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Acerbi: "Quando ero al Milan bevevo di tutto e ho toccato il fondo, mi ha salvato... Il cancro"

Giulia Cicchinè

Aggiornato 27/10/2019 alle 17:44 GMT+1

In una lunga intervista a La Repubblica, Francesco Acerbi si racconta e parla del tumore che per ben due volte lo ha colpito e di come si è rialzato dalla malattia. Una parola sui genitori e uno sguardo al futuro senza paura “perchè ho smesso di averne”.

Francesco Acerbi - Finale Tim Cup - Lazio 2019

Credit Foto Getty Images

Francesco Acerbi torna a parlare del periodo più buio della sua vita, quello del cancro al testicolo sinistro che lo ha colpito nell’estate del 2013. Acerbi a La Repubblica, parla di quei giorni ai tempi del Sassuolo e racconta di come ha affrontato la malattia
Paura? Ho smesso di avere paura sei anni fa. Ci pensavo proprio in queste ore. Ace - mi ripetevo - che fai se quella roba ritorna? La affronterò di nuovo, mi sono risposto. Vedo le cose ben chiare davanti a me e so che da un giorno all’altro potrebbe cambiare tutto
E sembrava una specie di monito, un avvertimento.perché per Acerbi la lotta non era finita. A novembre il tumore si risveglia, recidivo al testicolo destro.
Chemioterapia dal 7 gennaio al 14 marzo, l’ingresso in un mondo parallelo e più vicino di quanto immaginassi che non abbandoni più, un mondo straordinario pieno di dolore e di coraggio. Credo che la malattia mi abbia addirittura migliorato, cancellando rimorsi e rimpianti. Sono diventato un osservatore del paesaggio che sta attorno a me. Ho eliminato il superfluo, le persone negative, ma anche le illusioni. Ho smesso di sognare, preferisco fissarmi dei traguardi semplici. Volevo la Nazionale, per esempio, e me la sono ripresa. Un’ansia di meno. Come la tengo a bada? Calcio e casa, e basta. Cazzo Ace - mi ripeto di continuo - non pensare ad altro. Poi, certo, c’è il lavoro con lo psicanalista che mi segue dai tempi del Sassuolo. Lui sta a Modena, io a Roma. Ci diamo appuntamento il venerdì pomeriggio, con una videochat. Passiamo un’ora che mi fa stare bene
Ma Francesco Acerbi non è solo appaiabile alla malattia. Francesco Acerbi è molto di più e parla anche di questo.
Io, un uomo sbagliato. Credo di essere una persona solitaria e perciò difficile. È complicato starmi accanto e penso che la colpa sia soltanto mia. Non riesco a vivere in piena serenità. C’è sempre un pensiero che mi segue e non ha nulla a che vedere con quanto mi è successo. Come se nella testa mi battesse di continuo un martello. Così a volte risulto antipatico, trascinato dal vento dell’umore
Non è di certo stato semplice per Francesco Acerbi. Già giocare a calcio ad alto livello può mettere una pressione da poco. Da aggiungere al tumore al testicolo e alla perdita del padre.
Mia madre mi ha educato alla bontà, mio padre mi ha trasmesso la tenacia e l’ambizione. Ho sempre avuto bisogno di un avversario per dare il massimo, l’ho idealizzato per molto tempo nella figura paterna. Dopo la morte di papà sono precipitato e ho toccato il fondo. Ero al Milan, mi sono venuti a mancare gli stimoli, non sapevo più giocare. Mi sono messo a bere e, bevevo di tutto. Potrà sembrarle un paradosso terribile, ma mi ha salvato il cancro. Avevo di nuovo qualcosa contro cui lottare, un limite da oltrepassare. Come se mi toccasse vivere una seconda volta. E sono ritornato bambino. Sono riaffiorate immagini che avevo completamente dimenticato
Ma adesso gli obiettivi e gli sticoli ci sono. Eccome se ci sono.
Il campo fino a 38 anni, qualche soddisfazione da togliermi con la Lazio, poi la panchina. Farò l’allenatore
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