Olimpiadi Parigi 2024 - Alessandra Chillemi: "Il breaking è anche arte e cultura, ai Giochi per istruire il pubblico"

Marco Castro

Aggiornato 24/04/2024 alle 16:15 GMT+2

OLIMPIADI PARIGI 2024 - I Giochi sono sempre più vicini e l'ottava protagonista di questa serie di interviste è Alessandra Chillemi. Uno dei volti italiani del breaking, disciplina che si appresta a debuttare sul palcoscenico sportivo più importante del pianeta: "Ci alleniamo come atleti e balliamo come artisti, vogliamo far conoscere a tutti il nostro mondo. Senza snaturarci".

Alessandra Chillemi, campionessa italiana di breaking

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I Giochi olimpici sono una manifestazione in evoluzione continua e ogni edizione non è mai uguale a quella precedente. Vale ovviamente per la sede ospitante, ma anche per le discipline che compongono il programma. Nemmeno Parigi 2024 farà eccezione e oltre alle conferme di arrampicata sportiva, skateboard e surf (già presenti a Tokyo 2020), vedremo andare in scena una novità assoluta a questo livello: il breaking (o break dance). Tra le atlete protagoniste di questo sport c'è anche la campionessa italiana Alessandra Chillemi, che in questa intervista a Eurosport racconta tutte le caratteristiche di uno mondo che unisce la competizione agonistica alla musica e all'arte e costituisce un vero e proprio ecosistema culturale.
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Alessandra Chillemi, campionessa italiana di breaking, per "Zeta" di Red Bull (Credit: Gabriele Seghizzi/Red Bull Content Pool)

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Nata a Messina il ottobre 1999, Alessandra fa parte del gruppo delle Fiamme Azzurre (GS Polizia Penitenziaria). "Le Olimpiadi sono sempre state il mio sogno, perché sono sempre stata una sportiva a 360° - racconta - Speravo di arrivarci in qualche modo, ma non pensavo di farlo col breaking! Sono felice di ciò. Sicuramente è un palcoscenico enorme, ci sarà la possibilità di far vedere al mondo quello che facciamo e chi siamo. Sarà importante istruire il pubblico sulla nostra scena e sulla nostra cultura. Il breaking adesso è considerato uno sport, ma è anche arte e fa parte di una cultura più grande che è l’hip hop e ha dei valori solidi. Da parte nostra la vittoria e le medaglie sono ovviamente importanti, però lo è anche istruire la nuova generazione e chi ci guarda, per non snaturare il tutto. Il nostro compito sarà arrivare a questo grande pubblico e far capire cos’è il breaking e cos’è l’hip hop".
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Il breaking è "tante cose in una", ha una sua community e una sua natura particolare, come spiega Alessandra. "Ha le sue origini nella prima metà degli anni '70 negli Stati Uniti, nel Bronx. Nasce come mezzo di comunicazione per sostituire la violenza. I vari gruppi si incontravano e anzi che scontrarsi fisicamente per capire chi fosse il più forte partiva una sfida di breaking. Ed è questo il bello, una battle - battaglia - diversa. Io ti faccio vedere che sono più forte di te tramite le mie skill, tramite la mia danza. In primis è un mezzo di comunicazione importantissimo. Ma è anche un’arte, perché il metro di giudizio in gara non è del tutto oggettivo. È importante l’originalità, essere diversi dalle altre b-girls (così vengono chiamate le atlete, gli uomini sono i b-boys ndr). Non ci sono delle mosse che hanno un coefficiente di difficoltà come ad esempio succede per i tuffi o per la ginnastica. Io ho le mie signatures, le mie firme, e sfido le altre con il mio materiale. Questo è il bello del breaking, che è in continua evoluzione. Con le Olimpiadi stiamo facendo un grande passo in avanti, però l’importante è ricordare sempre bene le sue origini e la sua natura. La frase che mi piace citare, che è di una ragazza belga, è: “Ci alleniamo come atleti e balliamo come artisti”. Questo concetto, secondo me, riassume il breaking in questo momento".
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Alessandra Chillemi in azione

Credit Foto Getty Images

Alessandra Chillemi si può definire una delle pioniere del breaking in Italia e nel corso degli anni ha visto proliferare il movimento, che si è decisamente trasformato e diffuso rispetto agli anni dei suoi esordi. "Il breaking c’è in diverse città d’Italia. Io adesso vivo a Padova, perché qui c’è una grande accademia che si chiama B-Students, vengono ragazzi da tutta l’Italia. Due o tre volte a settimana, per crescere sia a livello personale che a livello sportivo. È un punto di incontro per tutta la nuova generazione. Altre città molto attive sono Milano e Roma, ma b-boys e b-girls si trovano un po’ dappertutto. Il movimento è cresciuto molto, soprattutto il settore femminile. E sono molto felice di questo. Quando ho iniziato io, a 6 anni, le b-girls erano pochissime. Si parlava forse di 5 o 6 ragazze! Invece adesso c’è un movimento molto attivo. E penso di aver contribuito anche io a far crescere questa scena".
Un osservatore esterno vede solamente la performance in gara, ma per eccellere nel breaking c'è un sistema di allenamenti tosto e molto variegato. "Io, di base, mi alleno sei giorni su sette. Mi alleno mattina e pomeriggio, quindi due volte al giorno - precisa Chillemi - Solitamente la mattina mi dedico più alla parte fisica. Faccio potenziamento con un personal trainer e faccio tutto ciò che serve per la prevenzione degli infortuni, l’aumento della forza, l’agilità. La passo solitamente in palestra, dalle 10 alle 13. Poi, dalle 15 alle 19, mi dedico all’allenamento tecnico di breaking. Considero il breaking un grande contenitore. Bisogna allenare tantissimi aspetti quali la musicalità, l'originalità, la performance di per sé, la tecnica. Diciamo che vario molto come allenamenti. Alcuni sono finalizzati a creare delle cose nuove, dove anche la musica cambia. Se alleno la creatività scelgo qualcosa di più soft, ad esempio mi piace molto la musica jazz. Se invece alleno ciò che porterò in gara ascolto beat".
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Alessandra Chillemi, campionessa italiana di breaking, per "Zeta" di Red Bull (Credit: Gabriele Seghizzi/Red Bull Content Pool)

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In questo sport è davvero importante sapersi adattare, anche perchè va fatta una precisazione: gli atleti non si preparano prima su una determinata base musicale, ma scoprono su che note danzeranno solo al momento della gara. "È anche questo il bello di una competizione di breaking, il dj può mettere una musica che non conosciamo o sulla quale non ci siamo allenati. E quindi siamo in freestyle. Possiamo provare delle mosse nostre, ma poi ci dobbiamo adattare alla musica e al momento. Il fattore esterno non è solo la musica, ma può essere anche l’avversario. A me piace molto giocare con l’ambiente circostante. Anche in base al mio avversario, io cerco di divertirmi, lo stuzzico. C’è quell’indice di imprevedibilità in sfida, è un aspetto molto importante. Mi piace anche che il pubblico sia vicino, perché amo sentire il loro calore e giocare anche con loro. Tornando ai miei avversari, va detto che uno dei valori principali del breaking è la condivisione. Loro sono anche la mia famiglia, siamo molto amici. Ci sfidiamo fino all’ultimo sangue in gara, ma poi passiamo il tempo libero insieme. Ci aiutiamo a crescere e a migliorarci per poi sfidarci da persone migliori."
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Alessandra Chillemi (credits: bsmkphoto)

Credit Foto Instagram

Nel breaking è usanza che tutti gli atleti abbiano un nome d'arte e per quanto riguarda Alessandra Chillemi si tratta di B-Girl Alessandrina. La 24enne messinese racconta questa dinamica e le origini del suo appellativo. "Da noi il nome è importante! Fa parte della nostra cultura. O lo scegli tu o te lo danno gli altri, di solito porta una storia dietro. Il mio è stato un po’ forzato. Ho provato a usare di tutto quando ero piccola. Ero molto veloce, quindi ho usato ad esempio Speedy. Alla fine è rimasto Alessandrina, perché ero piccola, giravo tanto e volevo distruggere il mondo. Tutti continuavano a chiamarmi così ed è rimasto. Adesso non sono più tanto “ina”, ma comunque all’estero non lo capiscono e poi rappresenta comunque il mio percorso, quindi ho deciso di lasciarlo".
Chillemi parla delle origini del suo nome "di battaglia" e ricorda molto bene anche i primi anni in cui il breaking è entrato di prepotenza nella sua vita. "I primi ricordi sono i momenti passati con la mia crew, il mio gruppo. Faccio parte della Marittima Funk Crew, mi allenavo alla stazione marittima. Quelli erano dei momenti speciali perché in loro ho trovato una seconda famiglia. Io ero la più piccola nonché l’unica ragazza, sono entrata in questa crew a 8 anni. Loro erano molto più grandi, ne avevano 17-18, e mi hanno cresciuta. Ho sempre viaggiato con loro. Ricordo quei momenti sia di allenamento che al di fuori della palestra, le grigliate, era sempre una festa. Li porterò sempre nel cuore".

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