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Rinvii, divieti e decisioni 'alla giornata': la confusione totale del calcio italiano

Simone Eterno

Aggiornato 01/03/2020 alle 01:45 GMT+1

Dalle chiusure alle aperture, dai rinvii a chi sta giocando, la cronaca di giorni di ordinaria confusione dentro il calcio italiano.

Il logo e il pallone ufficiale della Lega Serie A

Credit Foto Getty Images

Mettiamola così, la posizione di chi in questi giorni è costretto a prendere delle decisioni, dalla società civile alla politica, passando ovviamente anche per lo sport, non è certamente delle più invidiabili. Anzi, per dirla tutta, dove ti giri ti giri, rischi di combinare una frittata.
Però, un po’ di chiarezza, dentro la confusione di queste ultime ore, sarebbe stato opportuno farla. Perché d’accordo, in questi giorni, il pallone è l’ultimo dei problemi, ma come tutto del resto è collegato a un contesto sociale ed economico, di vita e di denari. E non si capisce perché, dunque, si debba rimanere di fronte alla più grande disparità di giudizio.
Prendete la Svizzera, ad esempio. Il comunicato è chiaro e preciso. Dal primo accertamento di un caso di Coronavirus, registrato per giunta in Ticino, la discriminante è stata una e una sola: gli eventi sopra le 1000 persone, sono sospesi. Drastico? Contestabile? Quello che vi pare. Ma certamente, univoco.
Mentre in Italia, ancora una volta, tocca registrare la più totale delle confusioni; sfociata poi, inevitabilmente, nel più classico dei no-sense.
Basti guardare cos’è successo oggi, cosa succederà domani, e poi ancora mercoledì. Nel giro di 4 giorni, tutto e il contrario di tutto.
Si parta da Juventus-Inter. Prima a porte chiuse, poi forse no, poi ufficialmente a porte chiuse, poi rinviata a maggio.
Nel mentre, il governo del calcio italiano, ci informa che nella stessa città, nello stesso stadio e con la stessa squadra, tra 4 giorni esatti, si potrà giocare: c’è l’ok infatti per Juventus-Milan di Coppa Italia, ma senza i tifosi provenienti dalla Lombardia. Solo piemontesi. E dunque chi vive e lavora a Milano, allo stadio, no. Chi vive a Novara e lavora a Milano – e ce ne sono parecchi, credeteci – sì.
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Juventus Stadium

Credit Foto Eurosport

Tutto a posto, insomma. Tutto normalissimo. Specie se consideriamo che nel mentre, in Serie B, si continua a giocare. Oggi, ad esempio, si è disputata regolarmente Cittadella-Cremonese. Una squadra a meno di 50km in linea d’aria da uno dei focolai del Coronavirus e attuale zona rossa – Vo' Euganeo – e l’altra proveniente dalla Lombardia, regione che tuttora continua a registrare più casi di contagio in Italia. Domani però, alla Dacia Arena di Udine, che in linea d’aria è più vicina alla Slovenia che ad altro, non si gioca Udinese-Fiorentina, due sulla carta assai più “sicure” di Cittadella-Cremonese.
Il senso? A logica, nessuno. A meno che il pericolo non esista solo per la Serie A, con i virus incredibilmente mutati e in grado di riconoscere all’ingresso degli stadi la categoria del match in questione: “Oh, qui c'è la B? Che faccio, contagio?" - "No no, lascia, andiamo un po’ più in là che c’è Parma-SPAL”.
Non è il caso. Così come in fondo non è il caso di andare ulteriormente avanti. O non sarebbe il caso di sottolineare come i tifosi dell’Atalanta, ad esempio, siano liberissimi di prendere un volo, un treno o quel che gli pare e recarsi tranquillamente a Lecce per assistere alla trasferta della Dea al Via del Mare. Qualche giorno fa, però, col Sassuolo, tutti in casa.
Perché in fondo è "normale", si va avanti così, alla giornata, ognuno col suo peso e la sua misura. In attesa che tutto passi. In attesa di tornare alla normalità. Presunta, ovviamente. Perché alle nostre latitudini, di normale, di sensato, di univoco, sembra esserci rimasto davvero poco.
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