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Si fa presto a dire 'il re è tornato': quanto pesa la vittoria di Rafa Nadal?

Simone Eterno

Aggiornato 18/04/2016 alle 14:49 GMT+2

Il successo in un Masters 1000 sulla terra dopo quasi 2 anni di attesa ha riacceso i riflettori sul nome dello spagnolo, ma quanto pesa realmente il torneo di Monte Carlo appena concluso e quali limiti ha messo in mostra, ancora una volta, il maiorchino? L'analisi di una settimana da protagonista, ma senza IL protagonista

Spain's Rafael Nadal celebrates

Credit Foto AFP

Si fa presto a gridare “il re è tornato”. C’è stato un momento – e per la precisione è il tardo pomeriggio di martedì della scorsa settimana – che dalle finestrone del bar del Monte Carlo Country Club, terminata la sua conferenza stampa, Rafa Nadal si è fermato per guardare, insieme al manager Barbadillo e tutto il suo staff, che cosa stesse combinando Novak Djokovic pochi metri più sotto.
La scena mi ha ricordato incredibilmente quanto cui avevo già assistito tre anni prima, nello stesso identico luogo e in praticamente identica circostanza. Nadal stava concedendo un’intervista esclusiva alla Gazzetta dello Sport seduto a un tavolino del bar, ma alle domande del collega Rafa rispondeva in maniera molto distratta. Non di certo mancanza di cortesia, semmai qualcosa che intorno a lui continua a distoglierli l’attenzione. Novak Djokovic, infatti, lì sotto, stava incredibilmente faticando nel suo esordio contro Mikhail Youzhny; più che alle domande, insomma, la testa del maiorchino era verso il gioco del serbo.
Quell’anno però finì diversamente. Anziché incappare in una clamorosa sconfitta, Djokovic chiuse al 3° set per 6-4, andando poi fino in fondo al torneo e detronizzando per la prima volta in carriera un Nadal che a Monte Carlo era sempre arrivato da partecipante… e sempre uscito da vincitore.
L’aneddoto non è certamente fine a sé stesso, bensì piuttosto divertente nel pensare alla pagine di quotidiani e siti internet che ieri e oggi si stanno sbizzarrendo. “Il re del rosso è tornato”, si scrive da più parti, ma oggi come allora lo sguardo di Nadal da quelle tribune racconta come lo spagnolo, ancor prima di dipendere da sé stesso, sia più che altro legato al destino di un altro.
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Novak Djokovic and Rafa Nadal

Credit Foto Imago

“Come tutti, del resto” potrebbe obiettare qualcuno. Verissimo, in questo particolare anno di tennis la sconfitta di Djokovic con Vesely non ha cambiato una virgola delle gerarchie, semmai confermando quanto ci sia stato bisogno di una sorpresa per vedere qualcosa di diverso dal dominio del serbo. Ma è proprio qui che arriva il tema a noi più caro. Dopo le prime due giornate di torneo monegasco, da queste pagine, sostenevamo come la coperta di Rafa fosse relativamente corta. E nonostante il bel successo sulla terra del Principato, l’opinione rimane più o meno la stessa.
No, non è una questione di ipocrisia o difesa della linea a tutti i costi. Semmai, onestà intellettuale. Nel torneo vinto da Nadal si sono viste cose eccellenti, tra cui la principale è da individuare probabilmente nel ritrovo di una consapevolezza che ‘senza quello (Djokovic)’, Rafa è ancora libero di poter dire la sua su questa superficie. Una cosa non da poco visto il recente passato, ma da qui a cadere nel tranello di rimettere Nadal favorito davanti a tutti, come qualcuno vuole far credere, ce ne passa parecchio.
Credere che Nadal sia tornato ai livelli dell’estate del 2013 ad esempio è pura fantascienza; pensare che questa vittoria arrivata in crescendo lungo il corso della settimana possa corrispondere a un simile cammino fatto ad esempio nel Roland Garros del 2014, è invece più accettabile ma comunque molto prematuro. A dircelo è un gioco che nonostante il ritrovo di un buon rovescio, ha mostrato – finale compresa – un dritto a intermittenza. E questo tanto per incominciare. A Rafa resterebbe infatti da ritrovare un servizio mai più stato lo stesso dopo l’estate del 2013; o evitare situazioni come quelle della partita con Thiem, dove il maiorchino ha concesso un’infinità di palle break che solo le ingenuità dell’austriaco hanno impedito di trasformarsi in problemi ben più gravi.
Più in generale, comunque, è la sensazione di vulnerabilità alla solidità dell’avversario il vero punto debole di questo Nadal. Per intenderci: Rafa non ha problemi a gestire le accelerate improvvise di Thiem o i colpi da funambolo di Monfils, ma potrebbe averne molti di più con un tennista in grado di mostrare un livello costante di buon tennis lungo tutto l’arco di una partita. E Nadal, di questi giocatori, nel corso della settimana monegasca, non ne ha incontrati. Nemmeno Murray è stato infatti un test attendibile da questo punto di vista, con lo scozzese inspiegabilmente fuori dai giochi dopo un primo set di dominio assoluto o quasi.
E’ per questa ragione che gridare al ritorno, dopo il bellissimo successo nel Principato, è quantomeno prematuro. Molto più interessante sarà infatti capire cosa succederà a Barcellona, Madrid e Roma. Dovessero confermarsi i progressi visti a Monte Carlo si assisterebbe anzitutto a un’inversione di tendenza rispetto ai tornei sudamericani di questo inverno e alla disastrosa stagione 2015, quando Rafa in primavera perse praticamente da tutti. Poi, ovviamente, la prova del nove resta e resterà – come per tutti del resto – un incrocio con Novak Djokovic. Col vero Novak Djokovic. Perché da quel punto di vista lì, nonostante il rivedibile impatto del serbo con le polveri del rosso, siamo proprio sicuri: resta lui l’uomo da battere. E se non credete alle nostre parole, fatelo almeno agli occhi di Rafa.
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