10 anni dopo Calciopoli non abbiamo imparato niente

2 maggio 2006, 2 maggio 2016... Un anniversario triste per il calcio italiano, che non ha saputo rinnovarsi e continua a sbattere contro gli stessi problemi, solamente in forma diversa.

Luciano Moggi

Credit Foto LaPresse

Il 2 maggio 2006 rimarrà per sempre una data storica per il calcio italiano: fu il giorno in cui vennero pubblicate le prime intercettazioni telefoniche da cui nacque lo scandalo di Calciopoli.
Da allora sono passati 10 anni, ma non abbiamo imparato niente.

Populismo e fumo negli occhi

Una settimana fa la Juventus ha vinto lo Scudetto eppure non si riesce a discutere serenamente sul numero di titoli vinti dai bianconeri nella storia. Il duello dialettico si è spostato dai bar ai social network, ma poco cambia: “rubentini” e “prescritti” rimangono solidi sulle proprie posizioni insultanti e gli sfottò sono sempre gli stessi, noiosi, beceri.
Un triste rumore di fondo fomentato dal sistema stesso, con la Juventus che grida orgogliosa il suo populistico “34” mentre in Lega spadroneggiano Lotito e Galliani, entrambi condannati nel 2006 ma mai allontanati da un mondo che ha rifiutato di rinnovarsi e che soprattutto ha rifiutato di controllarsi.
Non è un caso infatti se gli scandali sono continuati, passando per il calcioscommesse per arrivare ai diritti tv, che sono il fulcro di tutto perché è lì che convergono gli interessi del sistema. Ma non si riesce a parlarne: “Report” fa scoppiare la bufera Infront, ma poi basta un rigore non dato e l’attenzione si sposta, il tam-tam mediatico riparte. “34!”, “rubentini!”… Tutto fumo negli occhi.

Una politica complice...

La grande colpa della politica, dopo Calciopoli, è stata quella di non istituire un sistema di controllo efficace sulla gestione del denaro nel mondo del calcio. Non conveniva e non conviene, perché gli attori sono gli stessi: quelli che giocano con la finanza creativa e le sponsorizzazioni farlocche, guadagnano sulle scommesse, gli ingaggi gonfiati e i diritti tv.
Sacrificare il capro espiatorio Luciano Moggi è stata la mossa necessaria e sufficiente affinché nulla cambiasse, affinché il potere rimanesse saldo nelle mani delle persone che guadagnano sul calcio e svuotano i nostri stadi, mentre la competitività delle squadre italiane a livello internazionale è scesa ai minimi storici.

#IlCalcioèDiChiCiGuadagna

Lo sport, per definizione, dovrebbe essere sinonimo di onestà e competizione paritaria, ma il calcio è distante anni luce da questi concetti. L’hashtag della Serie A, #IlCalcioèDiChiLoAma, è solamente un palliativo utopico, perché il calcio oggi è di chi ci guadagna. Calciopoli ha vinto e noi – stregati dai like – non ce ne siamo neanche resi conto.
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