Neymar e Thiago Silva? No, al Brasile mancava Zico

Il vero problema della squadra di Scolari, in questo Mondiale e non solo, è la mancanza di un centrocampista di qualità che possa costruire gioco: la straordinaria forza nella zona mediana della Germania di Löw ha evidenziato questo problema in maniera esponenziale

1982 Bresil Zico

Credit Foto Imago

Non si potrà mai sapere se la peggior sconfitta della storia del Brasile – il terribile 1-7 di Belo Horizonte contro la Germania – si sarebbe verificata ugualmente anche con Neymar e Thiago Silva in campo. Di certo la mancanza dei due leader verdeoro si è sentita e si è riflessa nelle prestazioni dei compagni, travolti dalla furia teutonica.
Ma a livello tattico, alla fine, il Brasile non ha perso il Mondiale in difesa e – nonostante Fred e Hulk – non l’ha perso nemmeno in attacco: il vero problema della Seleçao è il suo non-centrocampo, ovvero la zona dove si sviluppa il non-gioco della squadra di Scolari. Ciò che manca veramente in questa generazione di calciatori è un bel centrocampista creativo, un “Kroosinho” volendo tentare un’eresia dialettica.
Fernandinho è uno splendido mastino della mediana, esattamente come Luiz Gustavo, ma non si può pretendere che questo tipo di centrocampisti costruiscano azioni in verticale. Lo stesso discorso vale anche per Paulinho e Ramires, che possono essere utilissimi negli inserimenti ma a livello di regia lasciano a desiderare. Oscar, poi, non si è ancora ben capito in che ruolo giochi: il più delle volte si eclissa da solo.
È incredibile pensare quanto sia difficile – anche tornando indietro e ripensando ai grandi tornei del recente passato – trovare un centrocampista brasiliano dai piedi buoni… Non c’è in questo 2014, ma non c’era nemmeno nel 2010 (Gilberto Silva, Felipe Melo…), nel 2006 (Zé Roberto ed Emerson giocavano bassissimi nel “4-2-fantasia”) e persino nel 2002, quando lo stesso Felipao poteva permettersi di alzare una diga nel mezzo (Gilberto Silva e Kleberson) perché tanto davanti c’erano tre fenomeni come Ronaldinho, Rivaldo e Ronaldo.
La duttilità di Dunga, in precedenza, aveva mascherato una carenza che in realtà era già preoccupante, perché ad esempio Mazinho (il padre di Thiago Alcantara) era un bel giocatore, ma non un vero fuoriclasse, tanto che per trovare un vero fenomeno brasiliano del centrocampo bisogna tornare agli anni ’80, gli anni di Zico e Socrates, due geni assoluti.
Questo Brasile “europeizzato”, sospeso tra muscoli e fenomeni mediatici, ha perso la sua identità. Gli Xavi, i Pirlo, gli Schweinsteiger e i Kroos non crescono sugli alberi, ma si possono coltivare: è ciò che si sono colpevolmente dimenticati di fare in Brasile. Questo terribile 1-7 segnerà inevitabilmente un nuovo inizio per il calcio verdeoro, una ripartenza che deve essere fondata sulla qualità del palleggio, perché il Brasile non può diventare una squadra da difesa e contropiede: il Brasile “joga bonito”.
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