Inter: il caso molto italiano di Conte. Dopo Verona si parlava di divorzio, oggi di scudetto
Pubblicato 17/07/2020 alle 20:19 GMT+2
Atalanta esclusa, il campionato post pandemia è una roulette. Prendete l'Inter di Antonio Conte: l'avevamo fustigata ed esposta al pubblico ludibrio dopo il 3-3 con il Sassuolo, l'1-2 con il Bologna e il 2-2 di Verona. Ora è di nuovo lì, da quarta a seconda, con la miglior difesa, a sei lunghezze dalla Juventus (7, se consideriamo gli scontri diretti).
Atalanta esclusa, il campionato post pandemia è una roulette. Prendete l'Inter di Antonio Conte: l'avevamo fustigata ed esposta al pubblico ludibrio dopo il 3-3 con il Sassuolo, l'1-2 con il Bologna e il 2-2 di Verona. Processi sommari, popolo in subbuglio, la juventinità del caudillo pericolosamente riesumata dagli archivi. Provvidenziale, giunge in soccorso la frenata di Maurizio Sarri, capace di ricavare un punto, uno solo, dal doppio 2-0 con Milan e Sassuolo. E così l'Inter del rotondo 4-0 alla Spal è di nuovo lì, da quarta a seconda, con la miglior difesa, a sei lunghezze dalla Tiranna (sette, se consideriamo i confronti diretti). Davanti alla Dea e alla Lazio, in fuga da sé stessa.
In Italia si dà una importanza smodata agli allenatori. Non che non lo siano, ma non ai livelli ai quali ci piace appenderli. Conte è un martello e dunque, quando si incavola, cosa che gli capita spesso, distribuisce colpi che lo rendono estremo se non, addirittura, estremista. Percepisce uno stipendio annuo di 12 milioni netti (ripeto: netti). È chiaro che, a queste cime e con questi onorari, ti aspetteresti una mossa in grado di firmare la stagione. Ma in campo non vanno loro, i guru. Vanno i Christian Eriksen che, presi a gennaio, avrebbero dovuto alzare la qualità della manovra, e invece no (o non sempre). Più utile alla causa, adesso che si è ristabilito, mi pare l'ultimo Alexis Sanchez, abile nel girare attorno a Lau-Toro e mascherarsi, se serve, da trequartista.
Conte ha dieci punti in più di Luciano Spalletti, 71 a 61, così come Sarri, tanto per rendere l'idea, ne ha dieci in meno di Massimiliano Allegri, 77 a 87. La vittoria di Ferrara non appartiene certo all'epica del periodo. Era una tappa obbligata, un atto dovuto. La fedeltà alla difesa a 3 gli ha procurato non lievi censori e scomuniche non meno livorose, ma poi salta fuori che a tre difendono pure i "dentisti" del Gasp, e allora finisci per brindare ai tesori della provincia e alla relatività del calcio, che molto tollera e moltissimo confonde.
Sabato Verona-Atalanta, domenica Roma-Inter, lunedì Juventus-Lazio. Sono i piatti forti della trentaquattresima. La bussola rimane orientata, ma attenzione: i pronostici sono indizi, non verdetti. Il lamento fa parte del breviario di Conte, il distacco che lo separa dalla Juventus è stato fissato dalle sfide di San Siro (1-2) e dello Stadium (0-2). Non è un dettaglio qualsiasi. Riflette le previsioni estive e l'orgoglio dell'uomo ("Dobbiamo guardare alla Juventus, non alle altre").
All'Olimpico dovrebbe rientrare Romelu Lukaku. Paulo Fonseca, lui, insegue il quinto posto, non proprio il menu ideale per affilare i coltelli e le forchette di una piazza delusa e affamata. Battere la Roma americana significherà mettere pressione alla capolista. Nella mia griglia d'agosto l'Inter cinese era terza. Come la propaganda, Conte non si pone limiti: soprattutto, se e quando coincidono con il massimo. Dopo il pareggio del Bentegodi girava una voce: divorzio. Era il 9 luglio. Oggi ne gira un'altra, vietata ai maggiori: scudetto. "Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di provincie, ma bordello!". Dante, modestamente.
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