che, quando viene chiamato in causa, dà tutto. A modo suo, certamente, non sempre il più ortodosso e razionale, ma dà tutto. I 31 punti realizzati contro l'Australia che gli hanno permesso di superare LeBron James in testa alla classifica dei marcatori olimpici statunitensi, non sono arrivati "perché bisognava farglieli fare", anzi: sono stati terribilmente salvifici all'interno di una partita che, senza Melo, gli States avrebbero anche rischiato di perdere. Quelle quattro triple praticamente consecutive, da fermo, che hanno spaccato la gara alla metà del quarto periodo, sono stati canestri da campione. Magari presi con scelte discutibili, certo, ma sono andati dentro. Tiri per cui serve talento, sì, ma anche e soprattutto coraggio, nervi, sangue freddo, personalità e voglia di vincere. La stessa voglia con cui Melo ha sempre indossato la canotta del Team USA negli ultimi 13 anni.
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