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Alex Zanardi, l'inno alla vita di chi ha perso tutto e ne ha fatto una forza

Eurosport
DaEurosport

Aggiornato 22/06/2020 alle 18:10 GMT+2

Stiamo vivendo giorni di ansia e preoccupazione per Alex Zanardi. Un uomo e uno sportivo che con la sua tenacia ha conquistato la nostra stima, il nostro rispetto e il nostro affetto. Ed è proprio in momenti difficili come questo che è doveroso raccontare tutto quello che Zanardi rappresenta: una lezione di vita.

Grand Récit - Alessandro Zanardi

Credit Foto Eurosport

Questa storia inizia un 15 settembre. Una data nella quale il mondo non ha molto da condividere con l'automobilismo. Quel 15 settembre, il mondo ha gli occhi rivolti verso un'America scioccata e annebbiata dal fumo macabro che ancora emerge dalle macerie del World Trade Center, crollato 4 giorni prima sotto i colpi dell'attacco terroristico più grave della storia. Colpita al cuore dei suoi poteri economici, politici e militari, l'America sente il terreno franare sotto i suoi piedi. Ma la vita continua. O almeno, così sembra.
Quello che sta per succedere 6.500 chilometri più a est è un asterisco nella storia del mondo e di questo settembre che ha simbolicamente dato il via a un ventunesimo secolo nato nel peggiore dei modi. Ma nella storia di una vita, quella di Alex Zanardi, è un capitolo intero. Quello di un'esistenza che sta per chiudersi e di un'altra che si apre.
Quel 15 settembre 2001 Zanardi si trova in Germania per partecipare al 15esimo Gran Premio della stagione del campionato di Formula Cart, sulla pista del Lausitzring. La gara, ribattezzata The American Memorial 500, viene confermata per rendere omaggio alle vittime degli attentati dell'11 settembre. Vengono coperti gli sponsor e le monoposto sono tappezzate con bandiere a stelle e strisce. Alex Zanardi non è particolarmente entusiasta all'idea di gareggiare. E non è l'unico. Ma, come si dice in questi casi, The Show Must Go On. La prima tappa europea nella storia della Cart va in scena in un'atmosfera pesante. Con un epilogo drammatico per Zanardi.

Il signor nessuno

Cos'è la Formula Cart? Di fatto è la Formula 1 in salsa yankee. Un campionato che si è tenuto dal 1979 al 2007, e che ha finito per eclissarsi e lasciare la scena alla Indy. La Cart è anche e soprattutto la competizione che ha portato alla luce un uomo rendendolo sia felice che infelice, anche se su quest'ultimo aggettivo ci torneremo più avanti per verificare se è appropriato. Quest'uomo è Alex Zanardi, pilota di Formula 1 partito alla volta della costa Atlantica nel pieno degli anni '90 per (ri)lanciare una carriera che fino a quel momento era stata ben poco ruggente. Anzi.
Zanardi in Formula 1 è un signor nessuno. Un anonimo del volante. Approdato alla Jordan nel 1991 per disputare le ultime tre gare della stagione, lascia la scuderia con un bilancio onesto: si piazza al 9° posto a Barcellona al debutto, è costretto al ritiro a Suzuka e chiude con un altro 9° posto ad Adelaide. Insomma. Non abbastanza per alzarsi la notte, soprattutto se si ricorda l'entrata in scena di un certo Michael Schumacher che, anche lui alla guida di una Jordan, aveva fatto faville nelle qualifiche del Gran Premio del Belgio.
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Alex Zanardi al volante della sua Lotus nel Gran Premio del Canada del Mondiale 1993 di Formula 1

Credit Foto Imago

Queste prime tre gare lasciano un retrogusto amaro. Rimasto senza volante nel 1992, Zanardi sostituisce per tre gare a stagione in corso Christian Fittipaldi, vittima di un grave incidente sul circuito di Magny-Cours. Tre piccole apparizioni. Nel 1993 diventa pilota (titolare) della Lotus dove rimane due anni. O quasi. Durante il Gran Premio del Belgio, uno schianto contro le barriere del Raidillon lo priva di un finale di stagione che fino a quel momento l'aveva visto buon protagonista, e che gli aveva regalato un 6° posto a Interlagos e un punto nella classifica piloti. Rimarrà quello l'unico punto in carriera di Zanardi in Formula 1.
Zanardi, che all'epoca ha 26 anni, riprende possesso della sua Lotus al quinto Gran Premio del Mondiale 1994, il più nero nella storia moderna della Formula 1. Pedro Lamy si rompe entrambe le gambe nel corso di una sessione di test a Silverstone. Ma la mitica scuderia ormai è a fine corsa e presto metterà la chiave sotto la porta. Zero risorse, zero punti. Addio Formula 1.

The Pass, storia di una follia

Alex Zanardi prende a quel punto la migliore decisione della sua carriera. L'Europa non lo vuole? E lui va a vedere cosa succede negli Stati Uniti. Lì un pilota di Formula 1 non dovrebbe avere troppi problemi a trovare un volante, pensa. Ebbene, è esattamente il contrario. L'America lo guarda dall'alto in basso. Dopotutto il suo curriculum non è più spesso della carta di una sigaretta. Non è che vicecampione di Formula 3000 e nella categoria regina dell'automobilismo non ha fatto vedere nulla. Trascorre un anno a vivacchiare tra GT e Porsche Supercup.
Poi viene a sapere che la Ganassi Racing, scuderia faro del campionato Cart, sta cercando un secondo pilota da affiancare a Jimmy Vasser. Zanardi si presenta, supera il test prova e viene ingaggiato. Nessuno è convinto della scelta effettuata da Chip Ganassi, specialmente Mo Nunn, futuro ingegnere capo di Alex. Nunn non vede di buon occhio i piloti italiani, troppo irruenti a suo parere. Eppure lui e Zanardi diventeranno ben presto inseparabili.
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Alex Zanardi con il suo ingegnere capo Mo Nunn ai tempi della Formula Cart (2001)

Credit Foto Imago

Dopo un breve e comprensibile periodo di ambientamento, Zanardi si sente perfettamente a proprio agio. Qui prevale lo spettacolo e le differenze tra le macchine non sono così colossali come in Formula 1. Piste e circuiti cittadini diventano il suo pane quotidiano. Fin dalla sua prima stagione Alex mostra gli artigli: alla sua seconda gara centra la pole position a Rio de Janeiro e termina la stagione al 3° posto della classifica piloti (con gli stessi punti del 2°, Michael Andretti) con un bilancio di 3 vittorie, il titolo di rookie dell'anno e una manovra entrata nella leggenda.
Ultimo giro dell'ultima corsa della stagione. Laguna Seca. Zanardi è alla ruota di Bryan Herta. L'americano ancora non lo sa, ma sta per diventare vittima del sorpasso più folle nella storia della categoria. Nel cavatappi, la famosa curva sinistra-destra del mitico tracciato californiano, Alex Zanardi tenta una manovra pazza. Herta, come ogni pilota dovrebbe fare (e fa) affronta la curva dall'esterno e frena per prendere la corda: non ha ancora dato il minimo colpo al volante che vede un Ufo passarlo dolcemente all'interno.
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Il sorpasso di Alex Zanardi ai danni di Bryan Herta l'8 settembre 1996 a Laguna Seca

Credit Foto Getty Images

Zanardi ci è andato alla cieca, a capofitto. In maniera po' audace il bolognese e il suo bolide scarlatto attraversano la pista come una palla fino a sfiorare il muretto. Con entrambe le ruote nella sabbia, Alex riesce a raddrizzare la sua monoposto all'ultimo momento e a conservare il vantaggio conquistato in modo così sfacciato. Ha vinto, e gli americani hanno adorato questo sorpasso. E come ogni volta che si affezionano a qualcosa, gli danno un nome. Questo, per tutti, sarà The Pass (Il Sorpasso). Per sempre, ma mai più. Perché da quel momento la manovra in quel punto della pista sarà vietata.
"Avevo elaborato un piano diabolico, ma devo ammettere che l'esecuzione era un po' diversa nella mia testa. La differenza tra un eroe e un idiota è minima. Questo ha cambiato la mia carriera", dirà Zanardi che dopo quel sorpasso diventa un altro uomo. Diventa una star. Perché ha già iniziato a vincere. I due titoli Cart 1997 e 1998 saranno suoi. Ma anche perché brilla anche fuori dalla sua monoposto.

Gli spaghetti alla bolognese da David Letterman

In conferenza stampa o in tv, Alex diverte e si diverte. È ironico e sa sempre trovare le parole giuste. "Le conferenze stampa di Zanardi erano travolgenti - spiegherà Robin Miller a Sports Illustrated qualche mese dopo l'incidente -. Avrebbe potuto parlare per ore, si capiva che amava essere in quel posto e in nessun altro. La sua felicità era contagiosa. Nel 1998 era diventato l'anima della Cart". Dotato di una presenza e di uno spirito unici, Zanardi si presenta una sera anche al Late Show di David Letterman dove cucina gli spaghetti alla bolognese. Ormai è una vera e propria stella.
Tutti sognano un giorno di essere profeti in patria. Anche quando si è riusciti a conquistare il Nuovo Mondo. Zanardi non fa eccezione alla regola. Quando Frank Williams lo tira per la manica per riportarlo in Europa e in Formula 1, il richiamo è troppo forte. Soprattutto nella fase dei primi contatti, nel 1997, la scuderia britannica è ancora al top. Grazie a Jacques Villeneuve, anch'egli proveniente dalla Cart, e a Heinz-Harald Frentzen, vince i suoi ultimi titoli mondiali, sia piloti che costruttori.
Zanardi firma un contratto di tre anni da 15 milioni di dollari e precipita. Problema: tra l'inizio delle trattative e l'approdo di Alex alla Williams, la scuderia britannica ha perso la sua supremazia. La McLaren si è improvvisamente rialzata e in casa Ferrari sta per avere inizio l'era Schumacher. Zanardi convive con un altro Schumacher, Ralf, che descrive come "tanto veloce quanto sgradevole".
Alla fine della stagione, il "fratello di Michael" totalizza 35 punti. Zanardi zero. Il vuoto abissale. La Williams e Zanardi si lasciano dopo un solo anno che, a parte un settimo posto a Monza, per il pilota bolognese si rivela un incubo. La Formula 1 non è fatta per lui, così come lui non è fatto per la Formula 1.
2001. Ritorno al punto di partenza. Zanardi torna negli Stati Uniti, anche se non più da Chip Ganassi. Si sente comunque un po' a casa perché gareggia per Mo Nunn, con cui ha lavorato dal 1996 al 1998, e che è all'origine dell'ananas che adorna il suo casco fin dall'inizio della sua carriera americana. Perché un ananas? Per le questioni spinose che Alex aveva posto a Mo all'inizio della loro proficua collaborazione. La Mo Nunn Racng non ha la potenza di Chip Ganassi, ma vuoi mettere il piacere di tornare?
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Rafl Schumacher e Alex Zanardi ai tempi della Williams in Formula 1

Credit Foto Imago

Uno scontro a 320 km/h

15 settembre 2001. Sono quasi le 15.30 quando Zanardi imbocca la corsia dei box. Per la prima volta da quando è tornato nella Cart, è al comando di una corsa pur essendo partito dal 22esimo posto. Mancano 13 giri alla fine e poi la sua 16esima vittoria in carriera sarà realtà. Dopo circa 5 secondi di stop, riparte. Come centinaia di altre volte. Solo che stavolta la sua accelerazione non piace molto alle gomme nuove. La sua monoposto parte in testa coda e, dopo essere finita nell'erba, si ritrova in mezzo alla pista.
Zanardi e la sua macchina sono un birillo su una pista da bowling. Solo che questo birillo è da solo di fronte a una ventina di palle scagliate a tutta velocità. Patrick Carpentier evita miracolosamente l'impatto: "Ho visto che (Zanardi, ndr) perdeva il controllo della vettura, ho pensato di passare sotto di lui ma andava troppo veloce. Di colpo ho sterzato sulla destra e l'ho sfiorato. Mi è passato a un dito di distanza...".
Il suo connazionale Alex Tagliani avrà meno successo. L'impatto è di una violenza eccezionale, nel senso letterale del termine. "Sono passato attraverso la sua macchina - racconterà Tagliani -. L'ho colpito nella parte più fragile del posto di guida. Pochi centimetri più in là ci sono i radiatori e la scocca è più spessa. Se avessi sterzato a destra invece che a sinistra saremmo morti entrambi".
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L'incidente di Alex Zanardi sulla pista del Lausitzring, il 15 settembre 2001

Credit Foto Imago

Non è morto nessuno. Tagliani ne esce tutto sommato bene fisicamente. Ma la vita si è fermata. Quattro giorni dopo l'11 settembre, l'America si risveglia in quel sabato mattina con altre immagini terribili che provengono dalla Germaia. La monoposto di Zanardi è stata polverizzata dalla Forsythe di Tagliani, lanciato a più di 320 chilometri orari. Tranciata in due. Così come Zanardi. "La potenza dell'impatto fu talmente violenta che non gli tagliò le gambe - spiegherà un anno più tardi Steve Olvey, responsabile medico della Cart -. Gliele fece esplodere. Quello che accadde a Zanardi è praticamente identico a quello che succede ai soldati che mettono un piede su una mina".
Ho una buona e una cattiva notizia
In un silenzio quasi religioso, intorno alla macchina immobile e distrutta di Zanardi i soccorritori cercano di salvare quello che può essere salvato. Zanardi si svuota letteralmente del suo sangue. Terry Trammel, chirurgo ortopedico della Cart, è il primo ad accorrere sul posto. Racconterà a Sports Illustrated di essere scivolato e di pensare che fosse colpa dell'olio sulla pista. Era sangue. Zanardi sta per morire. Le sue gambe non ci sono più, letteralmente. Bisogna solo cercare di salvarlo fermando l'emorragia dagli arti recisi. Ci si riesce in qualche modo, con una particolare cintura.
Si prende subito la decisione di trasportare il pilota all'ospedale di Berlino, distante 37 minuti di elicottero. Tra il momento dell'incidente e l'arrivo al centro medico della capitale tedesca, Alex Zanardi ha 7 arresti cardiaci, perde tre quarti del suo sangue e riceve l'estrema unzione.
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I primi soccorsi ad Alex Zanardi dopo l'incidente del 15 settembre 2001

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Sono trascorsi 56 minuti dall'incidente e il pilota è in sala operatoria. Tre ore di intervento ed entrambe le gambe amputate: la destra a partire dal ginocchio, la sinistra dalla coscia. È vivo. E non ricorda nulla, naturalmente. Parlando dell'incidente, Alex è consapevole di una cosa: "Non avrei dovuto sopravvivere. Sono rimasto quasi 50 minuti con meno di un litro di sangue. La scienza dice che è impossibile".
Zanardi l'ha fatto. La voglia di vivere è stata più forte. Si è decuplicata.
Sua moglie, che non è stata subito informata della gravità di quanto accaduto, si renderà presto conto che il corpo di Alex è segnato in maniera terribile dall'incidente. Una settimana di coma e al suo risveglio, sotto un dolore immenso, la grande lezione di vita: "Non vedo quello che mi manca, ma tutto quello che mi resta", le prime parole di Zanardi. E anche la voglia di scherzare è tornata: "Quando mi sono svegliato Daniela avrebbe dovuto dirmi 'ho una buona e una cattiva notizia'".
Al suo posto mi suiciderei
"Quando mi sono risvegliato non mi sono detto 'come farò a vivere senza le gambe?'. Ma mi sono chiesto 'come riuscirò a fare tutto quello che devo fare senza le gambe?'. Non voglio darmi alcun merito per questo, ma ero più curioso che depresso. E questo mi ha aperto a una nuova vita".
Quando ne parlerà con i suoi figli, Zanardi potrà dire loro di avere vissuto due vite al prezzo di una. Desiderata la prima, sofferta la seconda. Perché non si è mai piegato sotto il peso del dramma. Fin da subito non ha avuto che un unico sogno: tornare a vivere normalmente. Quello che faceva prima, in pratica.
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Zanardi: "Giochi nel 2021? Alla mia età far sport è un mezzo miracolo ma mi sento un privilegiato"

"Non considero il mio incidente e quello che mi è accaduto come una tragedia perché, in fondo, le conseguenze sono semplicemente due gambe di metallo", spiegava Zanardi nel 2003 al momento di riprendere il volante. "Tutto il resto è ok. Se 2 o 3 anni prima avessi visto qualcuno nella mia situazione avrei provato per lui una grande pena e una profonda ammirazione, e mi sarei detto 'al suo posto mi suiciderei'. Ma ora che ho vissuto questa esperienza, è molto lontana da me l'idea di togliermi la vita. Al contrario, sono molto felice di essere qui".
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Alez Zanardi e Alex Tagliani sulla pista di Toronto il 7 luglio 2002

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Con due protesi in titanio appositamente progettate per lui e una lunga riabilitazione a Budrio, nella sua Emilia Romagna, Zanardi ricomincia a camminare. A vivere, molto semplicemente. Senza pensare a quello che succederà. Riuscire a stare in piedi è una prima vittoria. E prova una soddisfazione che nemmeno poteva immaginare. Quale? Eccola: "Con le mie gambe artificiali sono più alto di prima".
E le gare automobilistiche in tutto questo? I primi mesi non sono che un miraggio. "Quando ho ritrovato un po' di energie, me lo sono chiesto spesso ma non riuscivo a darmi una risposta. Anche perché era una questione irrilevante: non potevo nemmeno andare in bagno da solo. E la mia priorità era recuperare la mia indipendenza. Sapevo che tutto il resto sarebbe stato possibile, ma dovevo aspettare".

Il richiamo di Londra

Un giorno Max Papis lo chiama al cellulare. Lui è in macchina, che controlla manualmente. "Cosa stai facendo", gli chiede Papis. "240 chilometri in un'ora", gli risponde Zanardi. È quasi pronto. La molla è scattata nel maggio 2003. Invitato dalla Cart a completare la corsa che non ha potuto né finire, né vincere il giorno dell'incidente, Zanardi si mette alla guida di una monoposto e percorre simbolicamente quei 13 giri che mancavano. "Volevo essere autorizzato a spingere e gli organizzatori mi diedero l'ok - ricorda Alex -. E fui io il primo a sorprendermi di quelle sensazioni e di quegli automatismi ritrovati così rapidamente". Il suo giro più veloce gli avrebbe consentito di occupare la quinta posizione sulla griglia di partenza in una gara vera.
Zanardi ricomincia a correre. E lo fa bene, anche con le sue gambe artificiali. Vince 4 gare di WTCC (il Campionato del mondo turismo) ma, soprattutto, si lancia in una sfida nuova e un po' folle: l'handbike. Nel 2007 partecipa alla maratona di New York, conquistando una quarta posizione molto incoraggiante soprattutto se si considera che si allena da meno di un mese. E un'idea inizia a girargli in testa: partecipare alle Paralimpiadi di Londra. Lo annuncia nel 2009. Zanardi all'epoca ha 42 anni e si è appena piazzato 15esimo nella crono Mondiale.
Ancora una volta il tempo gioca contro di lui. A Londra Alex avrà 45 anni e avrà a che fare con giovani nel pieno della loro forza. Ma i mesi passano e il suo sogno prende forma. Vince la maratona di Venezia nel 2009, quella di Roma nel 2010 e quella di New York nel 2011. Vince anche la sua prima medaglia a un Mondiale ed è pronto a conquistare Londra l'estate successiva. Cosa che farà.

Brands Hatch, un simbolo

Il caso a volte fa le cose per bene. Il giorno in cui Zanardi si arrampica in cima all'Olimpo lo fa a Brands Hatch, il mitico circuito automobilistico che ospita la gara a cronometro delle Paralimpiadi. Alex non aveva mai vinto su questa pista al volante di una macchina, l'ha fatto con una bicicletta tra le mani. "Qui ero già arrivato secondo e terzo, ho dovuto tornarci con una bici per vincere. Provo una sensazione straordinaria". Non ne ha piena consapevolezza, anzi forse è convinto del contrario, ma la sua avventura non è che all'inizio. A Londra 2012 lo attendono ancora un oro nella gara in linea e un argento nella staffetta. Poi 4 anni di pazienza, prima di Rio.
A 49 anni, passato dalla categoria H4 (posizione sdraiata) alla categoria H5 (posizione inginocchiata), Zanardi si impone nella gara a cronometro, vince la staffetta a squadre e aggiunge alla sua collezione di medaglie un bell'argento nella prova in linea. Poi continua a stupire. Batte il record del mondo nell'Ironman e nel 2018 a Cervia si piazza 5° (su quasi 3mila partecipanti) con il tempo di 8 ore, 26 minuti e 6 secondi, nuovo primato del mondo per la categoria disabili.
Nel 2011, prima dei successi olimpici a Londra 2012, a un giornalista che gli chiedeva se quel terribile incidente fosse stata una benedizione per lui, Zanardi aveva risposto così: "Non mi spingerei così lontano. Ma il modo migliore per rispondere a questa domanda è questo: se un mago mi avesse offerto la possibilità di ridarmi l'uso delle mie gambe senza dirmi cosa sarebbero stati per me gli ultimi dieci anni, credo che mi gratterei la testa diverse volte prima di dare una risposta".
(testo tradotto da Eurosport Francia)
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Ironman Zanardi da record: le immagini della gara di Cervia

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