Da Rossi a Tafi: la storia degli italiani alla Parigi-Roubaix
Pubblicato 18/10/2018 alle 14:01 GMT+2
Dai "francesi" Garin e Rossi ai miti di Gimondi e Francesco Moser, fino al ventennale di Franco Ballerini: la storia d'Italia alla Parigi-Roubaix.
Il patriarca italiano del pavé ha i baffi da pioniere e lo sguardo duro delle più vecchie foto in bianco e nero, si chiama Maurice Garin ed è nato a riva della Dora Baltea. Garin vince la Parigi-Roubaix nel 1897 e anche l’anno dopo, solo che gareggia per la Francia e il suo nome è il primo nell’albo d’oro del Tour.
Il primo campione italiano della Roubaix è allora Jules Rossi, emigrato in Francia da bambino ma così fedele alla natia Parma per una specie di legge del contrappasso: corre l’anno 1937 e al termine di una corsa infernale, finita nel Velodrome da appena dieci corridori, Rossi precede in volata una schiera di precursori belgi.
Il 1949/51 è il nostro triennio d’oro alla Roubaix perché prima vince Serse Coppi (ex aequo col francese André Mahé ed è una storia bellissima, oltreché unica, che però qui non potremo raccontare...), poi il fratello Fausto e infine il pistard veneto Antonio Bevilacqua, battendo un certo Bobet nell’ormai classica Italia-Francia sui sassi dell’Enfer du Nord.
Il 1966 è di Felice Gimondi in mezzo a tutti quei maestri belgi - fra cui Van Looy, Merckx e De Vlaeminck - dominatori della Roubaix fino alla fine degli anni Settanta quando la Foresta di Arenberg e il primo Carrefour de l’Arbre saranno la contea dello Sceriffo, Francesco Moser più grande interprete italiano del pavé (1978/80).
Infine, la doppietta nel fango dell’indimenticabile Franco Ballerini (1995 e 1998, saluterà la corsa tre anni dopo con la maglia “Merci Roubaix”) e l’ultima Roubaix italiana di Andrea Tafi nel 1999: chi vince nell’Enfer du Nord consegna il suo nome alla storia del ciclismo.
Secondo nel 2009, con cinquanta Monumento all'attivo e dodici battaglie nella trincea di Arenberg, la croce Tricolore l’ha portata Filippo Pozzato fino all’ultima edizione, con le mostrine del veterano e la bici Wilier Triestina: Viva l’Italia Libera e Redenta.
Non c'è posto più merdoso di Arenberg, ma nel senso buono del termine. (Filippo Pozzato)
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