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Serie A - Le 5 verità di Roma-Lazio 1-0: De Rossi e la fame di arrivare. Tudor, urge ripartire da zero

Iacopo Erba

Aggiornato 07/04/2024 alle 10:32 GMT+2

SERIE A - Il "romanista importato" Mancini decide il derby numero 183, facendo pesare l'attaccamento verso una piazza che sente come casa sua. La Champions per questa Roma continua a essere un obiettivo, che per la Lazio invece è sfumato definitivamente. In casa biancoceleste l'unico punto fermo è l'allenatore, il restro è tutto in discussione. A partire dal capitano.

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Roma-Lazio è storia e, come da attese, ha raccontato tantissimo. Il derby della Capitale numero 183 è deciso da una zuccata di Gianluca Mancini, tra gli uomini simbolo della rinascita giallorossa. Un successo pesantissimo per i giallorossi, così come pesantissimo è il ko dei biancocelesti la cui stagione è ormai definitivamente compromessa.

1) Roma, un derby per il sogno Champions e una maledizione spezzata

Questo derby, si era detto, era cruciale per la Roma sia per le ambizioni di classifica che per risentirsi di nuovo al comando della città, aspetto impossibile da sottovalutare nella Capitale che di calcio vive 24 ore su 24. Il successo, sofferto sì ma anche ampiamente meritato, vale tre punti fondamentali nella corsa alla Champions League, una ventata di entusiasmo preziosissima in vista dei quarti di Europa league con il Milan di giovedì prossimo e, soprattutto, una maledizione finalmente spezzata: l'esultanza sotto la Sud e il gol mancavano infatti da quattro stracittadine consecutive. De Rossi lo aveva preannunciato: "C'è voglia di rivalsa". E dolce rivalsa è stata.
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Mancini e Dybala, derby Roma-Lazio di Serie A

Credit Foto Getty Images

2) Lazio, dal sogno alle macerie: Tudor deve fare piazza pulita

Il secondo posto dell'anno scorso doveva essere un punto ripartenza, ma si è rivelato apice di un progetto evidentemente conclusosi proprio nell'appuntamento più sentito dai tifosi. Nel giro di qualche settimana la Lazio si è accartocciata su se stessa, perdendo Sarri e scoperchiando tutte le sue fragilità sul piano tecnico, emotivo e motivazionale. Con il quarto posto ormai irraggiungibile, la stagione è di fatto conclusa e non resta che leccarsi le ferite e fare scelte forti. Sarà chiamato a prenderle Tudor, unica certezza in una squadra in cui ora sono davvero tutti in discussione e alla quale serve una scossa paragonabile a quella di un terremoto del Sud Est asiatico. Da adesso, niente più prigionieri: rivoluzione, punto e basta.

3) De Rossi fortunato? La sua Roma risponde coi risultati e continua a correre

Bastano 26 punti in 11 partite di campionato, frutto di otto vittorie, due pareggi e una sola sconfitta contro l'Inter capolista, oltre ai quarti di finale di Europa League per zittire ogni critica? Ovviamente no, perché nel calcio ci sarà sempre qualche bastian contrario. Ma a Daniele De Rossi gli spifferi entrano da un orecchio ed escono dall'altro. E se alla bravura degli inizi, legata a un gioco esaltante e a vittorie roboanti, si fosse ora aggiunto un pizzico di fortuna per qualche punto sporco ottenuto di troppo, come si dice a Roma, "chi se ne frega". Perché questa Roma capisce il peso della partita e alza il livello quando conta, sa soffrire e soprattutto è tornata a credere in se stessa e nei suoi obiettivi. E questo merito non può toglierglielo davvero nessuno.

4) La grande gioia di Mancini, romanista "importato"

In una città come Roma, sia sponda biancoceleste che giallorossa, la differenza la fa anche il senso di appartenenza. E capita, di conseguenza, che a determinare sfide che pesano siano proprio i giocatori che più sentono addosso le rispettive casacche. Gianluca Mancini è nato a Pontedera, ma la Lupa la sente sua come non mai: lo ha detto, più volte confermato e soprattutto dimostrato sul campo. Di questa squadra ha vestito la fascia da capitano, mettendoci sempre la faccia anche nei momenti più difficili. Il suo gol, che decide un derby importantissimo per la Roma nella corsa alla Champions League, è un meritato premio all'amore per una maglia e una città, suggellato dal solito inchino sotto una Sud adorante.

5) Ciro, è canto del cigno: il cambio all'intervallo una pietra tombale?

Fa male vederlo così, spento e rassegnato. Soprattutto, fa male vederlo restare negli spogliatoi in una partita tanto importante, nella quale da tanto tempo non riesce più a essere se stesso. Per "problemini", dice il suo allenatore. Di certo c'è che la realtà non guarda in faccia a nessuno e dice che Ciro Immobile non riesce più a ritrovarsi. E che, soprattutto, sarà forse costretto a provarci presto in altri lidi, lontano da quella Lazio che prima gli ha salvato la carriera e che poi lo ha consegnato all'Olimpo del calcio italiano. Dopo l'ennesima prestazione impalpabile, la sensazione che si debba imparare a fare a meno di lui non è mai stata così forte. E forse, per quanto dolorosa, è anche la strada più giusta da percorrere per tutti.
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De Rossi: "Derby? C'è voglia di rivalsa, ma dobbiamo restare lucidi"

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