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Crollo argentino

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DaEurosport

Pubblicato 16/07/2007 alle 12:13 GMT+2

L'Argentina cede ancora una volta sul più bello e "consegna" la Copa America agli acerrimi rivali del Brasile

Sarebbe stato troppo bello, troppo giusto, troppo scontato. L'Argentina che crolla sul traguardo, dopo aver mostrato per tre settimane una superiorità generale a tratti sfacciata, è lo specchio di una generazione di talenti limpidissimi, ma inesorabilmente perdenti per la logica dell'albo d'oro. Poteva vincere il Mondiale dodici mesi fa, un sogno tramontato dagli undici metri, così come il penultimo capitolo dell"eterna rivalità con il Brasile, tre anni fa a Lima.
"Rivincita", la parola d'ordine che girava negli ultimi giorni a Buenos Aires, non era né casuale né abusata. C'erano una serie di sconfitte da riscattare, buon'ultima quella di Londra, c'era soprattutto un'occasione unica e irripetibile per vincere a mani basse un torneo dove la strada pareva spianata, oltre che dalla propria forza, anche dagli handicap che la concorrenza si era autoinflitta. La guida tecnica di Basile pareva perfetta per completare l'opera: un tecnico rispettato dai giocatori, vincente con i club e con la Nazionale, imbattuto in Copa America, almeno fino alla fatal Maracàibo.
L'avvicinamento alla finale era quanto di più trionfale si potesse immaginare: vittorie che più nette e larghe non si può, giocate da urlo dei suoi fuoriclasse in stato di grazia, un gruppo che tra tante primedonne pareva aver trovato una sua armonia e un suo equilibrio, un Paese talmente certo della propria superiorità da perdere di vista, forse, la realtà di un Brasile meno ricco di talento ma reso da Dunga più cinico, più pragmatico, più "europeo". Una dote che in Sudamerica, nelle partite da dentro o fuori, sarà magari poco apprezzata, ma riesce quasi sempre a fare la differenza.
Al Pachencho Romero ne ha fatto le spese un'Argentina troppa sicura del proprio talento, bella e perdente come l'Olanda di Cruyff, o l'Ungheria di Puskas: la generazione di Ayala, Zanetti, Riquelme, Crespo che perde l'ultimo treno per la gloria e che cede il testimone ai vari Messi, Tevez, Aguero. Sudafrica 2010 è ancora lontano, ma tre anni possono bastare per curare una delle ferite più brucianti della storia della Selecciòn.
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