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Juventus, imprese e sconfitte di Andrea Agnelli: il bilancio della sua presidenza in bianconero

Lorenzo Rigamonti

Pubblicato 29/11/2022 alle 08:36 GMT+1

SERIE A - Sono passati 12 anni da quando un giovane Andrea Agnelli prendeva in mano i cocci di una Juventus demolita da Calciopoli: da allora il giocattolo bianconero è rinato, ha attraversato cicli vincenti e grandi delusioni. Le dimissioni di Agnelli pongono fine a un'era. L'idea di una Grande Juve rimane sospesa a metà, tra i record vincenti in Italia e le delusioni in Europa.

Agnelli contro la politica: "Non rischia, ma vuole solo incassare"

Una lettera ai dipendenti, scritta con polso fermo e probabilmente senza spendere alcuna lacrima. Del resto è proprio lo spietato pragmatismo ad aver contrassegnato lo stile Juve e lo stile Andrea Agnelli in questi 12 anni di presidenza. Ora che si trova con la penna in pugno a ratificare la sua uscita di scena, il presidente bianconero ha come l'impressione di dover riporre nel cassetto un giocattolo rotto.
L'eco dell'inchiesta Prisma, le discrepanze di bilancio, stipendi slittati e quel violento slancio di Icaro chiamato Superlega. Un giocattolo rotto, spremuto al massimo, o come scriverà lui in calce alla lettera: "Fino alla fine". A queste parole sarà scatatta almeno una pausa contemplativa. Perchè quel giocattolo assemblato con estremo pragmatismo e spremuto fino all'osso, è nato in realtà come un vero atto di cuore. Un sforzo identitario che ha risvegliato dal suo torpore un'intera galassia sopita, ha reinstaurato un credo che va oltre il calcio, lo ha fatto sconfinare nel regno del branding spacciandolo per una filosofia di vita.
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Andrea Agnelli - Juventus

Credit Foto Getty Images

La famiglia Agnelli torna al comando nel maggio 2010 e fa tornare la Juventus un club di prima fascia, sia in Italia che - a tratti - in Europa. Oggi si chiude una delle ere più ambiziose nella storia della Vecchia Signora, segnata da traguardi e costi altissimi. Andiamo a ripercorrere tutto assieme.
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Rinascita e dominio in Italia

Andrea Agnelli si insedia al comando della Juventus nel maggio 2010. La prima pietra dello stadio di proprietà è in verità la prima pietra per rifondare una squadra prosciugata in organico e spirito dallo scandalo Calciopoli.
Antonio Conte è l'uomo ideale per guidare un gruppo di leoni: incarna un'idea sepolta da troppo tempo, il "Vincere è l'unica cosa che conta" sbraitato da Boniperti nella serata d'inaugurazione dello Stadium. Un'idea che, nella stagione 2011-2012, riesce a controbilanciare i limiti tecnici di un organico ancora in costruzione, a bruciare il Milan nello sprint Scudetto e a far congedare il capitano Alessandro Del Piero col suo ultimo grande trofeo.
Da lì, la Juventus intraprende una crescita vertiginosa a livello tecnico, societario, economico e d'immagine. Arrivano i grandi campioni, Cristiano Ronaldo e Carlitos Tevez su tutti, cambiano gli allenatori - da Conte ad Allegri, poi un anno di Sarri - ma la musica non cambia: 9 scudetti di fila, corredati da 5 Coppe Italia e 5 Supercoppe in 11 anni.
  • 19 trofei in 12 anni: Andrea Agnelli, il presidente più vincente della storia della Vecchia Signora
Scudetti9 (2011-2012, 2012-2013, 2013-2014, 2014-2015, 2015-2016, 2016-2017, 2017-2018, 2018-2019, 2019-2020)
Coppe Italia5 (2014-2015, 2015-2016, 2016-2017, 2017-2018, 2020-2021)
Supercoppa Italiana5 (2012-2013, 2013-2014, 2015-2016, 2018-2019, 2020-2021)
La Juve abbraccia uno stile moderno e minimale, ridisegna il suo logo, si quota in borsa, si infila in qualsiasi categoria merceologica. Un processo che a lungo andare costituirebbe l'inevitabile, ma la verità è che la Juve lo intuisce quasi sempre prima di tutti. Parallelamente alla prima squadra il club bianconero investe pesantemente nel calcio femminile: le Juventus Women vincono 5 Scudetti di fila dal primo anno della loro concezione, attirano nuova audience e conquistano il palcoscenico dell'Allianz Stadium.
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Andrea Agnelli festeggia lo scudetto delle Juventus Women 2020-21, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Il progetto della Juventus Under 23, poi ribattezzato Juventus Next Gen, aiuta a sgrezzare talenti importanti come Miretti e Fagioli. Andrea Agnelli ha presentato e sostenuto questo progetto fino - letteralmente - al suo ultimo giorno di presidenza. Il treno bianconero, in Italia, deraglia nella stagione 2020-2021: con Andrea Pirlo in panchina, una Juventus sazia, attanagliata da una regressione fisica e tecnica cominciata almeno un lustro prima, cede lo scettro all'Inter dello stesso Antonio Conte. Da lì un blando tentativo di ristrutturazione, con l'Allegri-bis che ancora oggi non convince del tutto.
Quando la squadra non è compatta si presta il fianco agli avversari e questo può essere fatale. In quel momento bisogna avere la lucidità e contenere i danni
scrive Agnelli verso la fine della sua lettera. Riflette con fedeltà la situazione della Juventus, non solo dal punto di vista giudiziario, ma anche da quello sportivo.
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Massimiliano Allegri, Andrea Agnelli, Juventus, Getty Images

Credit Foto Getty Images

Illusione e follia in Europa

Sfiorare il Paradiso due volte, e ricadere nella voragine storica che attanaglia la Vecchia Signora: 7 finali di Champions League perse su 9 disputate, due delle quali sono capitate proprio durante l'era Agnelli. Un traguardo che diventerà quasi un'ossessione, masticata, sputata e riconfezionata nell'infimo pacchetto Superlega: un progetto per cambiare il calcio, per renderlo appetibile a un pubblico mainstream e al contempo stesso a una filosofia elitista. Stroncato drasticamente dagli organi governanti del calcio mondiale e dalla maggior parte dei governi.
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Agnelli: "Vogliamo libertà di creare nuova competizione"

Il primo acuto europeo della Juve di Agnelli arriva nella stagione 2014-2015: l'avvento di Massimiliano Allegri sulla panchina bianconera porta una svolta più cinica e meno operaia rispetto alla prima Juventus di Conte. Rodata con i vecchi motori vincenti dei primi anni d'oro, e con un centrocampo e una difesa di qualità assoluta, la Juve compie quel passo avanti in Europa. I bianconeri si spingono fino alla finale di Berlino contro il Barcellona, salvo poi inchinarsi all'estro e all'esplosività del trio Messi-Suarez-Neymar. 3-1, una serata cominciata male e finita peggio.
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Neymar e Suarez alzano la Champions League vinta dal Barcellona contro la Juventus

Credit Foto Eurosport

La Juventus in grado di tornare in finale nel 2017 a Cardiff è profondamente diversa: più peso in avanti con Dybala, Higuain e Mandzukic, ma meno cilindri a centrocampo. Risultato? Una lezione di calcio nel secondo tempo contro il Real Madrid di Ronaldo. Un 4-1 che mette a nudo limiti caratteriali di un gruppo reso particolarmente irrequieto dall'inesorabile scorrere del tempo e dal ciclico replicarsi della storia, pronto a intraprendere la via del declino.
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Cristiano Ronaldo celebrates scoring his second and Real Madrid's third against Juventus

Credit Foto Getty Images

Da lì al periodo del Covid, la squadra e il progetto tecnico imboccheranno gradualmente una regressione, scoria fisiologica di una demoralizzante incapacità di rinnovarsi e di proprorre calcio. Le idee di Allegri, di Agnelli e del resto della dirigenza si amplificheranno a dismisura in assenza di ossigeno (e di successi) fino a mettersi a nudo, decontestualizzandosi nella loro banalità e inefficacia.
Da lì la parodia della pigrizia, mascherata in "cortomusismo" e il paradosso di una mentalità opposta da quella di partenza, basata sul granitico presupposto del lavoro, di 12 anni fa. E' la fine della Grande Juventus. I guai giudiziari che hanno condotto all'implosione del CdA sembrano piuttosto un mero iter burocratico per registrare un qualcosa che si era sfaldato molto prima.
Il giocattolo non si è rotto per colpa sua; si è rotto perchè chi lo guidava è tornato grande; e il costo di tornare grandi, troppo spesso, è quello di non dare peso al proprio cuore.
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Agnelli: "Allegri è qui per scrivere un capitolo nuovo"

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