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Inter, il girone di ritorno è uno strazio: Roberto Mancini parafulmine o colpevole?

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Pubblicato 16/05/2016 alle 10:58 GMT+2

La seconda parte del campionato è stata un fallimento per i nerazzurri: al Mapei Stadium una rosa immatura e demotivata ha concluso una stagione da luci e ombre. Il tecnico vuole ripartire dalle basi acquisite ma non ha più intenzione di essere il parafulmine della società. Ecco cosa nascondono i suoi malumori.

Roberto Mancini, Inter, Serie A 2015-16 (LaPresse)

Credit Foto LaPresse

L’ultimo giorno di scuola ha presentato l’alunna Inter svogliata, distratta, già battuta prima del calcio d’inizio. La partita del Mapei Stadium fa poco testo perché la classifica non regalava più stimoli, ma certi cali di tensione non sono ammissibili per una squadra blasonata. È una questione di mentalità, di professionalità, di serietà. L’Inter ha dimostrato più volte di avere un insano vizio di farsi del male da sola e per questo la presunta volontà di fare un torto ai cugini, motivazione additata da tanti tifosi, serve forse a nascondersi dietro un dito (o a consolarsi) ma poco ha a che fare con la realtà del campo.

Un girone di ritorno da dimenticare

AndataRitorno
Punti ottenuti3928
Punti in trasferta20 su 276 su 30
Sconfitte subite47
Sconfitte in trasferta16
Espulsioni66
Se, infatti, quella contro il Sassuolo è stata solo l’ultima recita stonata, è doveroso prendere in esame dei dati per capire l’involuzione dei nerazzurri. Le sconfitte sono state 7 (11 complessive) e i punti raccolti in trasferta 6 su un totale di 30 disponibili. Il rendimento esterno nel girone di ritorno è da zona retrocessione con sei ko, tre pareggi e una sola vittoria (a Frosinone) oltre a tre sconfitte di fila a chiudere l’annata per un filotto negativo che non si registrava dal febbraio 2014. Si prosegue impietosi con la sterilità offensiva: 50 reti all’attivo, 33 in meno della Roma e 30 in meno del Napoli. Sarebbe sufficiente constatare che la coppia Higuain-Insigne ha segnato da sola appena due volte in meno di tutta l’Inter per esaurire la questione. L’ultima fonte di perplessità è la voce espulsioni: 12 cartellini rossi sono davvero tanti, soprattutto per chi la cattiveria agonistica l’ha spesso lasciata a casa, come nella partita contro il Sassuolo. Insomma, non si tratta di quella convinzione che sfocia in qualche fallo troppo duro, ma d’isterismi isolati, sopra le righe e talvolta ingiustificabili (da Felipe Melo a Murillo, gli esempi non mancano). Sono chiari quindi i motivi per cui il raggiungimento del preliminare di Champions è rimasto un sogno nel cassetto.
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Palacio in gol per l'Inter contro il Sassuolo, Serie A 2015-16

Credit Foto LaPresse

La Primavera in panchina, i titolari "in gita"

Se molti si aspettavano questo finale deprimente dell’Inter, Mancini aveva più di tutti il polso della situazione tanto da preannunciare il debutto di qualche giovane della Primavera di Stefano Vecchi. Solo Radu e Della Giovanna nel finale hanno goduto di questa vetrina mentre Gyamfi, Senna Miangue, Bonetto, Baldini e “Zé Turbo” Correia si sono dovuti accontentare della panchina. Inserendo nel discorso anche Gnoukouri e Manaj, abituati a essere aggregati alla prima squadra, in tanti si sono chiesti perché Mancini non abbia schierato tutta la Primavera. Sarebbe stata lo stesso una sconfitta, ma almeno quei ragazzi avrebbero mangiato l’erba. La maturità non è né una questione di età né di nomi stampati sulla maglia e la scialba serata contro gli emiliani l’ha certificato.

I malumori di Mancini cosa nascondono?

Al di là delle critiche, Mancini ha ragione quando afferma che la stagione non è da buttare. L’Inter ha chiuso al quarto posto, il miglior piazzamento da cinque anni a questa parte (nel 2010-2011 fu seconda con Leonardo) e l’ossatura di base oggi esiste: Handanovic, Miranda, Murillo, Brozovic, Kondogbia, Perisic, Icardi. Non servono stravolgimenti sul mercato, ma pochi innesti mirati oltre a Banega ed Erkin. I mal di pancia manifestati da alcuni giocatori non rendono nessuno immune alle cessioni, i parametri del fair-play finanziario faranno il resto. Il malumore di Mancini, evidenziato nella conferenza stampa della vigilia e ribadito nel post Sassuolo, nasconde una volontà chiara. Il tecnico può rimanere, ma la società deve essere onesta a rendere noti obiettivi e ambizioni. Se non arriveranno i giocatori necessari a completare la rosa per puntare veramente alla Champions, Mancini non sarà più disposto a fare da parafulmine dinnanzi alle ire dei tifosi. Quest’anno più del quarto posto non era possibile ottenere dunque patti chiari e amicizia lunga. Replicare il girone d’andata (39 punti) non sarebbe comunque bastato per raggiungere la Champions League.
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