Sport popolari
Tutti gli sport
Mostra tutto
Calcio
Serie A

Inter campione - Sommer, Lautaro, Thuram, Barella, Calhanoglu, Bastoni, Dimarco. I giocatori chiave della Seconda Stella

Eurosport
DaEurosport

Pubblicato 23/04/2024 alle 12:57 GMT+2

SERIE A - Quali sono stati i giocatori più decisivi nella cavalcata scudetto dell'Inter conclusa con la conquista della Seconda Stella? Ne abbiamo individuati sette: Yann Sommer, Alessandro Bastoni, Federico Dimarco, Hakan Çalhanoğlu, Nicolò Barella, Marcus Thuram e Lautaro Martinez. Siete d'accordo con le nostre scelte?

Inter campione: da Sommer a Lautaro Martinez, i 7 giocatori chiave

Credit Foto Eurosport

Ogni componente della rosa dell'Inter, allenatore e staff compreso, ha portato il proprio mattoncino per pavimentare la lunga strada verso la conquista dello Scudetto che vale la seconda stella sulla maglia. Ma ci sono 7 giocatori che, per impatto e capacità di risultare decisivi nei momenti cruciali, possono essere considerati le chiavi del trionfo nerazzurro. Da Yann Sommer a Lautaro Martinez, ecco i grandi artefici di un trofeo storico per l'Inter.

Yann Sommer

Partendo da un ipotetico schieramento in campo, rimane ovvio iniziare dal portiere. Non è altrettanto ovvio vederlo inserito in questa lista, se solo con la mente si torna a qualche mese fa, ad inizio stagione, quando la telenovela per l'arrivo di Yann Sommer dal Bayern Monaco aveva fatto passare decisamente in secondo piano il valore tecnico del giocatore, già schiacciato dalle consegne del post Onana prim'ancora di atterrare nel mondo nerazzurro. L'impatto che il portiere svizzero ha avuto sulla serie A è stato impressionante, quasi quanto la capacità con cui si è calato nell'universo Inter, una sorta di plug and play, il saper riprendere un discorso come se lo si fosse interrotto da poco, pochissimo. L'altezza (1,83) è un problema solo quando non si hanno fondamentali così come l'età (la carta d'indentità dice 1988 alla voce anno di nascita), nascosta se non addirittura camuffata dietro a senso della posizione e riflessi sorprendenti. Un clean sheet dopo l'altro ha saputo guidare alla compattezza una fase difensiva che poggiava su solide basi, ma a cui Sommer ha saputo infondere fiducia e sicurezza, ridefinendo il concetto di "porta sicura".

ALESSANDRO BASTONI

Da uno scudetto all'altro, da quello conquistato nel 2021 con Antonio Conte in panchina a quello targato Simone Inzaghi, fresco di sigillo ufficiale. Alessandro Bastoni è uno dei fili che legano queste due Inter vincenti, ma così come è evidente la differenza tra i due allenatori sopracitati, lo è anche il ruolo che Bastoni stesso ha avuto a livello tattico. Fermo restando il modulo e applicando in entrambi i casi l'etichetta di braccetto di sinistra, diversa ne è stata senza dubbio l'interpretazione: se con Conte il senso dell'anticipo e la capacità di aprire, allargandolo, il fronte del gioco grazie all'educazione del mancino avevano rappresentato il plus, con Inzaghi l'evoluzione ha portato ad un'occupazione vorticosa degli spazi, sia sull'esterno che dentro il campo, un multitasking in grado di agire a 360°. La capacità di smettere i panni del terzo di difesa per sovrapporsi sull'esterno con Dimarco che si accentra, la pericolosità di cross tagliati da suggeritore di livello, il tempismo negli inserimenti palla al piede, così distanti dalle zingarate d'inizio carriera: tutto questo ha portato ad un Bastoni 2.0, un'avanguardia nell'evoluzione del difensore moderno.

FEDERICO DIMARCO

Restando su quella fascia e quasi volendo sovrapporsi nel discorso, palla a Federico Dimarco. Del figliol prodigo tornato a casa, del sangue nerazzurro che dalla gavetta in giro per l'Italia lo ha riportato da protagonista a San Siro, tanto si è detto e scritto. Quello che ha colpito, in questa stagione forse più che in precedenza, è quando sia stato in grado di sublimare il proprio livello di gioco, concentrandolo pur di elevarne ulteriormente la qualità. Gli esterni sono, da sempre, i primi cambi nella testa di Simone Inzaghi, il fatto che da qualche anno la regola ne permetta cinque ha soltanto confermato quest'abitudine, che però ha dato modo al tecnico nerazzurro di gestire in maniera ancor più preziosa il talento del mancino di casa, autore di gol pesanti (decisivo quello ad inizio stagione ad Empoli, tanto per citarne uno) e titolare di una leadership più o meno tacita e silenziosa, eccezion fatta per i finali di partita da allenatore aggiunto in panchina. Sulla qualità e sulle soluzioni a disposizione del suo sinistro, probabile che ci sia ancora qualcosa rimasto in faretra, di certo, per un figlio di Interello com'è lui, questo scudetto ha un sapore particolare.

HAKAN ÇALHANOĞLU

Sarebbe facile dedicarsi solo ai numeri, concentrarsi sul numero record di gol fatti in una stagione o sul feeling praticamente... perfetto con i calci di rigore. La verità è che Hakan Calhanoglu è stato il vero centro di gravità del gioco nerazzurro, in maniera molto più che permanente, il fulcro attorno al quale l'Inter ha saputo svilupparsi tra i tanti alti e i rari bassi della stagione. Gli inizi da mezzala, amata quasi a prescindere per quella scelta di cambiare maglia passando da una riva all'altra del Naviglio, sembrano un lontano ricordo, così come quelli da trequartista a rilento nella fine dell'esperienza in Bundesliga: i dubbi del post Brozovic sono stati spazzati via dalla centralità con cui il turco ha saputo prendersi ogni tipo di responsabilità, attirando su di sè palloni e scelte e gestendoli con la stessa freddezza con cui ha sbrigato le incombenze dal dischetto. Una stagione da leader visionario, capace di prediligere la concretezza della giocata all'estetica ma allo stesso tempo di grado di lampi di assoluto genio, come il filtrante fantascientifico per Dimarco nel big match contro la Juventus, dimostrazione di un talento con pochi eguali nel ruolo al momento.

Nicolò Barella

Se prima abbiamo accennato a Bastoni come di una sorta di trait d'union tra l'Inter contiana e quella attuale, impossibile non inserire nel paragone anche Nicolò Barella. Sembra passata un'era da quando, al termine di una sconfitta a Dortmund in Champions League, veniva preso quasi come esempio in quanto ad esperienza internazionale in difetto, oggi come oggi siamo di fronte ad uno dei top centrocampisti a livello europeo, per continuità, capacità di inserimento, skills totali e senso della giocata. Un pilastro, termometro quasi naturale delle sensazioni in campo della squadra, irremovibile per la capacità di cambiare automaticamente velocità alla manovra, con uno spunto, una giocata, un guizzo. Il centrocampista box-to-box rivisitato in salsa italiana oltre che in chiave moderna, con qualche lampo in meno a livello realizzativo rispetto al recente passato ma con la determinante peculiarità di saper accelerare, da zero a cento, in un amen: un autentico passepartout dell'Inter bi-stellata.

Marcus Thuram

I giochi di parole possono essere geniali, anche se spesso e volentieri finiscono per stancare. Ecco perchè, dalla LuLa alla Thula, tutto sembrava in estate fuorché qualcosa di azzeccato. Più che per l'assonanza, quello che spaventava - non preoccupava, spaventava proprio - i tifosi dell'Inter, era la capacità di Marcus Thuram di rendere meno vasto il vuoto lasciato da Lukaku, oltre che dall'addio di Dzeko. Non si parlava di colmarlo, questo vuoto, la speranza era riuscire ad alleviarlo, ad arginarlo. Una sola stagione giocata al Gladbach nel ruolo di prima punta con un bottino discreto ma non esuberante di gol aveva convinto la maggioranza degli analisti da luoghi comuni: uno così, buono come ricambio, non di più. E invece, c'è stato un momento esatto in cui la scintilla è scoccata, tra il figlio più grande di Lilian e il popolo nerazzurro, in un luogo che non poteva essere diverso da San Siro e in una partita che non poteva non essere il derby. Quello di andata, quello del rientro sul destro e del fulmine all'angolino lontano a battere Maignan. Con le mani ad aprire le orecchie, Thuram ha raccolto e spazzato via ogni dubbio, alimentando una stagione fatta di sorrisi, corse, scatti, assist (tanti) e gol, ma soprattutto di un feeling naturale con Lautaro Martinez. Perchè a volte i giochi di parole possono stancare, ma spesso sanno essere geniali.

LAUTARO MARTINEZ

Il Mondiale vinto, seppur non da assoluto protagonista, può valere come riscatto di una carriera intera, di casi del genere ne sono pieni gli almanacchi. Eppure Lautaro aveva qualcos'altro in testa, da che ha lasciato Avellaneda per prendere l'eredità di Diego Milito nel cuore nerazzurro di Milano, lui pensava ad altro. Lo scudetto del 2021 era arrivato come una boccata d'ossigeno, come un sollievo, ma questo scudetto, quello che ha da poco fatto partire i festeggiamenti, ha un sapore differente. Lo è per la personalità che il Toro di Bahia Blanca ha mostrato, lo è per l'impressionante bottino di gol, lo è per una classifica marcatori dominata ma soprattutto lo è perchè questo è il suo scudetto, è lo scudetto di un capitano che è il leader offensivo e non solo, è il go-to-guy di un gioco, quello di Inzaghi che da sempre sa come esaltare i propri finalizzatori. Un'Inter fatta e costruita a misura di e su misura per Lautaro Martinez, capofila di un percorso che dalle luci ammirate nel doppio derby di semifinale nella scorsa Champions League ha portato attraverso il deserto del post Istanbul e proprio per questo volto e capitano di un gruppo che ha chiuso il cerchio, trovandoci all'interno una stella, la seconda, la più desiderata.

Più di 3 milioni di utenti stanno già utilizzando l'app
Resta sempre aggiornato con le ultime notizie, risultati ed eventi live
Scaricala
Contenuti correlati
Condividi questo articolo
Pubblicità
Pubblicità