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Dietro l'exploit di Jasmine Paolini: il lavoro silenzioso di Renzo Furlan

Federico Ferrero

Pubblicato 01/03/2024 alle 12:01 GMT+1

TENNIS - La crescita di Jasmine Paolini, coronata dal successo nel Masters 1000 di Dubai, deriva dallo straordinario lavoro svolto con il coach Renzo Furlan. Riservato, lavoratore, intelligente e - parola magica - umile, sta trasmettendo tutti questi valori all'azzurra, che ora può anche puntare a entrare nella Top 10 mondiale.

Paolini: "Un sogno vincere un torneo così, sono orgogliosa di me stessa"

È possibile, se vi è capitato di leggermi, che non vi sia sfuggito quanto mi risulti indigesta la retorica spiccia. Il lavoro che paga, il campione che si è infortunato e tornerà più forte di prima, i valori, il cuore. Che palle - e mi prendo la licenza, visto che di palle qui, in fondo, si tratta. Quindi vorrei cercare di dire qualcosa su Renzo Furlan che non contenga i termini abnegazione, resilienza, umiltà e i loro sinonimi.
La notizia è nota, Jasmine Paolini è diventata la terza donna italiana di sempre a vincere un torneo di categoria 1000, a Dubai. Certo, con alcune postille corrette per contestualizzare: ha dovuto affrontare una top 10 e tra quelle più in confusione, Maria Sakkari (9 Wta). L’altra (Rybakina, 4 Wta) ha dato forfait proprio prima di affrontarla, per un mal di pancia. Swiatek (1 Wta) si è fatta sgambettare da Kalinskaya (qualificata). Sabalenka (2 Wta) non c’era, Pegula (3 Wta) neanche, Jabeur (6 Wta) ha marcato visita pure lei. Questo per completezza: dopodiché, i tabelloni del tennis non sono alla baraonda, per cui ciascuno deve giocare solo le sue partite e non battere tutta la concorrenza; fatte salve una manciata abbondante di contendenti, se il livello di gioco di Jasmine resta quello degli Emirati Arabi c’è motivo di pensare che abbia trovato la strada per entrarci lei, tra le prime dieci. E, magari, per rimanerci per un po’.
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Jasmine Paolini bacia il trofeo vinto al WTA di Dubai 2024

Credit Foto Getty Images

Parlo di Renzo Furlan perché non solo mi piace, e tanto, la sua filosofia di vita lavorativa ma anche perché la mania di bollare tutto con un colore o col suo opposto ha intossicato pure l’impresa della sua giocatrice la scorsa settimana. Siccome non è più giovanissima, è piccolina e non se la tira, Paolini è diventata una specie di replica di quanto era Furlan negli anni Novanta: piccolino, riservato, lavoratore, senza colpi spacca-palle ma fisicamente preparatissimo, intelligente e, parola magica, umile. Per fortuna ci ha pensato lui, intervistato da Dario Puppo e Guido Monaco su YouTube, a chiarire che questa storia dell’umiltà è sopravvalutata e, soprattutto, spesso fuorviante: un atleta di vertice non dovrebbe essere umile, se il termine sottende la mancanza di ambizioni, il ritrarsi. Non può esserlo. Rispetto sì, paura no. Senza obiettivi in grande, a vincere un torneo del genere non ci si va neppure vicini.
Stessa cosa valeva per Furlan da tennista: un conto è sapere che, contro Pete Sampras sull’erba, per lui c’era solo da sperare che l’altro avesse un calo di zuccheri. Un altro è passare per il terzinaccio da serie C che prende a calci tutto quello che gli passa tra i piedi e, come disse il mitico tecnico Nereo Rocco, «se vedi qualcosa che si muove a pelo dell’erba, colpiscilo: se era la palla, pazienza». Renzo, per la narrazione generalista, era «il soldatino» perché tirava piuttosto piano, la partita la vinceva anche con la tigna e la volontà e, nelle interviste, si esprimeva quasi sottovoce. Quando batté Chesnokov al Foro Italico e l’Italia sconfisse lo squadrone russo, anno 1996, ai microfoni Rai disse che «sì, forse posso giocare ad alto livello». Forse. L’anno prima, aveva fatto quarti di finale a Parigi. Poco tempo dopo, sarebbe entrato nei top venti.
Secondo me, insomma, si confondono la discrezione, la riservatezza, la poca voglia di protagonismo con l’essere grigi gregari. Quando Furlan collaborò strettamente con Corrado Barazzutti per far tornare la voglia di giocare e di vincere a Francesca Schiavone, diventando un ingranaggio fondamentale nella costruzione di un’atleta matura che, a trent’anni, giocò e vinse un Roland Garros clamoroso, il fatto che praticamente nessuno si fosse accorto – o sapesse, perché ai tempi i social erano meno invadenti e certamente la notizia non l’avrebbe diffusa lui – del contributo fondamentale di Renzo non significa che, appunto, quell’apporto non ci sia stato. Renzo è un esempio di giocatore che è riuscito a trasferire le sue conoscenze dal campo alla panchina, un altro passaggio tutt’altro che scontato: il parallelismo tra giocatore forte e coach in gamba è una semplificazione plurismentita, anche solo pensando ai tennisti italiani della sua generazione. Ecco, semmai, è un peccato che l’Italia si sia lasciata sfuggire per tanti anni, nonostante riuscisse a lavorare part-time con Jasmine già da tempo, un coach del genere, convinto nel 2015 da Novak Djokovic a seguire i giovani talenti serbi a Belgrado. Dopo i lockdown per il covid, Renzo è tornato in patria e lui e Paolini hanno iniziato a lavorare a tempo pieno insieme ma, se avessi un figlio bravo a giocare a tennis, sarebbe tra i primi a cui mi piacerebbe poterlo affidare.
Quando ricordò, su mia suggestione, la sua vita da atleta, mi raccontò un aneddoto. Nel 1985, a gennaio, ci fu una nevicata clamorosa – a Milano se la ricordano ancora. Renzo aveva 15 anni e si allenava a Riano. L’unico campo coperto, anzi, due, erano due rettangoli al centro sportivo Lanciani, zona Roma nord. Per ricavare un terzo campo, il suo coach (Riccardo Piatti) aveva sistemato una transenna tra i paletti esterni dei due campi, ottenendo così un simulacro di campo da tennis. Su quello giocava Furlan perché, a quel tempo, rispetto a Cristian Brandi, Cristiano Caratti e Ghigo Mordegan era più indietro e, quindi, gli toccava il terreno di gioco più scrauso.
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La gioia di Jasmine Paolini, AusOpen 2024

Credit Foto Getty Images

Per capire da dove viene il pane e come si guadagnano e gestiscono i soldi, mestiere nel quale i giocatori italiani fino al Duemila erano mediamente oculati come gli spacconi nei cinepanettoni dei Vanzina, Furlan era costretto a dormire durante le tappe catalane del circuito minore in una pensioncina scrostata, la Pensión Toledano. Mi disse che, la sera, lui e i suoi compagni di avventura lavavano i completi sporchi di terra e li mettevano fuori a stendere. La mattina dopo, li ritrovavano mitragliati dalle deiezioni dei piccioni. Quando, finalmente, Furlan ebbe la classifica sufficiente per giocare le qualificazioni del Conde Godó, il torneo Atp di Barcellona, si ritrovò – sempre per decisione del suo coach – a dormire nella medesima bettola che avevano scelto durante i tornei minori. La sera prima di un match, siccome la pensione era affacciata sulla Rambla, c’era un chiasso clamoroso; Renzo non dormì e, il giorno dopo, perse praticamente senza giocare. Quella volta, prese da parte il coach e gli disse: «Senti, tu mi porti a giocare questi tornei perché dici che ho il livello per misurarmi con i migliori. Ma se pensi che io sia come loro, perché loro dormono nell’hotel ufficiale e tu continui a farmi stare in questo posto fetente?»
Ecco: la giusta distanza dalle cose, al di là della conoscenza profonda del gioco che, soprattutto in campo femminile, può fare la differenza essendoci più standardizzazione e meno varietà, credo sia una qualità rara e molto preziosa per un professionista in cerca di una guida, come nel caso di Jasmine Paolini con Renzo Furlan. Il tennis, tra i vari equilibri che richiede – il corpo, la mente, gli adattamenti a climi e imprevisti, le solitudini – più si sale di livello e più può dare le vertigini. Nella settimana appena conclusa a Dubai la tennista italiana ha incassato 500.000 euro lordi. Al di là di questioni fiscali attualmente di moda (Jasmine, peraltro, mi risulta sia residente in patria) è un jackpot notevole, ben anche diminuito dall’aliquota di tasse. Sono piuttosto sicuro del fatto che, anche in tema di gestione patrimoniale, un coach come lui – che arrivava da una famiglia poco abbiente e che nel tempo, avesse voluto, si sarebbe potuto “sedere” su buoni guadagni anche senza dannarsi più l’anima per migliorare – possa rappresentare un riferimento di saggezza e di lungimiranza, per chi magari può ritrovarsi disorientato da bonifici con tanti zeri. Non farsi condizionare troppo, né fare del tutto finta di nulla: il giusto mezzo. Spero non solo che Jasmine giochi a tennis ancora a lungo ma che Renzo abbia ancora tanta voglia di farsi la valigia e di seguire qualche altra italiana, o italiano, senza perdere mai la voglia di trasferire le sue conoscenze e il suo modo di vedere il tennis. Che non ha bisogno di Instagram né di mettere la faccia dappertutto per guadagnarsi la stima altrui.
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Paolini: "Un sogno vincere un torneo così, sono orgogliosa di me stessa"

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