Liverpool campione d'Inghilterra: la mano di Klopp, il trionfo di un'idea difesa da tutti
Aggiornato 26/06/2020 alle 10:54 GMT+2
Quattro anni e mezzo dopo il suo arrivo a Liverpool, Jurgen Klopp festeggia un titolo atteso in città da 30 anni: campione d'Inghilterra. Una vittoria che sulla copertina mette l'immagine del tecnico tedesco, ma la cui realtà è frutto di un percorso tutt'altro che scontato e banale. E che solo a Liverpool, probabilmente, nel calcio di oggi, sarebbe potuto succedere.
Non poteva concludersi con un cammino banale. No, non dopo aver atteso trent’anni esatti. Sogni e sofferenze, beffe e soddisfazioni, più altrove, quest’ultime, che dentro i confini. Strana la storia del Liverpool, che in un arco temporale di 3 decenni è stato in grado per due volte di diventare campione d’Europa - ed altre due volte è arrivato fino in fondo arrendendosi solo a Milan e Real Madrid – ma mai di tornare a mettere tutti dietro dentro i confini nazionali. Una macchia che Oltremanica quasi tutte hanno cavalcato, perché quando dici ‘Liverpool’ evochi la storia del calcio inglese; e chi la storia la fa da vincente, si sa, non è quasi mai amato dagli altri. Non vi sorprenda allora il fatto che un giorno potreste ritrovarvi al St.James’ Park di Newcastle e sentir intonare quel coro lì, quello che sulle note di Ray Evans i tifosi dei Reds avevano riadattato per la bandiera Steven Gerrard: sberleffata, dal 28 aprile del 2014 in poi, a tutte le latitudini d’Inghilterra: perché sì, una sua scivolata, aveva ancora una volta levato il titolo ai Reds.
C’erano andati vicini a dirla tutta, a Liverpool, già anche prima. Stagione 2008/09. Nel Liverpool di Rafa Benitez giocava anche un italiano: Andrea Dossena. Probabilmente, il difensore lodigiano, se la ricorda bene quella stagione e quel gol, anche perché non capita tutti i giorni di segnare a Old Trafford: Manchester United 1, Liverpool 4. Quei Reds batterono i Red Devils sia all’andata che al ritorno. Eppure il titolo finì ancora una volta a Sir Alex Ferguson. Come fu possibile? Il Liverpool dilapidò un’infinità di punti in pareggi con le piccole; e un altro italiano fece il resto: Federico Macheda. Uno di quei colpi che solo il cilindro di Sir Alex Ferguson poteva tirare fuori: un destro a giro improbabile in una rimonta da 1-2 a 3-2 nel finale contro l’Aston Villa; 3 punti al ManU che di fatto decretarono la fine dei sogni del Liverpool.
E poi ancora nel 2001/02, gli anni del ‘Wonder Boy’ Michael Owen e Gérard Houllier in panchina; dei successi internazionali e delle coppe anche dentro l’Inghilterra: mai mai quella più attesa, puntuale; quella, in quegli anni, finiva spesso all’Arsenal di Wenger che stava costruendo il suo ciclo degli invincibili.
L'era Klopp: il trionfo di un'idea difesa da tutti
Liverpool ha avuto così bisogno di una serie di congiunzioni astrali per far sì che tutto si incastrasse. Perché se Luis Suarez, uno dei migliori giocatori passati da Liverpool in questi 30 anni, non avesse ceduto alla corte del Barcellona, forse la crisi di Rodgers nel 2015 non sarebbe mai arrivata. E senza quella Jurgen Klopp non sarebbe seduto sulla panchina del Liverpool.
Certo, poi, sono serviti acquisti azzeccati, lavoro e un’infinità di pazienza. Solo oggi Liverpool raccoglie quanto ha seminato; festeggiando la fine della sua maledizione, per un titolo talmente stregato da far arrivare persino una pandemia globale a metterlo in discussione. Fuori, sia chiaro, nell’attesa che si potesse tornare a giocare e far fare alla matematica il proprio dovere. Perché sul campo e dentro i bar, sui giornali e sulle tv erano tutti d’accordo, persino i più acerrimi nemici: questa Premier League era del Liverpool.
E come non sarebbe potuto essere altrimenti? 28-2-1 alla voce vittorie, pareggi e sconfitte. Cose dell’altro mondo, per un Liverpool, che dall’altro mondo, pare effettivamente esserci arrivato. Perché non era semplice dopo i 97 punti della passata stagione, record di sempre irrilevante davanti ai 98 del City di Pep Guardiola, non solo di ripetersi a quel livello, ma anzi di fare anche meglio.
Una macchina da calcio straordinaria il Liverpool di Jurgen Klopp: unito, ordinato, divertente e vincente. Tutto ciò a cui ogni allenatore ambisce nella propria carriera.
Per costruire questo però – ed è un tema che dovrebbe essere piuttosto caro alle nostre di latitudini – l’istrionico allenatore ha avuto bisogno di tempo. Tempo e delusioni. Tante. Stagione dopo stagione. Tre e mezzo, per la precisione, senza uno straccio di trofeo. Nulla. Solo complimenti, strette di mano e qualche bella parola.
Dal tifo però non sono mai arrivati i processi, anche perché in società hanno lavorato dove i Reds avevano più bisogno: un portiere, Alisson (quest’anno poco presente, ma rilevante in termini di filosofia calcistica applicata alla squadra), un difensore come van Dijk; e poi giocatori funzionali al tipo di gioco nella testa dell’allenatore.
Una realtà come quella del Liverpool non è riducibile solo al lavoro certosino di Klopp. La nomina di Michael Edwards, direttore sportivo dei Reds dal novembre 2016, ha significato un gigantesco passo avanti. Da allora, la mentalità del Liverpool sul mercato è cambiata drasticamente: tante scommesse, alcune onerosissime ed altre low-budget; ma la chiave è sempre la stessa: valorizzare i talenti sul campo. Così Andrew Robertson, che sarebbe diventato una pedina fondamentale del gioco di Klopp, è stato prelevato dall’Hull City per la miseria di 8 milioni di sterline. Mentre nessuno avrebbe pensato che i 75 milioni spesi per uno semi-sconosicuto Van Dijk si sarebbero dimostrati adeguati al livello stellare dimostrato dall’olandese in campo.
- Da van Dijk ad Alisson alla cessione di Coutinho: le intuizioni del ds Michael Edwards
ACQUISTI | COSTO | |
Luglio 2016 | MANE' (Southampton) | 41,2 milioni di euro |
Luglio 2016 | WIJNALDUM (Newcastle) | 27 milioni di euro |
Luglio 2017 | ROBERTSON (Hull City) | 9 milioni di euro |
Luglio 2017 | SALAH (Roma) | 42 milioni di euro |
Gennaio 2018 | Coutinho (Barcellona) - Cessione | 120 milioni di euro |
Gennaio 2018 | VAN DIJK (Southampton) | 84,6 milioni di euro |
Luglio 2018 | ALISSON (Roma) | 62,5 milioni di euro |
Luglio 2018 | NABY KEITA (Lipsia) | 60 milioni di euro |
Luglio 2018 | FABINHO (Monaco) | 45 milioni di euro |
Osservando l’attuale scenario calcistico europeo, il segreto per bruciare le tappe è sempre questo: incrementare, moltiplicare il valore sul mercato dei giocatori (spesso giovani) grazie alle prestazioni sul campo. Tutte le squadre in ascesa, comprese alcune italiane, sono segnate da questo trend.
- La top 20 delle squadre europee per valorizzazione della propria rosa. Quello del Liverpool è il valore incrementato più di qualunque altra rosa. Fonte: Transfermarkt.
SQUADRA | VALORE D'ACQUISTO DELLA ROSA | VALORE ATTUALE DELLA ROSA | INCREMENTO VALORE DELLA ROSA |
20. Lille | 108 milioni | 236 milioni | +128 milioni |
19. Real Madrid | 738 milioni | 888,5 milioni | +150,5 milioni |
18. Bayer Leverkusen | 230,5 milioni | 383,2 milioni | +152,7 milioni |
17. Leicester | 253,7 milioni | 406,7 milioni | +152,9 milioni |
16. Valencia | 270 milioni | 426,4 milioni | +156,4 milioni |
15. Atalanta | 104 milioni | 265,7 milioni | +161,7 milioni |
14. Lazio | 117,8 milioni | 298,7 milioni | +181 milioni |
13. Lione | 197,6 milioni | 379,1 milioni | +181,5 milioni |
12. Fiorentina | 53,6 milioni | 251,8 milioni | +198,2 milioni |
11. Barcellona | 658,3 milioni | 859,5 milioni | +201,1 milioni |
10. Napoli | 307,5 milioni | 526,6 milioni | +219,1 milioni |
9. Real Sociedad | 65,3 milioni | 320,5 milioni | +255,3 milioni |
8. Atletico Madrid | 447,9 milioni | 712,9 milioni | +265 milioni |
7. Chelsea | 400,9 milioni | 678 milioni | +277,1 milioni |
6. Inter | 261,8 milioni | 553,4 milioni | +291,6 milioni |
5. Tottenham | 397,7 milioni | 701 milioni | +303,5 milioni |
4. Borussia Dortmund | 278,9 milioni | 586,2 milioni | +307,3 milioni |
3. RB Lipsia | 174,9 milioni | 522,6 milioni | +347,7 milioni |
2. Bayern Monaco | 356,5 milioni | 757,4 milioni | +400,9 milioni |
1. Liverpool | 553,3 milioni | 976,3 milioni | +423 milioni |
Una ricetta che ha impiegato appunto 3 anni per portare alle prime soddisfazioni; e che solo quattro anni e mezzo dopo la presa in carico di Klopp (ottobre 2015 in una vittoria a Stamford Bridge contro il Chelsea di Mourinho) ha portato all’obiettivo più atteso: il titolo di campioni d’Inghilterra.
Ecco perché questa non è la vittoria di un singolo. O meglio, non è solo la vittoria di un singolo. Perché se sulla copertina, appunto, c’è scritto Jurgen Klopp, il romanzo svela come ogni componente sia stata fondamentale nell’apertura di questo ciclo: dal tecnico ai giocatori, dalla dirigenza a tutto l’ambiente, in un connubio dove tutti hanno remato dalla stessa parte anche nei momenti più bui; in una ricetta – e basta guardarsi intorno – sempre più rara nel calcio contemporaneo, dove giocatori, tecnici, dirigenti, risultati, titoli e ricordi sono fagocitati a ritmi da fast food. Liverpool – intesa come città, ancor prima che come club – ha avuto gli anticorpi per resistere a tutto questo. Ed è proprio questo, al di là dei record, a rendere non banale, anzi, unico, quel titolo atteso trent’anni.
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